Mobilità dei prof, i sindacati tifano per le complicazioni

da Il Fatto Quotidiano

Mobilità dei prof, i sindacati tifano per le complicazioni

Una delle leggi di Murphy che preferisco recita: “Se ci sono due o più modi di fare una cosa, e uno di questi modi può condurre a una catastrofe, allora qualcuno la farà in quel modo.” Nel meraviglioso mondo della scuola pubblica, quel qualcuno in genere sono sempre i sindacati di categoria. Prendete per esempio la mobilità dei docenti.

Per chi non è addentro al mondo della scuola, quest’anno a un numero consistente d’insegnanti il ministero ha chiesto di presentare una domanda obbligatoria di mobilità tramite un portale web noto come Istanze Online, nel tentativo di riavvicinare alcuni docenti alle loro province di origine. L’essere stati assunti a tempo indeterminato, ma non sotto casa, ha fatto sì che diversi sindacati e docenti abbiano oscenamente parlato di “deportazione” degli insegnanti, con buona pace del tragico significato storico del termine, e dimenticando che se proprio non si poteva in nessun modo spostarsi dalla propria provincia di residenza, era sufficiente non presentare domanda di assunzione a tempo indeterminato.

Senza starvi ora a specificare tutte le varie fasi del troppo complesso meccanismo della mobilità, vi dirò solo che c’è un gruppo di prof (quelli della cosiddetta “fase C”) che ha dovuto elencare al ministero 100 ambiti territoriali (vale a dire delle zone geografiche più piccole delle vecchie province) e 100 province in ordine di preferenza, ossia dove gradirebbero andare a lavorare il prossimo anno scolastico. In estate il Miur assegnerà i docenti neoassunti nella fase C ai loro ambiti, secondo un complicato conteggio dei punti-mobilità che ciascun docente ha fin qui ottenuto nella sua carriera. Diciamo subito che questo punteggio presenta chiari elementi di assurdità: un prof che abbia conseguito un master nella sua materia, oltre alla obbligatoria laurea e all’abilitazione, ottiene appena 1 punto. Ma se quello stesso prof  ha il coniuge residente nell’ambito territoriale dove vuole trasferirsi, questo banale fatto anagrafico vale la sciccheria di 6 punti.

Ora, secondo la riforma della scuola, sarebbe dovuto spettare ai presidi scegliere quali docenti assumere nella propria scuola. Un concetto semplice, considerato come una buona pratica nelle scuole pubbliche di tutto Occidente: io che sono preside del liceo Tal de’ Tali, mi guardo il curriculum dei docenti del mio ambito territoriale, tutti assegnati dal ministero, e decido di assumere quel prof che più degli altri ha – per dire – anche conseguito un dottorato, parla tre lingue straniere e ha una specializzazione sugli studenti con Bisogni Educativi Speciali.  Gli faccio la mia proposta di assunzione e starà poi al docente decidere se accettare o meno. Se qualche professore non è scelto da nessun preside, ci avrebbe pensato l’Ufficio Scolastico di zona, il vecchio Provveditorato, ad assegnare “a tavolino” ogni docente a un istituto del suo ambito, e vissero tutti felici e contenti. Siccome i presidi sono soggetti a loro volta a una mobilità volontaria e a valutazione dell’operato da parte del ministero, questo dovrebbe consentire di non creare nelle scuole delle clientele o di avere solo docenti di un certo tipo. Questa pratica avrebbe consentito nel giro di poche ore l’assunzione di tutti i docenti in tutte le scuole.

Cosa hanno fatto i sindacati per complicare all’inverosimile le cose? Si sono detti: siccome siamo convinti che tutti i presidi sono sostanzialmente disonesti, e chiamerebbero non i migliori docenti ma i più mansueti o amichevoli, dobbiamo alambiccarci per cercare di escogitare un meccanismo astruso che soprattutto tolga ai presidi il potere di scegliere i loro docenti. La supercazzola con scappellamento. Come?

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Qui mi affido alla ricostruzione operata dai colleghi di Orizzonte Scuola, per altro confermata anche dalla Gilda degli insegnanti, che giustamente mettono le mani avanti e dicono che le cose sono ancora in bozza e potrebbero anche peggiorare: ogni scuola dovrebbe stilare degli indicatori/requisiti (10-15) afferenti a tre macro-aree (informatica, lingue, disabilità e bisogni educativi speciali). Il preside (orrore! che i sindacati naturalmente sperano di scongiurare) potrebbe scegliere “tra questi 3 requisiti che a suo parere i docenti della scuola che dirige dovrebbero possedere.” Quindi il preside dovrebbe pubblicare un avviso/bando con cui mettere a disposizione questi requisiti per il numero di posti disponibili nella sua scuola.

Una volta pubblicati i movimenti, i docenti assegnati all’ambito territoriale potranno presentare la richiesta di assegnazione a una o più scuole dell’ambito, sempre attraverso Istanze Online, indicando i titoli posseduti, che dovranno coincidere con quelli ricercati dal preside.

Non è finita qui, e per evitare di arrabbiarmi vado al verbatim da Orizzonte Scuola: “Il Dirigente scolastico esamina quindi le domande pervenute e stila una graduatoria sulla base del numero dei requisiti/indicatori posseduti (se un solo docente possiede tutti e tre i requisiti/indicatori il posto è suo). A parità, se cioè ad es. più docente possiedono tutti e tre i requisiti, si procederà in base al punteggio della mobilità. Se nessuno dei docenti possiede tutti e tre i requisiti/indicatori individuati, in questo caso si scala su chi ne possiede due, poi uno, poi neppure uno (tra questi ultimi prevale chi ha il punteggio della mobilità più elevato).”

Non vi è chiaro? Nemmeno a me. So solo che così è garantito che anche per l’inizio del prossimo anno scolastico la gran parte delle scuole italiane non sarà riuscita a coprire tutte le cattedre, perché questo meccanismo d’assunzione è talmente cervellotico e complesso da attuare, e si espone a così tante possibilità di ricorso al Tar e al Consiglio di Stato, che il danneggiamento della qualità dell’insegnamento ai nostri studenti è garantito anche per il 2016/17.

Ma allora una preghiera al sottosegretario Davide Faraone: onorevole, non ceda. Torni alla chiamata diretta limitata dall’ambito stabilita dalla 107. Tanto i docenti di scuola pubblica sono imbufaliti contro questo governo e non voteranno mai per le forze di governo: non gli perdonano di aver messo mano in un settore che veniva bellamente ignorato da tre decenni, nel quale ogni prof sapeva di dover solo replicare gli atteggiamenti di sempre, in attesa dell’agognata pensione e amen. Le assunzioni di massa ma non sotto casa, il bonus cultura da “appena” 500 euro, il bonus meritocratico da 200 a 1800 euro in più – definito elegantemente “mancetta” – il concorsone, sono tutti cambiamenti che la gran parte dei docenti non vi potrà mai perdonare. Fatevene una ragione. E tirare avanti. Senza l’ok dei sindacati. E senza supercazzole.