Approvata la nuova legge sul “dopo di noi”: contenuti e analisi

da Handilex

Approvata la nuova legge sul “dopo di noi”: contenuti e analisi

Il Parlamento ha dunque portato all’approvazione la cosiddetta norma sul “dopo di noi”: La legge 22 giugno 2016, n. 112 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiali 2 giorni dopo.

La discussione, nel Paese e nelle aule di Senato e Camera, è stata piuttosto serrata, anche con contrapposizioni forti fra chi la ritiene una disposizione epocale e portatrice di novità assai positive e chi la considera invece una disposizione di retroguardia, settoriale e silente su temi importanti quali il rischio di segregazione e la garanzia di diritti certi da subito.

Senza alcun dubbio un intervento sul tema del “dopo di noi” era richiesto da anni e con crescenti insistenza e preoccupazione. Vediamo, quindi, i contenuti espressi dai dieci articoli, precisando da subito che il quadro di riferimento dovrà comunque essere completato da ulteriori indicazioni ministeriali e, soprattutto, da altrettante disposizioni delle singole regioni.

I principi

Il primo articolo apre con un richiamo ai principi alla Costituzione, alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e infine alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità sottolineando il riferimento alla prima lettera dell’articolo 19. Questa impone agli Stati che “le persone con disabilità abbiano la possibilità di scegliere, su base di uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere e non siano obbligate a vivere in una particolare sistemazione.“

Una punto assai qualificante della Convenzione ONU che rigetta ogni forma di segregazione, lemma che – al contrario – non ricorre mai in modo perentorio nella legge 112/2016.

I beneficiari

Sempre nel primo articolo vengono definiti i destinatari delle misure di “assistenza, cura e protezione”. Nella puntuale espressione di legge essono le “persone con disabilità grave, non determinata dal naturale invecchiamento o da patologie connesse alla senilità, prive di sostegno familiare in quanto mancanti di entrambi i genitori o perché gli stessi non sono in grado di fornire l’adeguato sostegno genitoriale nonchè in vista del venir meno del sostegno familiare (…).”

Sono quindi esclusi gli anziani non autosufficienti e le persone con una disabilità non riconosciuta come “grave”. Il riferimento è alla gravità come definita dalla legge 104/1992 (art. 3, comma 3), un criterio piuttosto superato se il riferimento deve essere la Convenzione ONU, ma al momento ancora uno dei pochi disponibili.

Ma non basta: per accedere a quelle misure di sostegno è anche necessario che i genitori siano mancanti oppure che non in grado di assistere adeguatamente (termine piuttosto generico) i propri figli. Non è un caso che le conseguenti stime prodotte da ISTAT alle Commissioni che stavano esaminando la proposta di legge, restituiscano un numero di ipotetici beneficiari piuttosto limitato.

Se per accedere ai potenziali servizi alla persona i criteri sono molto stretti, lo sono molto meno, come si vedrà più oltre, ai fini delle agevolazioni fiscali per la costituzione di trust, polizze assicurative, fondi speciali. In quei casi è sufficiente l’handicap grave (art. 3 comma 3, legge 104/1992).

Quali servizi e sostegni?

“Misure di assistenza, cura e protezione” sono i termini (forse un po’ lontani dalla semantica della Convenzione ONU) che definiscono l’inquadramento generale di quelli che sono gli intenti del Legislatore. Si prevede una la progressiva “presa in carico della persona interessata” già durante l’esistenza in vita dei genitori anche al fine di evitare l’istituzionalizzazione (questo il termine adottato in luogo di un più esplicito “segregazione”).

Il riferimento per questi interventi dovrebbe essere il cosiddetto progetto individuale previsto dalla legge 328/2000 all’articolo 14, ma reso un po’ più attuale con la previsione del coinvolgimento anche della persona interessata o di chi lo rappresenta nella sua redazione.

Restano comunque salvi i livelli essenziali di assistenza e gli altri interventi di cura e di sostegno previsti dalla legislazione vigente in favore delle persone con disabilità. A quali Lea il Legislatore si riferisca non è dato sapere; verosimilmente l’ambito è quello sanitario o socio sanitario.

Le prestazioni assistenziali da “garantire”

Non a caso il Legislatore prova a definire le prestazioni assistenziali da garantire in tutto il territorio nazionale, in realtà rimandone sine die la predisposizione: verranno determinati fra i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e degli obiettivi di servizio, i livelli essenziali delle prestazioni nel campo sociale da garantire beneficiari della nuova legge.

Nel frattempo, entro sei mesi dall’entrata di vigore della nuova norma, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa in Conferenza Stato Regioni, verranno fissati degli “obiettivi di servizio” per le prestazioni da erogare ai beneficiari potenziali della nuova norma. Gli “obiettivi di servizio” non sono un diritto né un livello essenziale e sono comunque condizionati alle risorse disponibili.

Tautologica e scarsamente innovativa una ulteriore precisazione del Legislatore: le regioni e le province autonome assicurano, “nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente”, l’assistenza sanitaria (così nel testo, NdA) e sociale, anche mediante l’integrazione tra le relative prestazioni e la collaborazione con i comuni. E ancora: nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia e dei vincoli di finanza pubblica, le regioni e le province autonome, garantiscono nell’ambito territoriale di competenza, i “macrolivelli di assistenza ospedaliera, di assistenza territoriale e di prevenzione” (così nel testo, NdA). Nella sostanza il testo è molto prudente nel non fissare diritti certi e soprattutto nel non generare spesa pubblica.

Il Fondo

Il terzo articolo istituisce il “Fondo per l’assistenza alle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare”. La dotazione iniziale di 90 milioni di euro (2016) scende a 38,3 milioni nel 2017 e si stabilizza 56,1 milioni a decorrere dal 2018.

Forse questi importi suscitano interrogativi nei Lettori più attenti che ricordano come l’ultima legge di stabilità (legge 208/2015, art. 1 comma 400) abbia in effetti stanziato in modo strutturare 90 milioni a partire dal 2016. Essi si chiederanno come mai quell’importo sia previsto solo per il primo anno, mentre scende drasticamente negli anni successivi.

La risposta la troviamo qualche articolo più in basso: solo per il 2016 il Fondo va completamente in servizi e sostegni; per gli anni successivi viene ridotto per coprire i minori introiti derivanti dalle agevolazioni fiscali su trust, fondi speciali, assicurazioni, cioè interventi di natura privatistica.

I criteri per l’accesso al Fondo verranno stabiliti con decreto del Ministero del lavoro e poi ripartiti alle Regioni. Le Regioni, a loro volta, adotteranno indirizzi di programmazione e definiranno i criteri e le modalità per l’erogazione dei finanziamenti, le modalità per la pubblicità dei finanziamenti erogati e per la verifica dell’attuazione delle attività svolte e le ipotesi di revoca dei finanziamenti concessi. I margini discrezionali per definire le effettive politiche e servizi appaiono piuttosto ampi, ingenerando il conseguente timore di forti disomogeneità territoriali.

Al momento non è quindi dato sapere a chi e con che modalità verranno distribuiti dalle Regioni gli stanziamenti derivanti dal Fondo: per rafforzare propri servizi? Agli enti locali? Alle organizzazioni del terzo settore? Ai gestori di case alloggio? Direttamente alle famiglie? Per progetti? A sportello?

Le finalità

Il effetti il quarto articolo restituisce un inquadramento – molto generale – delle finalità del Fondo il che poi lascia intuire in quali ambiti potrebbero finire i finanziamenti regionali. tenendo conto che il Legislatore si premura di ricordare che, nel principio della sussidiarietà, possono contribuire economicamente alle progettazioni anche enti locali, no profit, le famiglie associate e, infine, “soggetti di diritto privato con comprovata esperienza nel settore dell’assistenza alle persone con disabilità”.

Per fare cosa? Ce lo racconta il primo comma in cui c’è un po’ di tutto espresso talora con prudenziali e interpretabili circonlocuzioni.

Primo obiettivo in ordine di esposizione: attivare e potenziare programmi di intervento volti a favorire percorsi di deistituzionalizzazione e di supporto alla domiciliarità in abitazioni o gruppi-appartamento che riproducano le condizioni abitative e relazionali della casa familiare. Viene previsto di tenere conto “anche delle migliori opportunità offerte dalle nuove tecnologie, al fine di impedire l’isolamento delle persone con disabilità” (grave, s’intende). L’articolo non fissa criteri qualitativi o quantitavi sui “gruppi appartamento”, né fornisce indicazioni sulle situazioni che siano da considerare “istituzionalizzanti.” Ancora una volta il testo evita il termine “segregazione”.

Secondo intervento: realizzare, ove necessario e, comunque, in via residuale, “nel superiore interesse” delle persone con disabilità grave senza sostegno genitoriale, interventi per la permanenza temporanea in una soluzione abitativa extrafamiliare per far fronte ad eventuali situazioni di emergenza, nel rispetto della volontà delle persone con disabilità grave, ove possibile, dei loro genitori o di chi ne tutela gli interessi. Tradotto: ricoveri di emergenza o, forse anche, sollievo.

La terza finalità lascia galoppare la fantasia progettuale: realizzare interventi innovativi di residenzialità per le persone con disabilità grave senza sostegno genitoriale, volti alla creazione di soluzioni alloggiative di tipo familiare e di co-housing. Questi interventi possono comprendere il pagamento degli oneri di acquisto, di locazione, di ristrutturazione e di messa in opera degli impianti e delle attrezzature necessari per il funzionamento degli alloggi medesimi, anche sostenendo forme di mutuo aiuto tra persone con disabilità.

L’ultimo punto previsto punta a sviluppare programmi di accrescimento della consapevolezza, di abilitazione e di sviluppo delle competenze per la gestione della vita quotidiana e per il raggiungimento del maggior livello di autonomia possibile sempre ovviamente delle persone con disabilità grave.

Se da un lato l’impianto degli interventi appare giustamente ambizioso, pur con la limitazione alla gravità e non anche alla prevenzione di essa, dall’altro tali prospettive incuriosiscono rispetto agli attori che saranno interessati ed in grado di raccogliere queste sfide (e i relativi finanziamenti). Molto dipenderà dalle politiche e dalle scelte regionali.

Trust, assicurazioni, fondi speciali

Non è un mistero che attorno alle agevolazioni fiscali previste dagli articoli 5 e 6, e in particolare per il trust, vi siano stati legittimi interventi di lobbying in larga misura accolti in sede di approvazione della norma che pure, nella sua stesura finale, prevede un ampliamento anche ai fondi speciali e alle polizze assicurative non previsti inizialmente.

Va detto che sia l’istituto del trust che i vincoli di destinazione (articolo 2645-ter, codice civile) e i fondi speciali già esistevano nel nostro ordinamento. La sostanziale novità risiede appunto nelle maggiori agevolazioni fiscali ossia detrazioni sulle spese sostenute per sottoscrivere polizze assicurative e contratti a tutela dei disabili gravi, ed esenzioni e sgravi su trasferimenti di beni dopo il decesso dei familiari, costituzione di trust e altri strumenti di protezione legale.

In realtà i premi assicurativi sul rischio morte erano già detraibili fino a 530 euro annui. Dal 2017 per le polizze sul “rischio di morte finalizzato alla tutela delle persone con disabilità grave”, l’importo viene elevato a 750 euro.

Alcuni commentatori, in modo non infondato, hanno commentato che questa forma di “previdenza/assistenza privata” avrà impatto reale solo su nuclei con patrimoni medio alti, mentre l’impatto sarà inferiore per i nuclei a basso reddito/patrimonio.

Campagne informative e Relazione al Parlamento

L’articolo 7 attribuisce alla Presidenza del Consiglio dei ministri il compito avviare campagne informative al fine di diffondere la conoscenza delle disposizioni della nuova legge e delle altre forme di sostegno pubblico previste per le persone con disabilità grave (quelle che esistono).

L’obiettivo espresso è quello di consentire un “più diretto ed agevole ricorso agli strumenti di tutela previsti per l’assistenza delle persone con disabilità prive del sostegno familiare, nonché di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla finalità di favorire l’inclusione sociale delle persone con disabilità”.

La norma precisa che per queste campagne non vi devono essere nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Anche in questo caso i commentatori si sono divisi. Chi sostiene l’utilità dell’informazione e della sensibilizzazione su temi così delicati e chi, al contrario, ne sottolinea l’inefficacia a frontre di assenza di diritti certi, o peggio, un modo per garantire pubblicità gratuita a gestori di polizze o assicurazioni.

L’articolo 8 prevede una Relazione annuale al Parlamento sullo stato di attuazione della nuova norma. Quasi superfluo esprimere il pessimismo conoscendo la sorte di altre simili relazioni (esempio quella sullo stato di attuazione della legge 104/1992 o, peggio, quella sulla legge 68/1999 in materia di collocamento mirato). Anche in questo caso, comunque, chi redigerà la Relazione dovrà assumere anche tutte le relative relazioni dalle Regioni, fissando in anticipo criteri e modalità di raccolta omogenea dei dati.

Non resta che attendere i decreti applicativi e monitorare le reali attuazioni in ambito regionale.

Carlo Giacobini

Direttore responsabile di HandyLex.org