Stili e poteri della dirigenza scolastica

Stili e poteri della dirigenza scolastica

di Stefano Stefanel

 

Poiché sono abbastanza disinteressato alle polemiche e alle lamentele che invece stanno molto interessando il mondo della scuola (chiamata diretta, organico dell’autonomia, concorsi ordinari, bonus premiante il merito, piani della trasparenza, accordi di rete, ecc.) il mio sguardo pur essendo immerso negli stessi argomenti spazia altrove. L’altrove è il mondo delle organizzazioni che ha nella scuola dell’autonomia un elemento di grande interesse e di possibile profonda lettura. Quando di questi tempi leggo le molte polemiche, le molte invettive e le molte lamentale di docenti e dirigenti sulle varie applicazioni della legge 107 e di quant’altro di nuovo è entrato nella scuola (fondi PON ad esempio, ma anche BES) mi chiedo: “Perché vogliono governare con sistemi vecchi un qualcosa di nuovo? E’ possibile governare efficacemente e con efficienza nuovi scenari didattici ed economici con sistemi nati in altri contesti?”. Mi rispondo di no, ovviamente, ma vedendo che molti vogliono continuare a farlo mi chiedo anche perché.

VICARI COME SPECCHIO DEL POTERE

Con la nascita della dirigenza scolastica (1999) e le successive e molte (troppe!) riforme la vecchia figura del vicario è da subito sparita. Non se ne trova traccia nelle norme, non se ne trova traccia nei contratti. Sarebbe interessate sapere quanti dirigenti scolastici nominano ancora “vicari” e sarebbe ancora più interessante sapere quanti ancora agiscono attraverso il “vicepreside”. Questi dati pur non essendo disponibili sono facilmente intuibili: quasi tutti. Interessante è osservare come l’estensione dei poteri di nomina fino al 10% dell’organico, introdotto dalla legge 107/2015, interessa o scalda poco o niente, perché magari l’organico non può concedere esoneri alla classe di concorso del proprio “vicario”. La questione attiene tutta al potere piramidale: la sommità della piramide è fatta dal dirigente scolastico, che “crea” una figura inesistente ma suggestiva (il vicario) e la affianca da un’altra ugualmente non esistente (il secondo collaboratore): entrambe le figure stanno sopra gli altri docenti ma sotto il dirigente scolastico. Ciò che la legge non prevede e non concede (delega di funzioni e delega di poteri: da lì nasce il problema delle reggenze) è ciò che affascina molti di noi. Una volta definita l’organizzazione della scuola come una struttura rigida il suo governo diventa immediatamente piramidale e questo tende a riportare qualsiasi novità verso quel meccanismo (che per me è perverso) per cui l’esonero dall’insegnamento viene dato alla persona e non alla funzione, quasi che il dirigente scolastico possa creare nell’organico didattico qualcosa che va a presidiare la gestione amministrativa dell’organizzazione scolastica. C’è in questo molto paternalismo: “so io chi può fare il bene della scuola!”. Concentrare l’esonero sulla persona e non sulla funzione è dare all’esonero un ruolo che non ha (che è di tipo gestionale e amministrativo). Il d.lgs 165/2001 diceva: “Nello svolgimento delle proprie funzioni organizzative e amministrative il dirigente può avvalersi di docenti da lui individuati, ai quali possono essere delegati specifici compiti”. Compiti, non funzioni o deleghe.

Vedo in tutto questo una sottovalutazione dell’entità del problema su alcuni elementi fondanti l’autonomia e l’applicazione della legge 107/2015, che certamente ha complicato la questione della governance scolastica. Elenco alcuni settori dove il governo della scuola richiede deleghe di compiti a soggetti che non hanno competenze dirigenziali e dove la struttura piramidale è d’inciampo:

  • Organico dell’autonomia: non è più un questione di “fare le supplenze”, chiunque diriga un Istituto comprensivo plurisede sa che la cosa non si risolve col vicario; la questione è invece quella di gestire in forma innovativa un organico complesso, funzionale, legato a obiettivi, progetti, interventi diretti su studenti e progetti.
  • Fondi Pon: ci vogliono competenze forti per la gestione di progetti e risorse molto ampie, che presentano peculiarità di grande progettualità e che attraverso una gestione piramidale rischiano di far deragliare tutta l’organizzazione scolastica.
  • Piano Nazionale Scuola Digitale: anche in questo caso le risorse in campo richiedono competenze diffuse e certificate.
  • Rapporto di Autovalutazione, Piano di Mglioramento, Piano Triennale dell’Offerta Formativa: in queste aree semiesoneri possono creare la coerenza tra progetti, documenti, sensibilizzazione, perché il redattore ha tempo per lavorare e confrontarsi con gli altri docenti.
  • Gestione decentrata dei plessi: anche in questo caso la funzionalità dell’organico della scuola primaria ha permesso già molto nel senso di una gestione della scuola più collegiale.

Gli esempi sopra riportati non sono esaustivi e sono solo esemplificativi. Se però osserviamo lo sconcerto sul non poter dare esoneri a “certe” persone ci troviamo di fronte ad una gestione della scuola che vuol essere paternalistica e impiegatizia. Il vicario è perfetto per la scuola degli adempimenti, mentre per quella del governo del cambiamento non serve a niente.

La questione del potere del dirigente connesso al suo stile di dirigenza mi pare invece ancora centrale: nel momento in cui è necessario ampliare i raggi di governo chi invece ritiene di dover dirigere un ente amministrativo che ha come primo obiettivo gli obblighi e gli adempimenti ha per forza di cose la necessità di costruire una piramide di gestione che è anche una piramide di potere. Re, vassalli, valvassori, valvassini, insomma, in un simpatico “dividi et impera” in cui si comanda magari attraverso rapporti stretti con la parte amministrativa della scuola, che affascina soprattutto chi non ci capisce nulla di amministrazione (e ci prende poco coi conti).

LE RETI DI AMBITO COME SISTEMA COMPLESSO

Non so che fine faranno le reti di ambito, ma la loro complessità è già sotto gli occhi di tutti, mentre la loro forza sta spaventando tutti quei dirigenti che amavano esercitare il potere a casa propria creando piccole piramidi locali, molto chiuse e molto forti, con cerchi magici dispensatori di classi, giornate libere, poche ore buche, incarichi, ecc.. Le reti di ambito portano il governo della scuola fuori dalla vecchia piramide (istituto, ambito territoriale il più simile possibile al provveditorato, ufficio scolastico regionale, ministero) e dentro un luogo in cui il governo viene gestito nella propria area da un rapporto tra pari. Come può essere appassionato da un rapporto tra pari chi nomina il “vicario” anche se questo non esiste più nel fatto e nel diritto? Chi persegue il potere piramidale a casa propria come può essere affascinato da un potere diffuso e da ridisegnare?

Anche perché reti, PON, piano nazionale scuola digitale, progetti nazionali e altre simili diavolerie stanno portando molti soldi e molto organico nelle scuole e il governo diventa complesso. Il personale amministrativo è contro tutto questo perché porta “più lavoro”. E quindi il cambiamento è spesso contro la parte amministrativa di una scuola, non favorito da essa. In realtà questo cambiamenti dovrebbero far sostituire il lavoro inutile con quello utile, ma poiché molti ancora stampano le PEC mi è ben chiaro cosa si sta difendendo. Mai come in questo momento lo stile e il potere del dirigente si intrecciano creando quella dimensione organizzativa che trasmette senso alla scuola, ma che con la nascita degli ambiti territoriali darà il senso anche a tutto il territorio di riferimento.

Gestire il nuovo col vecchio non si è mai potuto fare e anche le Restaurazioni che si sono succedute nella storia hanno battuto il passo davanti alle innovazioni che non si sono fatte ingabbiare. Ma se la questione attiene alla gestione del potere e chi lo perde invece di comprendere il nuovo assetto sbraita per cercare di ripristinare il vecchio assetto la scuola si trova con un problema in più.

Se le aree di interesse diventano plurime, se i centri di spesa diventano sempre più progettuali e sempre meno ordinari, se la questione della gestione dell’organico sta più dentro ad un piano di miglioramento della scuola che agli equilibri di un orario vuol dire che i vecchi arnesi della scuola degli adempimenti vanno eliminati e va creata una governance nuova in cui entri meno la questione del potere e della piramide e più quella dell’organizzazione e della cultura della gestione per obiettivi e processi.

In questo momento è molto grave avere docenti conservatori (non si sa per conservare cosa), ma avere dirigenti conservatori in questa fase è proprio una davastazione: speriamo che la valutazione attraverso il Piano di Miglioramento faccia mettere le ali alla parte innovativa che – magari in quantità diverse – c’è in ognuno di noi.