Lo tsunami dei trasferimenti: ecco i numeri e le vere cause

da TuttoscuolaFOCUS

Lo tsunami dei trasferimenti: ecco i numeri e le vere cause
Sotto accusa l’algoritmo del Miur che assegna la sede di servizio, ma il vero problema è lo spostamento del baricentro della scuola italiana: più studenti e più posti al nord, sempre meno al sud, dove però risiede l’80% di chi vuole insegnare. Da qui un’emigrazione intellettuale che rievoca quella del dopoguerra verso il triangolo industriale. Un fenomeno inatteso? No, dieci anni fa i numeri erano chiari, eppure… E a complicare le cose la legge del cuculo…

Quel piano inclinato dal sud al nord della scuola italiana

 

Dopo la pubblicazione dei trasferimenti interprovinciali di 43.531 docenti (tra infanzia, primaria e secondaria di I grado), il processo (mediatico) del giorno vede sul banco degli imputati l’ormai famoso algoritmo, quel meccanismo matematico che ha assegnato finora la sede di servizio in tutte le parti d’Italia e che si prepara a farlo anche per altre migliaia di professori della secondaria di II grado.

Difensore d’ufficio dell’imputato il Ministero dell’istruzione, pubblici accusatori sindacati e docenti.Docenti trasferiti lontano da casa, costretti ad affrontare notevoli disagi, segnalano errori a loro danno e i sindacati scuola chiedono al Miur di accertare il funzionamento dell’algoritmo e di rimediare all’eventuale impostazione sbagliata, mentre il Ministero difende tenacemente lo strumento.

Tuttavia, corretti gli eventuali errori (cosa da fare al più presto), un problema di fondo comunque resterà, con o senza algoritmo. Vediamo perché.

 

Ci sono infatti fenomeni demografici e sociali che hanno spostato negli anni il baricentro della scuola italiana, mettendola su un piano inclinato: più studenti al centro-nord spingono un gran numero di docenti, concentrati nel meridione, verso nord. E di fronte a queste tendenze strutturali non c’è algoritmo che tenga: nessuna formula matematica potrebbe creare tante cattedre al sud da occupare la sovrabbondante offerta di lavoro che lì si manifesta.

Siamo di fronte a una vera e propria emigrazione di docenti meridionali verso il nord, migranti intellettuali sbarcati in molti casi da atenei del sud rincorrendo il  miraggio di una cattedra che non c’è per tutti, almeno in quelle aree del paese. Un flusso migratorio che richiama quello degli anni cinquanta e sessanta delsecoloscorso. Dall’emigrazione sud-nord di allora verso le fabbriche a quella verso le cattedre degli anni duemila.

 

Un fenomeno inatteso? No, bastava leggere con attenzione – una decina d’anni fa – i trend demografici in atto da tempo (calo delle nascite al sud, calo anche al centro-nord di italiani, più che bilanciato però dai nati di nazionalità non italiana) e incrociarli con i dati sullo squilibrio territoriale tra i docenti in cerca di cattedra: uno studio del Miurdel 2007 sulle GAE (Graduatorie Ad Esaurimento, dalle quali, in assenza di nuovi concorsi – il successivo è stato fatto nel 2012 – si sarebbe attinto per le immissioni in ruolo degli anni a seguire) metteva nero su bianco che il 67,5% degli iscritti (160.157 su 237.252) risiedeva nel Mezzogiorno. E altri 33 mila docenti residenti in meridione, pari al 13,9% del totale iscritti, risultavano iscritti in province centro-settentrionali.Complessivamente, dunque, quasi l’82% era residente nel Mezzogiorno.

 

Senza piangere sul latte versato di una mancata programmazione che avrebbe potuto prevenire in parte la situazione attuale, due dati bastano a inquadrare oggi il fenomeno a colpo d’occhio, con riferimento al primo ciclo di istruzione: solo il 37% degli studenti italiani risiede al sud, Isole incluse (18 anni fa era il 47%); mentre ben il 78% dei docenti coinvolti in questa tornata di trasferimenti è nato nel meridione.

Due macro numeri che rendono chiaro lo sbilancio della scuola italiana, che può essere rappresentata come una grande nave con un carico molto più pesante a prua (il nord del paese, con un numero di studenti in crescita), che fa scivolare gradualmente verso la prua una quota crescente del personale, collocato in misura preponderante a poppa (al sud), dove per motivi sociali il pubblico impiego in generale e la scuola in particolare rappresentano, soprattutto per le donne, opzioni inevitabilmente prioritarie.

 

A nostro avviso la nave non potrà raddrizzarsi con alcun algoritmo, ma, in parte, solo con misure a lungo termine di cui si parla in questo studio. Ma vediamo prima nel dettaglio i fenomeni alla radice dello storico spostamento del baricentro della scuola italiana.

 

 

 

Quel calo demografico che ha indebolito l’offerta nel Meridione

Negli ultimi decenni,proprio nel Mezzogiorno, si è verificato un fenomeno demograficoche ha ridotto l’offerta: la popolazione scolastica è andata diminuendo. Meno studenti, meno classi attivate, e meno personale docente.

Confrontando i dati degli alunni iscritti nelle scuole del primo ciclo nel 1997-98 con quelli degli anni successivi, risulta una flessione costante che, riferita all’anno in corso, dà i seguenti esiti.

Nel 97-98 gli alunni di scuola primaria e di I grado erano in tutto 4.358.432, di cui 2.032.338 nelle scuole del Sud e delle Isole (46,6%); quest’anno sono stati in tutto 4.233.442, di cui 1.586.589 nel Mezzogiorno (37,5%). Il Mezzogiorno quest’anno ha quindi sfiorato il mezzo milione di alunni in meno rispetto a 20 anni fa con un decrementocomplessivo del 22%, pari ad oltre un quinto della sua potenziale offerta.

Nello stesso periodo il numero degli alunni del Centro-Nord è aumentato di anno in anno (grazie anche all’apporto non indifferente di alunni stranieri), fino a far registrare quest’announa differenza in piùdi 320.809 alunni rispetto al 97-98, pari a un incremento di circa il 14%, con conseguente graduale aumento, di anno in anno, del numero delle classi e degli organici.

 

 

Numero alunni I ciclo a.s. 97-98   Numero alunni I ciclo a.s. 2015-16  
              Differenze %
NORD OVEST 919.658 21,1%   1.083.712 25,6%   164.054 18%
NORD EST 665.902 15,3%   740.882 17,5%   74.980 11%
CENTRO 740.484 17,0%   822.259 19,4%   81.775 11%
TOTALE CENTRO-NORD 2.326.044 53,4%   2.646.853 62,5%   320.809 14%
SUD 1.378.914 31,6%   1.080.927 25,5%   -297.987 -22%
ISOLE 653.474 15,0%   505.662 11,9%   -147.812 -23%
TOTALE SUD-ISOLE 2.032.388 46,6%   1.586.589 37,5%   -445.799 -22%
TOTALE NAZIONALE 4.358.432 100,0%   4.233.442 100,0%   -124.990 -3%
                 
Elaborazione Tuttoscuola su dati Miur            

 

 

La propensione ad insegnare non è omogenea sul territorio

Se a fronte di questo imponente fenomeno demografico ci fosse un’offerta di docenti equilibrata sul territorio, l’incidenza sarebbe comunque notevole. Ma non è così. La distribuzione di chi aspira ad insegnare è fortemente sbilanciata in senso inverso (cioè molto alta al sud e fiacca al nord) e amplifica enormemente il mismatch tra domanda e offerta sul territorio.

Prendiamo i dati dei docenti trasferiti in questi giorni, di cui si conosce la provincia di nascita: risulta nato nel Mezzogiorno (Sud e Isole) il 78% dei docenti trasferiti (l’82% dei maestri di primaria e il 71% dei professori di scuola media).

È la fotografia di un fenomeno sociale che, per quanto riguarda questa ultima generazione di docenti immessi in ruolo, presenta un quadro inequivocabile e drammatico: nelle ultime leve di insegnanti entrati nei ruoli statali quasi otto docenti su dieci sono meridionali e i restanti due sono nati al centro-nord.

È una conferma che il Mezzogiorno, da decenni avaro di posti di lavoro, privilegi come valvola di sfogo occupazionale l’insegnamento, mentre i giovani delle altre aree territoriali sembrano non prioritariamente interessati a questa professione, grazie forse a più favorevoli offerte di lavoro locali.

 

 

 

Emigrazione forzata dal Mezzogiorno

Ma per tanti docenti meridionali c’è posto a casa loro? Improbabile.

E, come nei primi decenni del dopoguerra i lavoratori meridionali migravano in cerca di occupazione verso il triangolo industriale del nord, ora molti lavoratori della scuola del Mezzogiorno, a causa dell’insufficienza dipostisono costretti ad accettareuna sedefuori regione.

Per questi docenti, alla vigilia dei trasferimenti, quanti posti-sedi erano effettivamente disponibili nel Mezzogiorno?

Su 40.453 sedi disponibili assegnate con i trasferimenti(25.754 nella primaria e 14.799 nel I grado) soltanto14.192 erano nelle regioni del Mezzogiorno (8.208 nella primaria e 5.984 nella secondaria di I grado), pari al 35% del totale (come si vede una percentuale simile a quella del numero di studenti): soltanto un terzo delle sedi, dunque, era disponibile per accogliere le domande di trasferimento dei docenti meridionali.

Ma i docenti meridionali erano tanti quante le sedi disponibili? Erano forse il 35% del totale come il 35% delle sedi? Niente affatto.

I docenti che risultano nati in province meridionali (e si presume in massima parte ivi residenti) sono 30.692, pari al 78% del totale.

Come può il 35% delle sedi accogliere il 78% dei docenti? Più precisamente, come possono 14.192 sedi accogliere 30.692 insegnanti? Neanche Einstein avrebbe potuto inventare un algoritmo in grado di risolvere un’equazione del genere.

 

 

Troppi docenti per pochi posti nel Mezzogiorno

Già in partenza, prima dei trasferimenti, si sapeva che tra i docenti del Mezzogiorno, nella migliore delle ipotesi,16.500 di loro non avrebbero trovato posto in regione.

In Sicilia erano disponibili 3.521 posti a cui aspiravano 9.853 docenti; nella migliore delle ipotesi ne sarebbero stati esclusi 6.332.

In Campania vi erano 4.169 posti disponibili per 9.697 docenti campani: 5.528 di loro non avrebbero trovato posto.

In tutte le regioni del Mezzogiornoera maggiore il numero dei docenti rispetto al numero dei posti disponibili.

Regioni Posti disponibili Docenti meridionali Eccedenze di docenti
Sicilia 3.521 9.853 6.332
Campania 4.169 9.697 5.528
Puglia 2.486 4.027 1.541
Calabria 1.453 3.738 2.285
Abruzzo 894 1.017 123
Sardegna 937 996 59
Basilicata 442 962 520
Molise 290 402 112
Mezzogiorno 14.192 30.692 16.500

Elaborazione Tuttoscuola su dati Miur

 

 

Al Centro-Nord oltre 17 mila posti virtualmente disponibili

Mentre nel Mezzogiorno i 14 mila e 200 posti disponibili erano ampiamente insufficienti ad accogliere migliaia di docenti meridionali, costretti, quindi, ad emigrare, in tutte le regioni del Centro-Nord invece avviene esattamente il contrario: più posti da coprire che docenti da assegnarvi.

In Lombardia, ad esempio, prima di avviare la mobilità, erano disponibili 6.211 sedi ed erano presenti (nati e forse anche residenti) 1.633 docenti, con una eccedenza virtuale di oltre 4.500 posti.

Nel Lazioerano disponibili 5.872 posti ed erano presenti (nati e forse anche residenti) 1.843 docenti laziali, con una eccedenza virtuale di oltre 4.000 posti.

In Emilia 3.366 posti per 696 docenti nati nel territorio regionale (e quasi 2.700 posti virtualmente scoperti); nel Veneto 1.800 posti scoperti, in Toscana 1.900, in Piemonte quasi 1.200, e così via.

Regioni Posti disponibili Docenti centro-settentrionali Eccedenze di posti
Lombardia 6.211 1.633 -4.578
Lazio 5.872 1.843 -4.029
Emilia R. 3.366 696 -2.670
Veneto 2.871 1.048 -1.823
Toscana 2.622 728 -1.894
Piemonte 2.085 858 -1.227
Marche 1.083 898 -185
Liguria 914 379 -535
Umbria 696 375 -321
Friuli VG 641 275 -366
Centro-Nord 26.361 8.733 -17.628

Elaborazione Tuttoscuola su dati Miur

Come era prevedibile, sui posti delle regioni centro-settentrionali, per una compensazione fisiologica, sono arrivati quei docenti meridionali che a migliaia dovevano trovare una sede (su posto comune o di sostegno).Ma c’è stato un altro effetto, e non è stato gradevole.

 

 

La legge del cuculo nei trasferimenti interprovinciali

Per capire il meccanismo della mobilità degli insegnanti – frutto della contrattazione integrativa tra Miur e sindacati rappresentativi – occorre tener presente che, mentre per i trasferimenti ordinari, come è sempre avvenuto, i titolari di sede che volevano trasferirsi potevano chiedere al massimo 20 preferenze (15 nel settore della secondaria), i neo-immessi in ruolo con la legge 107/15 (che nell’anno scolastico appena concluso hanno prestato servizio in una sede provvisoria), tutti in attesa di sede definitiva, hanno potuto esprimere fino a 100 preferenze, cioè tante quante sono le province.

In considerazione del fatto che i neo-immessi in ruolo non hanno una sede di titolarità, non hanno una sede da cui partire: hanno soltanto una sede a cui arrivare, comunque.

I docenti obbligati al trasferimento portano in dote un punteggio determinato da anzianità di servizio, esigenze di famiglia (es. ricongiungimento alla famiglia, figli minori o meno, etc), titoli culturali generali. Più punti, maggiore probabilità di ottenere la sede gradita o vicina, secondo l’ordine di preferenza espresso.

 

Poiché la mobilità degli insegnanti avviene, quindi, secondo regole che prevedono attribuzioni di punteggi per requisiti personali e professionali ed escludono barriere tra regioni e regioni, può capitare, ed è puntualmente capitato, che, secondo la “legge del cuculo” – l’uccello che occupa il nido di altri uccelli – migliaia di docenti che non hanno trovato posto nella regione di residenza hanno occupato posti nelle regioni limitrofe o in altre non viciniori.

In queste ultime regioni è avvenuto un fenomeno analogo con docenti che, non trovando posto in casa loro anche per l’arrivo di esterni, hanno occupato altri “nidi” in altre regioni. Così, di ‘cuculo’ in ‘cuculo’, si è prodottouna specie di tsunami, che ha provocato onde migratorie di ogni tipo di regione in regione con effetti spesso sgradevoli per tanti insegnanti, compresi quelli delle regioni centrali e settentrionali, scalzati dai posti del loro territorio e costretti ad emigrare lontano a causa di punteggi personali sfavorevoli.

Al termine di questo tsunami, mediamente soltanto il 46% ha trovato soddisfazione con un posto nella propria regione: gli altri, si sono trovati fuori regione.

Ma, rispetto alla media nazionale, ovviamente la percentuale di docenti meridionali trasferiti in altre regioni è stata notevolmente più bassa rispetto a quella dei colleghi centro-settentrionali.

Mediamente soltanto il 38% di docenti meridionali, infatti, ha trovato sede nella propria regione, mentre il 62% è rimasto fuori.

Al contrario, il 74% dei docenti nati nel Centro-Nord è rimasto nella propria regione, mentre il restante 26% è stato trasferito fuori regione.

 

Regioni % docenti rimasti in regione % docenti trasferiti fuori regione
Basilicata 28,9% 71,1%
Calabria 30,4% 69,6%
Sicilia 32,9% 67,1%
Campania 37,8% 62,2%
Molise 40,5% 59,5%
Puglia 45,6% 54,4%
Abruzzo 57,8% 42,2%
Sardegna 78,7% 21,3%
Mezzogiorno 38,1% 61,9%

Elaborazione Tuttoscuola su dati Miur

Regioni % docenti rimasti in regione % docenti trasferiti fuori regione
Lazio 84,3% 15,7%
Veneto 83,9% 16,1%
Toscana 81,3% 18,7%
Emilia R. 78,2% 21,8%
Friuli VG 77,1% 22,9%
Umbria 76,3% 23,7%
Lombardia 72,0% 28,0%
Piemonte 62,2% 37,8%
Liguria 56,2% 43,8%
Marche 55,5% 44,5%
Centro-Nord 74,3% 25,7%

Elaborazione Tuttoscuola su dati Miur

 

Lo tsunami, come si vede, ha lasciato il segno ovunque.

Alcuni dati a livello provinciale evidenziano ancora di più il fenomeno. Prendiamo il caso di Napoli, dove 3 maestri della scuola primaria su 4 sono stati trasferiti fuori regione.

 

 

 

Effetto trasferimenti (esempi)

città settori sedi nella provincia totale docenti doc. trasferiti in sedi della provincia altri doc. trasferiti in regione altri doc. trasferiti fuori regione
Napoli primaria 1.175 3.842 848 22,1% 109 2,8% 2.885 75,1%
second. I gr. 1.048 1.327 713 53,7% 107 8,1% 507 38,2%
totale 2.223 5.169 1.561 30,2% 216 4,2% 3.392 65,6%
Palermo primaria 512 1.426 307 21,5% 88 6,2% 1.031 72,3%
second. I gr. 359 714 212 29,7% 61 8,5% 441 61,8%
totale 871 2.140 519 24,3% 149 7,0% 1.472 68,8%
Bari primaria 566 846 461 54,5% 46 5,4% 339 40,1%
second. I gr. 328 550 206 37,5% 41 7,5% 303 55,1%
totale 894 1.396 667 47,8% 87 6,2% 642 46,0%
Milano primaria 2.046 222 53 23,9% 31 14,0% 138 62,2%
second. I gr. 705 373 212 56,8% 56 15,0% 105 28,2%
totale 2.751 595 265 44,5% 87 14,6% 243 40,8%
Torino primaria 892 251 101 40,2% 18 7,2% 132 52,6%
second. I gr. 390 195 95 48,7% 12 6,2% 88 45,1%
totale 1.282 446 196 43,9% 30 6,7% 220 49,3%

 

Elaborazione Tuttoscuola su dati Miur

 

 

Non si risolve lo squilibrio domanda-offerta con un nuovo algoritmo

Questa migrazione forzata è conseguenza degli squilibri occupazionali della domanda-offerta sul territorio nazionale ed emerge in modo così evidente forse per la prima volta, anche se da anni in modo graduale e silenzioso era già in atto in modo diffuso.

Già l’anno scorso, in occasione dell’assegnazione di sede dei neo-immessi in ruolo con il Piano straordinario di assunzione vi erano stati segnali eloquenti dello sconquasso. Però moltissimi immessi in ruolo erano stati confermati nella sede avuta in supplenza in quei giorni e tutto era stato rinviato all’anno successivo. E l’anno successivo ora è arrivato e il problema – tenuto non nascosto o ignorato – è esploso in tutta la sua virulenza.

L’algoritmo ha fatto emergere più chiaramente un fenomeno sociale, sotterraneo ma non troppo, che sta caratterizzando da anni la nostra scuola.

Il disagio personale e familiare di chi ne viene coinvolto è enorme e richiede soluzioni strutturali. Ma parlare ora di deportazione o esodo forzato è fuori luogo, come dimostrano i numeri esposti.

L’eventuale rimodulazione dell’algoritmo potrà forse ridurre od eliminare le situazioni patologiche estreme, ma non cambierà la sostanza del pesante squilibrio domanda-offerta.

Per quanto riguarda la situazione attuale dei docenti trasferiti, una volta eliminati gli errori (se ci sono) prodotti dall’algoritmo, il problema dunque resta.

Se anche i prossimi trasferimenti della secondaria di II grado confermeranno, come temiamo, il fenomeno dello tsunami che ha coinvolto questa ultima generazione di neo-immessi in ruolo, sarà necessario, fuori da ogni populismo o protesta demagogica, ripensare a fondo ad una nuova programmazione di domanda-offerta nel sistema scolastico.

 

 

Ma al Sud il mito dell’impiego pubblico attraversa la storia d’Italia. Servono soluzioni lungimiranti

Per capire quanto complessa e a più variabili potrebbe essere la riprogrammazione della domanda-offerta di insegnanti per il sistema scolastico italiano occorre tenere presente la storica propensione dei diplomati e laureati italiani del Sud a privilegiare l’impiego pubblico anche prima della formazione dello Stato unitario: un fenomeno notato (e pesantemente criticato per il suo significato di disimpegno da attività che comportano rischi) da Vincenzo Cuoco già agli inizi dell’800, poi sviluppatosi dopo il 1861 con la formazione degli apparati burocratici e amministrativi del Regno d’Italia (magistratura, prefetture, polizia, guardia di finanza, provveditorati alle opere pubbliche e agli studi, e anche insegnanti, specie di scuola secondaria).

Un fenomeno, dunque, che ha radici secolari, dovuto in parte – come sostenuto da buona parte della letteratura scientifica meridionalista, da Guido Dorso a Pasquale Saraceno – alle caratteristiche del contesto socioeconomico del Sud, non favorevole allo sviluppo di attività imprenditoriali richiedenti in loco competenze di livello formativo superiore di tipo tecnico-scientifico,  e in parte alla sua forte stratificazione sociale, all’interno della quale, per le classi medio-alte, l’impiego pubblico costituiva una scelta prioritaria e soddisfacente anche in termini di prestigio sociale e professionale.

I concorsi per le Pubbliche Amministrazioni, e anche quelli per insegnare nella scuola statale, erano fino a pochi decenni fa rigorosamente nazionali, e quindi era considerato normale raggiungere la sede di destinazione ovunque essa fosse. E questo è stato il destino, accettato spesso di buon grado, di generazioni di maestri e prof meridionali, di liceo ma anche universitari. Basti ricordare, andando indietro nel tempo, il salernitano Abbagnano a Torino, il siciliano Gentile a Pisa e Firenze.

La forte resistenza che stanno opponendo molti degli attuali ‘assegnati’ ad ambiti lontani da quelli di residenza è dovuta probabilmente alla loro età mediamente superiore a quella dei vincitori dei concorsi di un tempo, e all’ulteriore crescita della componente femminile tra i docenti: un conto è vincere un concorso a trent’anni e costruirsi un percorso di vita anche a mille chilometri di distanza dal luogo di nascita e di residenza, ben altra cosa è essere una insegnante quarantenne sposata e con figli, e doversi spostare lontano da casa senza avere troppe speranze di ottenere un trasferimento o un avvicinamento in tempi ragionevolmente brevi.

 

Come uscire dall’impasse? Nell’immediato (cioè a settembre 2016) ci sembra che ci sia poco da fare, salvo correggere gli eventuali errori dovuti al mal funzionamento dell’algoritmo ma – sia chiaro – senza privilegiare o danneggiare nessuno, cioè senza tornare alle pratiche di sottogoverno di un tempo.

A breve-medio termine, cioè nel corso dell’anno scolastico che sta per iniziare e subito dopo, l’unica via percorribile, considerata la persistenza al Sud di fenomeni come la dispersione e gli scadenti risultati nei test Invalsi e Pisa, ci sembra quella che Tuttoscuola ha suggerito ormai da tempo (almeno dalle ‘Sei idee’ del settembre 2013), e che il governo sembra sia pur timidamente orientato a imboccare: tenere aperte le scuole (non solo d’estate o occasionalmente), incentivare il tempo pieno nel Sud, intervenire con piani integrati straordinari nelle aree a rischio. Vale a dire, nessuna forma di assistenzialismo, ma investimenti in maggiori servizi, da valutare scrupolosamente e con il pieno coinvolgimento degli interessati in modo da misurarne il tasso di ritorno.

Tutto ciò potrebbe portare nel giro di 1-2 anni alla redistribuzione di buona parte di quei posti assegnati ‘fuori sede’. Ma certo, occorre che il governo decida di investire nella scuola del Sud anche in termini di formazione ad hoc dei docenti da impegnare nei piani straordinari anti-dispersione e nelle altre iniziative (tempo pieno e scuole aperte). D’altra parte è dimostrato che nel medio-lungo periodo l’investimento in istruzione (che non è la ‘spesa’ per l’istruzione) è quello che ha un migliore ritorno dal punto di vista non solo economico ma anche sociale.