Contratto, 3 mld per la scuola

da ItaliaOggi

Contratto, 3 mld per la scuola

È quanto serve per recuperare l’inflazione. Dal governo finora 300 milioni per tutti gli statali.

Marco Nobilio

Dal gennaio 2009, mese in cui venne sottoscritto l’ultimo contratto economico del comparto scuola, al mese di luglio 2016 le retribuzioni del personale scolastico hanno perso il 9,6% del potere di acquisito. È quanto emerge confrontando i dati Istat sull’andamento dell’indice dei prezzi al consumo, disponibile sul sito dell’istituto nazionale di statistica: www.istat.it. A ciò va aggiunto l’effetto sulle retribuzioni della cancellazione dell’utilità del 2013 ai fini degli scatti di anzianità, che da solo porta via circa 1.000 euro netti l’anno. Insomma, per recuperare quello che manca e mettersi in pari con il salario reale, rispetto al 2009, ci vorrebbe un aumento netto di almeno 180 euro al mese.

Solo per la scuola, dunque, sarebbero necessari circa 3 miliardi di euro. E poi bisognerebbe fare i conti con gli altri comparti. Il condizionale è d’obbligo, perché la crescita zero e la crisi economica inducono a ritenere che il rinnovo contrattuale, se ci sarà, avrà esiti molto contenuti in termini di adeguamenti retributivi.

Resta il fatto, però, che la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il blocco della contrattazione nel pubblico impiego. Anche se l’illegittimità vale solo a partire dal 30 luglio 2015, giorno di pubblicazione della sentenza in Gazzetta Ufficiale. E quindi, in qualche modo, il governo dovrà incrementare le retribuzioni dei dipendenti pubblici. Cgil, Cisl e Uil hanno fatto sapere al governo che, per rinnovare il contratto dei dipendenti pubblici (circa 1/3 sono lavoratori della scuola) ci vogliono almeno 7 miliardi di euro.

Il governo, fino ad oggi, ha stanziato solo i 300 milioni della legge di stabilità 2016. E non si sa ancora a quanto ammonterà la cifra che sarà messa a disposizione nella prossima finanziaria. Prima della pubblicazione della sentenza il governo aveva proposto ai sindacati di negoziare solo la parte normativa del contratto. Ma le organizzazioni hanno subito fatto sapere di non essere interessate. Un timido tentativo era stato fatto all’Aran, 3 anni fa, solo sul riordino della disciplina dei permessi. Ma anche lì la trattativa è morta sul nascere.

D’altra parte, rinegoziare la parte normativa potrebbe portare a svantaggi. Dal 2009, infatti, la contrattazione collettiva non può più derogare le norme di legge, fatte salve le deroghe introdotte fino a tale anno. Pertanto, se si rimettesse mano alla disciplina dei vari istituti, le parti rischiano di peggiorare il relativo trattamento.

Proprio per effetto delle nuove norme di legge introdotte nel frattempo, che non potrebbero più essere derogate in senso più favorevole ai lavoratori. Pertanto, in assenza di norme ad hoc, che dispongano il ripristino del potere della contrattazione collettiva di pattuire trattamenti migliorativi rispetto alle norme di legge, il rischio che si corre è quello di fare più male che bene.

In pratica, non è solo una questione di soldi, ma anche di garanzie di mantenimento in vita di diritti fondamentali. Come quello di fruire delle assenze tipiche, senza subire penalizzazioni e, soprattutto, di mantenere costante l’onerosità della prestazione. Se così non fosse, la stipula di un nuovo contratto potrebbe portare, addirittura, ad una forte perdita salariale. Si pensi, per esempio, all’ipotesi della cancellazione dei tre giorni di permesso retribuiti per motivi personali, previsti dall’articolo 15 del contratto, ma non dalla legge, oppure all’aumento delle ore di insegnamento nelle scuole secondarie, a parità di retribuzione. Ipotesi, quest’ultima, che era stata messa nero su bianco dal governo Monti nella finanziaria del 2013, poi ritirata all’ultimo momento.

Insomma, la strada è tutta in salita. Oltre tutto, nella scuola è in atto un processo di rilegificazione di importanti istituti, quali, per esempio, la mobilità dei docenti neoassunti o in esubero, sui quali i sindacati hanno intentato azioni legali volte a sottoporre alcune parti della legge 107/2015 al vaglio della Consulta.