Ordinanza Tribunale Torino 9 settembre 2016, n. 21250

R.G. 21250/2016

tra

(omissis)

RICORRENTE

e

ISTITUTO G. MAZZINI

UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE

MINISTERO DELL’UNIVERSITÀ, DELL’ISTRUZIONE E DELLA RICERCA

RESISTENTE

Il giudice, sciogliendo la riserva assunta all’udienza del 5.9.2016, osserva quanto segue.

Parte ricorrente espone

  • di esercitare la potestà genitoriale su (omissis), iscritta presso la scuola Giuseppe Mazzini di Torino, presso la quale è attivo un servizio di mensa;
  • che la Corte d’Appello di Torino, con la sentenza n. 1049 del 21 giugno 2016 (resa nel giudizio d’appello proposto da n. 58 genitori di altrettanti studenti di scuole elementari e medie di Torino), ha accertato “il diritto degli appellanti di scegliere per i propri figli tra la refezione scolastica ed il pasto domestico da consumarsi nell’ambito delle singole scuole e nell’orario destinato alla refezione”;
  • che alcune amministrazioni comunali e istituti scolastici hanno negato l’esistenza di analogo diritto di scelta (fra refezione scolastica e pasto domestico da consumare a scuola) per coloro che non avevano preso parte al giudizio di cui sopra;
  • che tale posizione lede diritti fondamentali del ricorrente (allo studio, al lavoro, alla libertà delle scelte alimentari, alla uguaglianza), riconosciuti da norme di rango costituzionale, diritti che sono stati accertati dalla Corte d’Appello per le parti di quel processo, ma che sussistono ugualmente anche per coloro che non vi hanno partecipato;
  • che questi diritti rischiano di essere pregiudicati nel tempo occorrente per il loro accertamento giudiziale, poiché la facoltà di scelta tra refezione scolastica e pasto domestico da consumare a scuola non potrà concretamente essere esercitata nel prossimo anno scolastico, di imminente inizio.

Chiede pertanto che il Tribunale, con provvedimento ex art. 700 c.p.c., accerti il proprio diritto di scegliere tra la refezione scolastica e il pasto domestico da consumarsi nell’ambito delle singole scuole e nell’orario destinato alla refezione; e ordini ai convenuti “di consentire alla ricorrente … di dotare la propria figlia di un pasto domestico preparato a casa, da consumarsi nel refettorio scolastico, o previa dimostrazione dell’impossibilità giuridica, presso altro locale idoneo destinato alla refezione, a partire dal primo giorno di scuola e di attivazione del servizio di refezione comunale ed in concomitanza a questo”.

Il MINISTERO dell’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA (MIUR) e l’Istituto scolastico resistono in giudizio, chiedendo il rigetto del ricorso, in quanto:

  • parte ricorrente non può ottenere un provvedimento cautelare che incida sulla discrezionalità organizzativa dei singoli istituti scolastici, poiché il giudice ordinario difetta di giurisdizione sul punto;
  • la sentenza della Corte d’Appello invocata dal ricorrente – ad oggi non passata in giudicato – non fa stato nei suoi confronti, essendo egli rimasto estraneo a quel processo;
  • il ricorso ex art. 700 c.p.c. non è lo strumento idoneo per ottenere l’estensione degli effetti di una sentenza di merito resa inter alios, essendo esperibile il rimedio tipico dell’ottemperanza davanti al TAR; fa quindi difetto la sussidiarietà della tutela invocata;
  • il diritto vantato dal ricorrente a consumare a scuola, durante l’orario destinato alla refezione, un pasto preparato a casa, non ha fondamento giuridico.
  1. Inquadramento della domanda cautelare.

1.1 Il ricorso d’urgenza proposto è volto in primo luogo a ottenere l’accertamento di un diritto: quello a scegliere, per la propria figlia, tra la refezione scolastica e il pasto domestico da consumare a scuola. Parte ricorrente sostiene infatti che, nel tempo necessario per l’accertamento nelle forme ordinarie, tale diritto, la cui esistenza è concretamente negata dai convenuti, potrebbe essere compromesso. Parte ricorrente chiede ricorrente chiede inoltre che il giudice conceda i provvedimenti ritenuti più idonei ad anticipare e assicurare gli effetti della decisione di merito e ordini, quindi, alle amministrazioni convenute di consentire alla ricorrente di dotare la propria figlia di un pasto preparato a casa da consumare nel refettorio scolastico o, in subordine, presso altro locale idoneo.

1.2 Va subito chiarito, in risposta alle difese dei convenuti, che il presente procedimento non è volto a dare attuazione alla sentenza della Corte d’Appello di Torino del 21 giugno 2016 n. 1049; né a estendere a terzi, estranei a quel giudizio, l’efficacia dell’accertamento contenuto in quella sentenza. La pronuncia della Corte d’Appello infatti – che non risulta ad oggi passata in giudicato – viene citata dal ricorrente come (autorevole) precedente a supporto della propria domanda. Ciò emerge chiaramente dalla narrativa del ricorso, dove si legge (p. 11): “La nota del Ministero [prodotta dal ricorrente come doc. 9, ove si afferma che la sentenza della Corte è efficace soltanto fra le parti] esprime un principio condivisibile, ossia quello per il quale le sentenze sono destinate a disciplinare, ai sensi dell’art. 2909 cod. civ., unicamente i rapporti tra le parti ed i loro aventi causa. Tuttavia, l’Avvocatura distrettuale dello Stato ben s’è guardata dal rendere edotto il Ministero … della portata generale ed astratta della pronuncia della Corte d’Appello di Torino la quale … rappresenta un autorevole precedente giurisprudenziale che ha scolpito un principio generale …”. D’altronde, parte ricorrente si duole proprio della disparità di trattamento che deriva dalla condotta del Ministero, il quale si rifiuta di riconoscere che lo stesso diritto accertato dalla Corte d’Appello in favore delle parti di quel giudizio sussiste anche in capo ai soggetti che non vi hanno preso parte; e si rammarica del fatto che questi ultimi siano costretti, da tale presa di posizione, a proporre autonomi ricorsi giudiziali, esponendosi a costi e spese (ricorso p. 16).

1.3 Così definito l’oggetto della domanda cautelare, ne consegue l’irrilevanza (e comunque l’infondatezza) delle difese dei convenuti relative al fatto che la sentenza della Corte d’Appello non è passata in giudicato. Egualmente inconsistente è il dedotto difetto di sussidiarietà del presente ricorso ex art. 700 c.p.c., dovendo esperirsi il rimedio tipico del giudizio di ottemperanza dinanzi al TAR. Non si tratta infatti, in questa sede, di dare attuazione a quella sentenza o estenderne gli effetti, ma di accertare autonomamente, in favore di soggetti estranei a quel giudizio, l’esistenza di un diritto di contenuto identico a quello già accertato in favore delle parti di quel processo.

1.4 Sotto diverso profilo, le Amministrazioni resistenti contestano che parte ricorrente non può ottenere (né in sede cautelare, né in sede di merito) il provvedimento richiesto, poiché esso inciderebbe sulle modalità di erogazione del servizio mensa, riservate alla discrezionalità organizzativa di ciascun istituto scolastico.

Nel ricorso si chiede infatti di ordinare ai convenuti di permettere la consumazione del pasto portato da casa “nel refettorio scolastico, o previa dimostrazione dell’impossibilità giuridica, presso altro locale idoneo”. Ma una tale misura implica una serie di valutazioni tipicamente rientranti nell’attività discrezionale della pubblica amministrazione. Da qui l’eccezione di carenza di giurisdizione del giudice ordinario. Ora, pare indiscutibile che le modalità attraverso cui deve essere data attuazione al diritto vantato dal ricorrente esulano dall’ambito della giurisdizione ordinaria, perché comportano l’adozione di misure organizzative, anche in funzione degli aspetti igienicosanitari evidenziati dai resistenti, che rientrano nella tipica attività discrezionale dell’amministrazione. Pertanto, fatte salve le puntualizzazioni di cui si dirà oltre (§ 4.2), che attengono alla consistenza del diritto da accertare, il presente provvedimento cautelare non potrebbe definire in concreto le modalità attraverso cui il diritto deve essere esercitato. Ciò tuttavia non comporta il difetto di giurisdizione ordinaria poiché – come sopra chiarito – la domanda cautelare ha come primo e principale oggetto un provvedimento di accertamento di un diritto soggettivo.

1.5 Che parte ricorrente non possa chiedere, col ricorso al presente esame, l’attuazione delle modalità organizzative necessarie a consentire la consumazione del pasto domestico all’interno della scuola, non toglie che essa conservi comunque specifico interesse al ricorso d’urgenza. Secondo giurisprudenza ormai consolidata (con particolare chiarezza e approfondimento vedi Trib. Bari 9.11.2012 su Jus Explorer; cfr. altresì Trib. Milano 2.7.2013, Trib. Cagliari 30.1.2008 in Riv. giur. sarda 2008, 112; Trib. Rossano 3.4.2007 e altre anteriori), il provvedimento d’urgenza idoneo ad assicurare temporaneamente e in via interinale il diritto minacciato di pregiudizio imminente e irreparabile può consistere anche nel solo mero accertamento dell’esistenza e contenuto del diritto fatto valere.

Indiscusso che tale pronuncia non può attingere alla stabilità del giudicato, né “fare stato” ai sensi dell’art. 2909 c.c.. Evidente tuttavia che la dichiarazione di esistenza e contenuto del diritto rimuove uno stato di incertezza e fornisce alle parti regole di condotta a cui esse devono orientare i propri comportamenti futuri. Tale regolamento del rapporto, seppure provvisorio, vale tra le parti fino a che non sia sostituito da accertamento di merito, a cognizione piena. Il giudizio a cognizione piena, peraltro, riveste oggi carattere meramente eventuale (cfr. art. 669-octies co. 6 c.p.c.), poiché il provvedimento richiesto ha contenuto interamente anticipatorio della pretesa fatta valere.

Vero è dunque che anche la pronuncia dichiarativa, rafforzando il diritto fatto valere, soddisfa la condizione dell’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c.. Sempre che si tratti, come in specie, di un diritto minacciato da pregiudizio imminente e irreparabile (cfr. § 3) e che sia dato di assumere, con prognosi ex ante, l’idoneità della pronuncia a evitare quel pregiudizio: anche, se del caso, per il tramite della volontaria osservanza del provvedimento da parte del suo destinatario. Conforta questa valutazione nel caso di specie la circostanza che il provvedimento è destinato ad Amministrazioni pubbliche, tenute ad agire nel rispetto del principio di legalità, ancorché oggi incerte sull’esistenza e contenuto del diritto fatto valere ex adverso.

A maggior ragione appare indubbio l’interesse concreto e attuale del ricorrente a una pronuncia dichiarativa del suo diritto, alla luce della posizione manifestata dalle Amministrazioni convenute. Mentre infatti le Amministrazioni scolastiche hanno in corso, di concerto con i Comuni interessati (in particolare Torino), la predisposizione delle misure organizzative necessarie a dare esecuzione alla sentenza n. 1049 della Corte d’appello, e quindi a rendere possibile il consumo a scuola del pasto domestico, al contempo l’Ufficio Scolastico Regionale nega la sussistenza di quel medesimo diritto a soggetti diversi dalle parti del processo conclusosi con la cit. sentenza. Cfr. al riguardo la nota dell’ufficio scolastico regionale 15.7.2016 (doc. 9 ric.).

  1. Il diritto da accertare (fumus boni juris).

2.1 Il diritto di consumare a scuola, durante l’orario di refezione, un pasto preparato a casa viene presentato dal ricorrente come espressione e manifestazione di alcuni diritti fondamentali di rilevanza costituzionale: il diritto allo studio, quello alla libertà delle scelte alimentari, quello di uguaglianza e quello al lavoro. Questa impostazione deve ritenersi, almeno per quanto riguarda il diritto allo studio e al principio di eguaglianza, sostanzialmente condivisibile per le ragioni di seguito indicate.

2.2 Il diritto allo studio è riconosciuto dall’art. 34 Cost., che lo declina, in primo luogo, attraverso la previsione di obbligatorietà e gratuità dell’istruzione inferiore per almeno 8 anni. La gratuità dell’istruzione è un principio assoluto e in alcun modo relazionato al reddito dei soggetti che devono fruirne. E’ quindi evidente che condizionare o limitare il diritto allo studio in base alla fruizione di prestazioni a pagamento viola il dettato costituzionale.

L’ordinamento scolastico vigente consente a ciascun istituto di articolare il proprio piano di offerta formativa, fissando un orario scolastico settimanale a 24, 27, 30 o 40 ore (cfr. art. 1 del d.l. 7.9.2007 n. 147 conv. in legge 25.10.2007 n. 176; art. 4 D.P.R. 20.3.2009 n. 89).

Le 40 ore settimanali sono definite “tempo pieno”, implicano l’affidamento dell’alunno all’istituzione scolastica per una durata di otto ore per cinque giorni – in genere da prima mattina fino a metà pomeriggio (entrata 8,30 – uscita 16,30) – e comprendono esse sole “il tempo dedicato alla mensa” (d.l. 147/2007), che costituisce dunque parte dell’orario scolastico.

Per agevolare le famiglie degli studenti che frequentano “a tempo pieno”, i Comuni, proprietari degli edifici scolastici, mettono a disposizione un servizio di refezione, appaltandolo a ditte private. Questo servizio pubblico è tuttavia a pagamento e riveste carattere non obbligatorio, ma facoltativo “a domanda individuale”, come riconoscono le stesse Amministrazioni resistenti (cfr. D.M. Interno 31.12.1983).

Sostengono le Amministrazioni resistenti che i genitori che non vogliono avvalersi del servizio di mensa possono: 1) scegliere una formula diversa dal “tempo pieno”; 2) prelevare il figlio da scuola all’ora di pranzo, fargli consumare il pasto altrove e riaccompagnarlo per la ripresa pomeridiana delle lezioni, il tutto dietro autorizzazione all’uscita ed entrata fuori orario.

La prima interpretazione non ha un solido fondamento normativo ed entra in larvato conflitto con gli artt. 3 e 34 Cost. La legge, segnatamente l’art. 1 del d.l. 147/2007, comprende nell’orario scolastico di 40 ore “il tempo dedicato alla mensa”, ma non subordina l’iscrizione al tempo pieno all’adesione al servizio di refezione.

Né potrebbe essere altrimenti. Subordinare, di diritto o in via di fatto, l’iscrizione alle 40 ore soltanto a coloro che aderiscano al servizio di mensa e siano disponibili a sostenerne l’onere economico implicherebbe che un servizio facoltativo a pagamento diventi condizione per accedere a un’istruzione pubblica garantita dalla Costituzione come gratuita, oltreché obbligatoria. È quindi evidente che l’accesso al “tempo pieno” non deve portare alle famiglie consistenti maggiori oneri economici rispetto al “tempo definito” che non abbiano carattere di volontarietà. Ossia che il servizio di refezione deve restare un’agevolazione alle famiglie, “facoltativa a domanda individuale”, senza potersi larvatamente imporre come condicio sine qua non per la scelta del “tempo pieno”.

Può aggiungersi che la libertà di scelta del genitore (tra “tempo pieno” e “tempo definito”) non è affatto incondizionata, dipendendo sia dall’offerta formativa dell’istituto, dal numero di classi e di posti per classe disponibili, in rapporto alla domanda dell’utenza, sia, ancor più spesso, da dinamiche familiari che non consentono – in genere per ragioni lavorative – ai genitori o ad altre persone di famiglia di farsi carico del figlio all’ora di pranzo, tanto meno di prelevarlo quotidianamente da scuola e riportarvelo dopo pranzo, e che pertanto inducono ad affidarlo all’istituzione scolastica fino a metà pomeriggio.

La seconda interpretazione, oltre a trascurare le dinamiche familiari anzidette, sottese alla previsione normativa dell’affidamento dell’alunno a “tempo pieno”, implica che lo studente venga a perdere la parte del “tempo scolastico” destinato al pranzo comune e alle attività (di socializzazione, distensive e ricreative) che ad esso si accompagnano.

Al riguardo, come già rilevato in altre pronunce di questo Tribunale, che lo scrivente condivide e a cui intende dare continuità, la questione è dunque duplice. Anzitutto, di verificare se questo “tempo della mensa” abbia una funzione educativa. Secondo, se esistano ostacoli, rappresentati da altri diritti di pari dignità e confliggenti con quello qui fatto valere, che giustifichino in concreto la compressione o la negazione di questo diritto.

2.3 Sulla prima questione, come già ha ritenuto la cit. sentenza della Corte d’Appello, la funzione educativa della scuola non può ridursi alla sola trasmissione del sapere, ma coinvolge il rispetto dei principi di convivenza civile e l’educazione al rapporto con gli altri.

L’art. 5 del d. lgs. 19.2.2004 n. 59 definisce in questi ampi termini le finalità della scuola primaria: “La scuola primaria, accogliendo e valorizzando le diversità individuali, ivi comprese quelle derivanti dalle disabilità, promuove, nel rispetto delle diversità individuali, lo sviluppo della personalità, ed ha il fine di far acquisire e sviluppare le conoscenze e le abilità di base, ivi comprese quelle relative all’alfabetizzazione informatica, fino alle prime sistemazioni logico-critiche, di fare apprendere i mezzi espressivi, la lingua italiana e l’alfabetizzazione nella lingua inglese, di porre le basi per l’utilizzazione di metodologie scientifiche nello studio del mondo naturale, dei suoi fenomeni e delle sue leggi, di valorizzare le capacità relazionali e di orientamento nello spazio e nel tempo, di educare ai principi fondamentali della convivenza civile”. Parimenti, rientra nelle finalità della scuola secondaria di primo grado (art. 9 d. lgs.) il “rafforzamento delle attitudini all’interazione sociale”. I passaggi anzidetti, enfatizzati in corsivo dallo scrivente, testimoniano l’irriducibilità della funzione scolastica alla semplice trasmissione del sapere e per converso la valorizzazione delle diversità individuali, l’educazione al rispetto dei principi di convivenza civile e al rapporto con gli altri.

In linea con questa ampia funzione della scuola primaria e secondaria di primo grado, la Circolare del Ministero dell’Istruzione del 5.3.2004 (in atti) sottolinea che i tre segmenti orari del “monte ore obbligatorio”, del “monte ore facoltativo” e dell’“orario riservato all’erogazione del servizio di mensa e di dopo mensa” “rappresentano il tempo complessivo di erogazione del servizio scolastico. Essi non vanno considerati e progettati separatamente, ma concorrono a costituire un modello unitario del processo educativo, da definire nel Piano dell’offerta formativa”.

Il c.d. “tempo mensa” rappresenta infatti un essenziale momento di condivisione, socializzazione, confronto degli studenti con i limiti e le regole che derivano dal rispetto degli altri e dalla civile convivenza. In piena coerenza con questa impostazione, il d.lgs. 59/2004 prevede che l’organico degli istituti scolastici debba essere determinato non solo per garantire le attività educative e didattiche di cui ai commi 1° e 2° degli art. 7 e 9 (rispettivamente dettati per la scuola primaria e per quella secondaria di primo grado); ma anche “per garantire l’assistenza educativa del personale docente nel tempo eventualmente dedicato alla mensa e al dopo mensa”.

E la già ricordata Circolare del Ministero dell’Istruzione ribadisce che “I servizi di mensa, necessari per garantire lo svolgimento delle attività educative e didattiche … vengono erogati utilizzando l’assistenza educativa del personale docente, che si intende riferita anche al tempo riservato al dopo mensa”. La funzione educativa della mensa è dunque insistita, e ribadita nella scelta di far assistere gli allievi da “personale docente”.

Le stesse Amministrazioni resistenti concedono che “la ristorazione scolastica non deve essere vista come un semplice soddisfacimento dei bisogni nutrizionali, ma deve essere considerata un importante e continuo momento di educazione e di promozione della salute, che coinvolge sia gli alunni che i docenti” (comparsa di risposta pag. 8).

Evidente dunque che l’ora di pranzo non ha la stessa rilevanza di un’ora di italiano o di matematica. Queste sono imprescindibili e previste in ogni piano formativo. Il tempo della mensa e del dopomensa entra solo nella formula delle 40 ore, che implica l’affidamento dell’alunno alla scuola in via continuativa fino a metà pomeriggio. Pur tuttavia, anche questa parte della giornata viene piegata dall’istituzione scolastica a svolgere una funzione educativa e trattata come parte dell’offerta formativa.

2.4 Su queste premesse, ferma restando la possibilità di uscire accompagnato all’ora di pranzo e rientrare per la ripresa pomeridiana delle lezioni, il diritto dell’alunno a “tempo pieno” di partecipare al “tempo mensa e dopo mensa” a scuola non può essere negato, né subordinato all’adesione a un servizio a pagamento, come quello di refezione.

Segue, per esclusione, che l’unica alternativa ragionevolmente praticabile, rispettosa sia dell’art. 34 Cost., sia dei dati emergenti dalle fonti di legge e ministeriali, consiste nel consentire agli alunni del “tempo pieno” che non aderiscono al servizio di refezione comunale di consumare a scuola un pasto domestico, ossia preparato a casa.

2.5. Va ora verificato – e si tratta della seconda questione preannunciata sub § 2.2. – se il diritto sopra accertato possa essere limitato o escluso. Ciò che potrebbe accadere solo in virtù dell’accertata esistenza di altri diritti, aventi dignità pari o superiore.

Secondo le Amministrazioni resistenti, l’individuazione dei locali nei quali far consumare i pasti portati da casa è decisione che spetta ai singoli istituti e involge valutazioni di carattere tecnico e di opportunità. Tali valutazioni “potranno essere compiutamente effettuate solo in seguito all’inizio dell’anno scolastico … posto che le stesse presuppongono, già solo per mero buonsenso, che venga preliminarmente definito il numero degli allievi che decidano di formulare istanza in tal senso”. Lo scrivente conviene sul punto: come già è stato scritto (§ 1.4.), le modalità organizzative rientrano nell’autonomia dei singoli istituti e dipendono da numerose variabili, tra cui l’ampiezza degli spazi a disposizione e il numero di istanze pervenute.

I convenuti fanno valere inoltre l’affidamento dei locali della mensa scolastica alle ditte che gestiscono il relativo servizio di refezione, secondo le previsioni contenute nei contratti di appalto (doc. 4), nonché clausole di “generale divieto di introdurre alimenti esterni (ossia non riconducibili alle ditte concessionarie del servizio) nella mensa, durante l’orario dei pasti”, la cui fonte normativa risiede (comparsa pag. 11) in clausole di esclusione previste nelle polizze assicurative stipulate dalle ditte che erogano i servizi di mensa (peraltro non prodotte in giudizio).

Lo scrivente conviene che il riconoscimento del diritto al consumo a scuola del pasto domestico non può comportare sacrificio o arretramento di interessi pubblici di pari dignità: in particolare dell’interesse a mantenere invariato lo standard igienico-sanitario, a tutela di tutti gli utenti, anche di coloro che continueranno ad avvalersi del servizio di mensa e, in funzione di ciò, a non deflettere sull’osservanza da parte dell’appaltatore degli standard HAACP previsti dal regolamento UE n. 852/04 e richiamati dall’art. 34 del capitolato di appalto (doc. 4 res.) e sull’esistenza di idonea ed effettiva copertura assicurativa nel caso che abbia a verificarsi un danno a terzi riconducibile alla gestione del servizio di mensa.

Queste considerazioni non implicano peraltro – come già hanno ritenuto altre pronunce di questo Tribunale, che lo scrivente fa proprie – la negazione del diritto dell’alunno a consumare a scuola un pasto domestico, anziché avvalersi del servizio di refezione. Primo, non hanno valore di fonte normativa e sono res inter alios acta, incapaci dunque di pregiudicare una facoltà che deve intendersi riconosciuta dalle fonti esaminate sub § 2.2. e 2.3..

Secondo. L’utilizzo dello stesso refettorio, se questa è la scelta organizzativa dell’istituto scolastico, da parte di utenti diversi – quelli che utilizzano il servizio di refezione, quelli che consumano il pasto domestico – può rendere opportuno stabilire regole di coesistenza: regole che hanno anche, e soprattutto, la funzione di mantenere chiarezza sull’ambito entro cui la ditta appaltatrice del servizio può essere chiamata a rispondere per il cibo somministrato in mensa.

Che ciò porti alla divisione in due ali del refettorio o all’avvicendamento di gruppi di utenti o ad altra soluzione ancora, si tratta comunque, e in ogni caso, di coesistenza e non di reciproca esclusione. Ai fini che ne occupano, il diritto di parte ricorrente al consumo di pasti domestici a scuola nell’intervallo del pranzo esce confermato, ferma la discrezionalità amministrativa nell’organizzazione delle modalità necessarie a consentirne il consumo.

2.6. Un’ultima considerazione merita la questione igienico-sanitaria: nell’ottica, questa volta, della salute dello studente che sceglie di non avvalersi del servizio di refezione offerto e consuma il pasto domestico a scuola. Parte ricorrente si fa forte di una comunicazione resa dall’ASL TO 1 con la quale si certificava che “nessuna normativa vigente vieta il consumo di alimenti all’interno dei refettori scolastici diversi da quelli ivi somministrati” (doc. 1 ric.). Le Amministrazioni resistenti producono, per parte loro, un parere igienico-sanitario della ASL n. 5 del 14.2.2001 (doc. 3 res.) in merito a conservazione e riscaldamento delle vivande portate da casa.

Tali considerazioni non appaiono risolutive. Che per ragioni organizzative, ad es. indisponibilità di dispositivi scaldavivande o refrigeranti, alcuni cibi non possano essere consumati a scuola non esclude il diritto dell’alunno al consumo di un pasto domestico nell’intervallo del pranzo. Né tale diritto può risultare inficiato dalle norme regolamentari europee in tema di “igiene dei prodotti alimentari” (oggi Reg. 29.4.2004 n. 852) visto che tale disciplina deve “applicarsi solo alle imprese, concetto che implica una certa continuità delle attività e un certo grado di organizzazione” e non dunque ai privati (considerando n. 9), né si applica “alla preparazione, alla manipolazione e alla conservazione domestica di alimenti destinati al consumo domestico privato” (art. 1.2).

  1. Le esigenze di urgenza (periculum in mora).

Il ritardo nella tutela del diritto è evidentemente irreparabile. Come già accennato (sub § 1.6.), l’Amministrazione, pur preparandosi a concedere a chi è stato parte del giudizio avanti alla Corte d’appello la facoltà di scegliere il consumo del pasto domestico, nega questa stessa possibilità a coloro che siano rimasti estranei alla lite. Evidente dunque la necessità di agire in giudizio in via di urgenza per rientrare, fin d’ora, nel novero degli aventi diritto.

La strada ordinaria appare non percorribile, comunque non altrettanto efficace. Si tratta di diritti strettamente inerenti a un rapporto di utenza (scuola primaria), fisiologicamente destinato a cessare per effetto della progressione nel corso di studi. Considerando la durata media dei giudizi, riesce evidente che, per almeno due anni di scuola primaria e forse più, all’alunno (recte al suo genitore) potrebbe riuscire precluso l’esercizio di tale scelta. In casi estremi (alunni del quarto, quinto anno), potrebbe perfino negarsi che all’esito della causa ordinaria persista un interesse ad agire, in ragione del passaggio a un corso di studi superiore, che non contempla più il “tempo pieno”.

Le Amministrazioni resistenti tendono a minimizzare la gravità del danno, riducendo la questione in termini puramente economici, di reazione al “caro mensa”. La difesa è infondata. Secondo uno stabile condiviso indirizzo giurisprudenziale, ricorre l’estremo della gravità e irreparabilità del danno ai fini del ricorso alla tutela d’urgenza, se i diritti hanno contenuto non patrimoniale o assolvono comunque a bisogni primari della persona.

Nella specie, anche a presumere che l’azione giudiziale dell’odierno ricorrente, come degli altri, costituisca una reazione al cattivo rapporto prezzo/qualità del servizio di refezione offerto dal Comune, l’istruzione obbligatoria attiene incontrovertibilmente alla sfera dei bisogni primari dell’individuo. La compromissione della facoltà di scelta, tra “tempo pieno” e “tempo definito”, tra utilizzo del servizio di refezione, consumazione del pasto domestico a scuola anziché a casa ecc., riveste quindi il richiesto carattere di gravità e irreparabilità per dare luogo alla tutela d’urgenza.

  1. Le modalità di esercizio del diritto.

4.1 Si è già chiarito al § 1 che il giudice ordinario non ha il potere di individuare e prescrivere le modalità attraverso cui i singoli istituti scolastici devono assicurare l’esercizio del diritto. Un tale limite era stato già chiaramente individuato nella sentenza della Corte d’Appello, che aveva dichiarato il difetto di giurisdizione sulle domande con cui si chiedeva di impartire alle dirigenze scolastiche disposizioni per consentire agli studenti che decidono di non fruire della refezione scolastica di consumare il proprio pasto all’interno dei locali mensa della scuola. Non è pertanto possibile statuire in quale locale scolastico debba essere consumato il pasto portato da casa, né interferire in alcun modo su altre modalità organizzative.

4.2 Va però fatta un’ultima puntualizzazione. Le modalità attraverso cui l’istituto scolastico darà attuazione concreta al diritto qui riconosciuto non possono essere tali da snaturare o annullare di fatto i contenuti del diritto fondamentale alla istruzione, che costituisce il presupposto e la ragion d’essere del diritto (al pasto domestico) che qui si riconosce. E va dunque ricordato che il “tempo mensa e dopo mensa” è parte dell’offerta formativa ed è un momento di esplicazione (cfr. § 2.3) dello sviluppo della personalità, valorizzazione delle capacità relazionali, educazione ai principi della civile convivenza. Valori formativi che devono essere preservati, per quanto possibile, dall’istituzione scolastica, pena la negazione del diritto che è stato qui accertato.

  1. Spese del procedimento.

La presente ordinanza ha carattere interamente anticipatorio. Pertanto non occorre assegnare termine per introdurre il giudizio di merito, ai sensi dell’art. 669-octies co. 6 c.p.c. e deve provvedersi alla liquidazione delle spese di lite. Non sussistono ragioni di discostarsi dal criterio della soccombenza. Le spese sono liquidate avuto riguardo al valore di lite (€ 600,00) dichiarato ai fini del pagamento del contributo unificato.

PQM

Visti gli art. 669-sexies e 700 c.p.c., accerta e dichiara il diritto della ricorrente di scegliere per la propria figlia tra la refezione scolastica e il pasto preparato a casa da consumare presso la scuola nell’orario destinato alla refezione; rigetta ogni ulteriore domanda del ricorrente; condanna le resistenti in solido tra loro a rifondere al ricorrente la somma di € 48,50 per C.U., € 300,00 per onorari, oltre rimborso spese generali 15%, CPA e IVA di legge, con distrazione delle spese ex art. 93 c.p.c. a favore degli avv. Giorgio e Riccardo Vecchione.

Si comunichi.

Torino, 9 settembre 2016

Il Giudice (dott. Enrico Astuni)