Quella pedata nel sedere che a volte ti salva la vita

Quella pedata nel sedere che a volte ti salva la vita

di Vincenzo Andraous

 

Adolescenti senza emozioni e giovani adulti esacerbati, sempre pronti a destabilizzare i più deboli, catapultati addosso a chi non può reagire.

Bullismo ed eroi di cartone, furbi e codardia sospesa a mezz’aria, una dimensione di imbecillità con la patente a punti da bravi ragazzi, il tutto ben nascosto dall’indifferenza gruppale che protegge chi opprime l’innocente.
Se non ricordo male ai miei tempi, esisteva l’esatto contrario del bullismo attuale, infatti il disagio aggrediva il singolo, ponendolo solo contro tutti.
Il solitario scopriva gli strumenti della violenza e della diversità, per diventare protagonista, per apparire, nel tentativo di colmare il vuoto in famiglia, la precarietà finanziaria, la mancanza di riferimenti certi, di valori condivisi.

In questo presente liquido e paonazzo di vergogna, i giovani scelgono privi della capacità di farlo, la diversità come corazza e spada, alla solitudine di ieri, contrappongono la notorietà del web, la valenza moltiplicante dei social network, l’esplosione mediatica della messaggistica istantanea.

Il risultato è il copia e incolla di una pseudo corona da imperatore in una scuola priva di autorevolezza, una scuola e una famiglia prive di allenatori e conduttori alla vita, perché dispersi dalle reiterate delegittimazioni.

Di contro c’è invece un recinto dove incontrarsi per scontrarsi, per catturare nuove vittime, sempre quelle, gli innocenti, in preparazione del botto finale da pagare al destino che pur sempre resta in agguato.

Le teorie si sprecano nei riguardi della violenza giovanile, sotto l’ombrellone di un dilagante bullismo sociale, un dispendio inusitato di tautologie inconcludenti, di dottrine pedagogiche in procinto di affogare tra eteroeducazione e autoeducazione, per cui chi sta in cattedra ritiene di educare solamente gli altri, negando la necessità di doversi formare e rinnovare a un nuovo “sentire educativo “.

C’è un disamore adulto, che permette fughe in avanti a quanti pensano di aggiustare la propria personalità inadeguata, con la prepotenza degli atteggiamenti omertosi, che mettono fintamente in “sicurezza “ i pochi “duri” asserragliati nell’ultimo banco, là, dietro ai tanti inconsapevoli complici di molteplici vigliaccate.

Negli anni giurassici che mi sono appartenuti, il bullo era destinato immediatamente al macero, oggi è divenuto eroe manifesto, non tanto per la sua fisicità, quella è sempre stata una caratteristica da antagonismo discotecaro, ma soprattutto per la vociante e plaudente maggioranza all’intorno.

E’ un’anomalia istituzionale lo spazio in cui il bullo rimane in piedi eretto come un vessillo, mentre la vittima incassa l’ennesima sconfitta in termini di dignità rapinata e ingiustizia della giustizia.

In questo mare apparentemente sommerso di contraddizioni, anche oggi ho incontrato tanti giovani, rimanendo stupito, perché sebbene non impatto con furbi, né ottusi, questa sorta di mimetizzazione mi conferma l’urgenza di raccontare la storia di quel bullo di altri tempi, di quel coetaneo che s’è perduto in tragedie irripetibili, perché viltà non è dignità, e imbecillità non è intelligenza.
Diviene davvero un dovere raccontare di quel confine, sì, sottile, ma irrinunciabile, che separa sempre una legge di sangue da una legge del cuore, oppure di quanto è difficile essere uomini liberi, perché per saper scegliere occorre dapprima conoscere il valore della libertà, per saper credere negli altri, per farsi aiutare a diventare architetti di domani.

Professori e genitori in disarmo, perché divenuti poco significativi assolutori, ognuno indaffarato a delineare la soglia minima di attenzione, ciascuno a definire bravate le future scivolate.

Forse per rendere quel ragazzo meno strafottente, occorre trovare il tempo per guardarlo negli occhi, in forza di una autorevolezza riconosciuta, perché guadagnata sul campo, non certamente perché ereditata dalle fatiche e dai sacrifici altrui.