Passaggi troppo stretti

Passaggi troppo stretti

di Stefano Stefanel

La scuola italiana in questo momento si trova a dover affrontare dei passaggi troppo stretti, che richiederebbero tempi più distesi e analisi preliminari più approfondite. Il tempo però manca perché il Miur non ha voluto o saputo affrontare per tempo questi problemi, mentre le analisi non sono approfondite perché esiste una cortina molto colpevole a protezione dei dati necessari a prendere provvedimenti non orizzontali (generici), ma verticali (mirati). Mancando completamente una valutazione del sistema dell’istruzione, manca anche una sua conoscenza approfondita, unica condizione possibile per fare scelte selettive e migliorative. In questo contributo mi soffermo solo su tre punti nodali di questo inizio 2012.

RECLUTAMENTO DEL PERSONALE DOCENTE

La recente “uscita” del Ministro Profumo sui concorsi per docenti in un paese normale non avrebbe avuto lo spazio di una notizia breve e invece qui da noi ha subito sollevato problemi e resistenze. Che l’idea di concorso pubblico per l’accesso al ruolo sollevi dei distinguo anche tra i difensori della Costituzione Italiana “senza se e senza ma” appare bizzarro, ma così è. L’articolo 97 dice: “Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”. Per cui se la legge non stabilisce niente (e sarebbe sempre l’ora) si devono fare i concorsi. Diciamo che chi difende la Costituzione e non i Concorsi un po’ contraddittorio comunque è.
Nell’attuale fase contingente ci sono tre soggetti che devono essere tutelati, ma solo a livello sociale. Se non ci fosse l’emergenza sociale si dovrebbe soltanto bandire il concorso ordinario e chi lo vince va di ruolo. Ma non essendo la situazione italiana ordinaria bisogna tenere conto di tante cose. I tre soggetti cui mi riferisco sono:
–    i “precari storici” che sperano di entrare in ruolo e che il malfermo ordinamento italiano ha convinto di avere diritti basati sull’anzianità;
–    i docenti inseriti nei percorsi di TFA, collegati ad aspettative nate dalla superficialità con cui le Università hanno affrontato la questione;
–    i neo-laureati che si sentono respinti dal sistema scolastico italiano e che improvvisamente hanno sentito una parola gentile.
Personalmente attiverei un massiccio piano triennale di assunzioni assegnando le cattedre attraverso un 50% ai precari storici, un 20 % ai TFA e un 30% ai vincitori del concorso ordinario (che potrebbero essere anche precari storici non in posizione ottimale o TFA sconfitti).
Queste però sono misure di emergenza che riguardano più il mercato del lavoro che le necessità della scuola italiana. A ben guardare l’incresciosa situazione italiana (240.000 precari che pretendono il posto di ruolo e in cui si mescolano docenti con competenze eccezionali a emeriti incapaci, laureati disincentivati a fare i docenti indipendentemente da competenze e vocazioni) nasce dal mantenere noi in vigore due istituti altamente penalizzanti quali il valore legale del titolo di studio e le classi di concorso. Tutto ciò ha fatto nascere le abilitazioni e le graduatorie permanenti, che si esauriscono attraverso l’anzianità.
Questo scollegamento tra il merito e il reclutamento ha fatto le sue vittime, tra cui purtroppo va annoverata anche la scuola italiana. Esiste una connessione tra il mantenimento del valore legale del titolo di studio e l’esistenza degli ordini professionali. Anche qui è sorprendente constatare che i fautori delle liberalizzazioni di licenze e degli ordini sono contrati invece all’abolizione del valore legale del titolo di studio e delle classi di concorso.
L’effetto di quanto propongo porterebbe alla possibilità di stabilire per legge che i posti nell’organico di diritto devono essere coperti da personale a tempo indeterminato (come da tempo chiede l’Unione Europea) e quindi alla necessità di realizzare concorsi annuali e snelli (magari gestiti dalle singole scuole anche in rete in base ai posti disponibili dopo la mobilità), che mettano a regime in forma trasparente una situazione che ormai è diventata insostenibile.

DIMENSIONAMENTO

Il mondo della scuola è in subbuglio per un dimensionamento che compete agli enti locali. Gli enti locali di qualsiasi orientamento politico prediligono gli istituti di grandi dimensioni a quelli di piccole dimensioni. La memoria degli italiani è corta per cui si sono dimenticati le resistenze delle scuole al dimensionamento di fine anni ottanta. Se si fosse tenuto conto delle opinioni delle scuole invece di 10.700 istituti autonomi ne sarebbero nati almeno 25.000. L’esperienza sta dimostrando che il dimensionamento 500/900 ha favorito soprattutto le scuole secondarie di secondo grado cittadine, ospiti in edifici grandissimi contenenti spesso molto più di 1.000 studenti. Inoltre gli Istituti comprensivi di grandi dimensioni hanno messo in atto interessanti azioni di sistema e di area. Perché di questi tre dati (gigantismo delle scuole del secondo ciclo, buona tenuta degli istituti comprensivi di grandi dimensione, orientamento degli enti locali) non si voglia tenere conto attiene al modo italiano di fare le cose. Mentre mi pare ridicola la preoccupazione per il posto di lavoro dei dirigenti (tutti soggetti, come il sottoscritto, stragarantiti). La questione italiana che lega il dimensionamento al rapporto tra autonomia e dirigenza può essere risolto solo in due modi: o applicando le naturali teorie dell’organizzazione sulle autonomie e la dirigenza (quindi grandi bacini, grandi responsabilità, gestione complessa e delegata, forti azioni di innovazione e ricerca) o tornando indietro e abolendo sia l’autonomia scolastica (passaggio difficile perché di tipo costituzionale) sia la dirigenza scolastica (passaggio semplice e forse da molti apprezzato).

RUOLO DEL MIUR

In tempi di tagli e di sacrifici non credo possa durare a lungo l’organizzazione di un Ministero che si occupa soprattutto di se stesso e non del sistema che dovrebbe governare. La direttiva del Ministro ai direttori generali è da anni orientata a raggiungere obiettivi di sistema prescindendo dal funzionamento reale delle autonomie scolastiche, lasciate da sole a fronteggiare il servizio scolastico. Dovrebbe sembrare paradossale che gli alunni e i docenti abbiano contatti solo con le scuole autonome, mentre il sistema venga organizzato in forma propria dal Miur. Io credo si debba invertire in fretta la freccia della direttiva: il Miur deve diventare solamente una struttura di servizio a supporto delle autonomie, con obiettivi tarati sulle scuole e non sulle esigenze o i progetti propri.