Lettera a una professoressa… sui libri di testo

Lettera a una professoressa… sui libri di testo

di Maurizio Tiriticco

 

Gentile Professoressa!

Non voglio parafrasare Don Milani, anche se un pochino mi ci sento! Infatti Lui mi ha veramente messo in crisi quando l’ho conosciuto!!! E insegnavo alle medie con le stesse modalità che adottano ancora molti insegnanti e che sono dure a morire! Indubbiamente è difficile oggi insegnare rispetto a tanti anni fa… diciamo pure ai miei tempi, sia come alunno che come insegnante! E’ inutile che io ne analizzi le ragioni, in quanto sono stranote. Molti anni fa in certi ambienti spesso il “libro di testo” era anche il libro che corredava la casa. E’ certo che il libro di testo facilita il compito sia all’insegnante che all’alunno! Ovviamente “insegnare ad apprendere” senza libro di testo significherebbe “lavorare” in campo aperto: senza il ring che ti delimita il campo della “battaglia”. Il che, ovviamente, è molto più difficile sia per chi insegna che per chi apprende.

Ma non sarebbe il caso che il “libro” fosse scritto dagli alunni piuttosto che letto? Il lavoro sarebbe più duro, ma più accattivante, più stimolante! Ovviamente, richiederebbe un insegnante diverso da quelli che nel nostro Paese siamo abituati a “formare”. In genere ci si assicura che siano padroni della materia da fare apprendere (in genere si dice materia – mai disciplina, per carità – di insegnamento) e non ci si preoccupa del metodo.

In tutte le Indicazioni nazionali e in tutte le Linee guida si sollecita la cosiddetta “didattica laboratoriale”. Che cosa sia nessun lo dice, dove sia nessun lo sa! Parole al vento, per i più!!! Ma quant’è bello “fare lezione”!!! Altro che la metafora dell’insegnante muto (che parla poco e fa fare molto)! L’insegnante italiano è generalmente – non sempre, però – colui che insiste nel “segnare” nella “testa” degli alunni quello che lui sa e che loro non sanno e che devono sapere.

Ma la didattica laboratoriale – l’araba fenice – suggerisce un’attività diversa… ed è adottando questa didattica che si può fare a meno del libro di testo. Insomma il libro di testo “è fatto” per un certo tipo di scuola, di insegnante e di alunno. Rinunciare al libro di testo significa in primo luogo “disegnare” una figura diversa di insegnante che, a sua volta, si propone con criteri “diversi” di fronte ai suoi alunni, i quali, più che essere soggetti da alimentare (alumnus questo è! Colui che viene alimentato) sono soggetti da stimolare e far crescere: Questo del resto è il significato di curriculum e di una didattica curricolare!

L’insegnante, più che tentare di “segnare oggetti” nella testa degli alunni (ma piantiamola di chiamarli così! E’ riduttivo per loro! Non debbono essere alimentati come dei bebé), deve saperli stimolare, incuriosire. sollecitare, gratificare, bacchettare, anche, quand’è necessario. Potrei richiamare la teoria del campo di Kurt Lewin: due soggetti non hanno un confine fisico (la pelle), ma un confine relazionale (una sorta di aura – semplifico – con la quale e per la quale entriamo in campo/comunicazione con l’altro da sé). Ed è il campo dell’incontro/scontro con l’altro. Spesso diciamo “piacere”, quando l’altro ci viene presentato, ma le cose sono molto più complicate! Altro che piacere! Come debbo difendermi da te? Questo andrebbe detto, però, fortunatamente, siamo persone educate.

Insomma, entrare in rapporto con l’altro da me non è cosa facile! Ed ancora meno facile è entrare in rapporto con un trentina di marmocchi di una prima media italiana… con una bella quota di alunni stranieri. Un vero e proprio ring dove può accadere di tutto se non sappiamo nulla di come gestire un “campo di comunicazione”… con buona pace del buon Jakobson!