Istruzione, serve un grande progetto strategico

da l’Unità

Istruzione, serve un grande progetto strategico

di Domenico Pantaleo

Non passa giorno senza che la ministra Giannini faccia sentire la sua voce su tutti gli organi di informazione a proposito delle «magnifiche sorti e progressive» dell’intero sistema scolastico pubblico, della ricerca e dell’alta formazione universitaria affidato alle cure della sua gestione. I limiti di questa evidente bulimia mediatica, tuttavia, corrono il rischio dí oltrepassare la soglia della propaganda, se diventa un insieme di slogan autoreferenzìali che spesso non rispondono alle tante domande critiche che emergono dai mondi della scuola, dell’università e della ricerca. E soprattutto sono il segno di una modalità di gestione del Miur più attento ai risultati mediatici che alla costruzione del dialogo sociale, che è composto dai tanti soggetti protagonisti quotidiani dell’istruzione pubblica e privata, le cui parole vanno ascoltate con molta attenzione. Sull’università e sulla ricerca, in particolare, in questi giorni e settimane sono emerse polemiche mediatiche interessanti e importanti, alle quali non ci sembra che la ministra abbia replicato in modo adeguato. Al di là delle provocazioni lanciate dal presidente dell’Autorità anticorruzione, Raffaele Cantone, sui fenomeni corruttivi e nepotistici in alcuni atenei, ci sembra che la grande questione sulla quale riflettere, e Come possiamo rimettere insieme i cocci di un’università e di una ricerca pubbliche? far riflettere l’opinione pubblica, sia relativa a come possiamo lavorare per rimettere insieme i cocci di un’università e di una ricerca pubbliche ormai fratturate e frammentate da politiche scellerate di riduzione dei finanziamenti, di depotenziamento della loro enorme funzione sociale, di tantissima precarietà, di devastazione del diritto allo studio e di conseguente perdita di senso per la vita di ogni ricercatore, studente universitario o maturando. Ci si chiede se le ricette di questo governa, e della ministra Giannini, siano quelle che sappiano far uscire l’università e la ricerca dalla palude drammatica in cui sono state immerse. Nell’intervista all’Unità, la filosofia presentata dalla ministra Giannini resta quella sintetizzata dai sostantivi «eccellenza» e «merito», mentre sul piano degli investimenti, intervistata il giorno seguente a Radio3, ripete la cifra di 7 miliardi e 400 milioni a partire dal 2018. Ora, vorremmo sommessamente ribadire il nostro punto di vista, chiedendoci innanzitutto se una ricostruzione strutturale dell’università e della ricerca possa partire dalle «eccellenze», e su di esse puntare, così come è stato fatto per il Tecnopolo milanese e le cattedre Natta. Noi pensiamo di no. Anzi, riteniamo che quella delle «eccellenze» sia una scelta ideologica che approfondisce le disparità e le disuguaglianze territoriali e sociali, e non favorisce una risposta alle tante domande di senso che emergono. Crediamo che occorra ripartire dal valore del lavoro e delle tante competenze di coloro che operano nel sistema della conoscenza per cambiare dal basso atenei e istituti di ricerca. Crediamo che sia giunto il momento di puntare sull’analisi delle sofferenze del sistema, e soprattutto dal tipo di investimento finanziario e sociale di cui esso ha bisogno: centralità vera al Sud, che ha bisogno di elevare i livelli di istruzione e ricerca per superare una situazione sociale drammatica; restituzione di valore e dignità a chi quotidianamente vive e lavora negli istituti universitari e della ricerca per ripensare realmente alla funzione della conoscenza nel determinare il cambiamento necessario del modello di sviluppo. E su questo occorre orientare il dibattito pubblico, lanciando non slogan rassicuranti, come quotidianamente fa la ministra, ma una gyande progetto strategico condiviso per collocare il nostro Paese nelle parti alte della filiera dell’economia della conoscenza globale. Sul piano delle risorse finanziarie, ad esempio, vorremmo rammentare che quei 7 miliardi e 400 milioni, lanciati mediaticamente come un successo, rappresentano meno di mezzo punto di Pii, molto al di sotto di quanto investono i grandi paesi nordeuropei. 11 confronto non va fatto con la Turchia, ma con la Germania, la Francia, il Regno Unito, il cui investimento in università e ricerca supera abbondantemente diversi punti di Pii e non zero virgola qualcosa, come è accaduto e ancora accade in Italia. Mentre sul piano delle cosiddette «eccellenze», a proposito delle cattedre Natta, avanziamo una radicale contrarietà sui contenuti del decreto del Presidente del consiglio. Si tratta di un fatto gravissimo e che fa sorgere fondati dubbi di incostituzionalità, e che non ha eguali nella storia repubblicana: un ministro ex rettore universitario e il Capo Dipartimento ex  rettore universitario che selezionano i presidenti di commissioni di concorso di concerto con il capo del governo e col contributo di un’agenzia (l’Anvur) nominata dal ministro. Una procedura di reclutamento scarsamente trasparente, indegna di un paese civile e democratico. Possibile che questo non porti ministro, premier, governo e forze politiche e sociali a riflettere adeguatamente?