L’Europa che non c’è

L’Europa che non c’è

di Maurizio Tiriticco

25 marzo 1957! Un avvenimento di grande importanza! I Trattati di Roma! Italia, Francia, Germania, Belgio, Olanda e Lussemburgo (Benelux) sottoscrivono due documenti istitutivi rispettivamente della Comunità economica europea (CEE) e della Comunità europea dell’energia atomica (CEEA o Euratom). Un grande passo in avanti rispetto a quanto era avvenuto nel 1952 con la nascita della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca), a cui avevano aderito l’Italia, la Francia, la Germania federale e il Benelux (Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo). Quello del 1957 fu un evento per molti versi entusiasmante: Paesi che fino a un decennio precedente avevano combattuto tra loro, sottoscrivono un patto a cui, inizialmente, molti di noi non credettero. Si trattava di un’utopia!!! Quando mai tre Paesi (il Benelux non era molto rappresentativo), che da sempre avevano trovato motivi per scatenare conflitti e guerre, avrebbero vissuto in pace!? Ma utopia, invece, non fu! Tant’è vero che il primo nucleo di sei Paesi oggi è cresciuto e ne conta addirittura 28. Quella utopia di CEE e CEEA divennero e sono oggi l’Unione Europea!!!

Sono trascorsi circa 60 anni, più di mezzo secolo, e i Paesi europei non hanno più conosciuto guerre! I giovani di oggi difficilmente possono capirlo, e sanno che oggi le guerre riguardano solo altre parti del mondo, non l’Europa; ma i vecchi come me ne avvertono tutta l’importanza e ne sono felici. E di questo primo nucleo della CEE (Comunità Economica Europea), oggi Unione Europea, nata con i Trattati di Maastricht del 1992, furono teorici e fondatori uomini come Konrad Adenauer, Jean Monnet, Robert Schuman, Paul Henri Spaak, Winston Churchill, e i nostri Altiero Spinelli, il “sognatore” e Alcide De Gasperi, il “fondatore”.

Dopo i Trattati di Roma seguirono anni estremamente interessanti e positivi per l’economia della nuova Europa che si andava costruendo. La soppressione dei dazi doganali favorì la produzione e lo scambio delle merci, anche e soprattutto dei prodotti alimentari. E, a seguire, nell’89, la riunificazione delle due Germanie, dell’Est e dell’Ovest contribuì a “ridisegnare” sulla carta geografia un’Europa dalle prospettive estremamente interessanti sotto il profilo economico e politico. Il fatto poi che il Regno Unito – la perfida Albione, come definita durante il fascismo – nel medesimo ’89 aderisse alla CEE, fu considerato di estremo interesse. Quel Regno Unito che da secoli aveva fatto della sua configurazione geografica motivo di splendido isolamento, si ritrovava invece in una comunità dai confini e dalle prospettive molto più ampie.

Segue uno schema riassuntivo dello sviluppo della CEE e della UE.

25 marzo 1957 – i 6 Paesi fondatori, Italia, Francia, Germania, Belgio, Olanda, Lussemburgo (BeNeLux)

1 gennaio 1973 – più Regno Unito, Irlanda, Danimarca (9 Stati membri)

1 gennaio 1981 – più Grecia (10 Stati membri)

1 gennaio 1986 – più Spagna e Portogallo (12 Stati membri)

1 gennaio 1995 – più Austria, Svezia, Finlandia (15 Stati membri)

1 maggio 2004 – più Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Cechia, Slovacchia, Slovenia, Ungheria, Cipro, Malta (25 Stati membri)

1 gennaio 2007 – più Bulgaria e Romania (27 Stati membri)

1 luglio 2013 – più Croazia (28 Stati membri)

Sotto il profilo formale, quindi, l’Europa è cresciuta, ma… non c’è rosa senza spine, come si suol dire! A mio vedere, alcune vicende di questi ultimi anni hanno cominciato a costituire pericolosi fattori di crisi che rischiano di erodere quell’ottimismo che ci aveva condotto a gioire perché l’”Europa”, quella politica, e non solo economica, si andava via via solidificando! Tant’è vero che qualcuno già vagheggiava una futura Unione degli Stati di Europa! E perché no? In effetti sono ben 50 – quindi molti di più degli Stati europei – gli Stati che costituiscono da molti anni a questa parte gli Stati Uniti d’America!

Il fatto è che gli Stati Uniti d’Europa non ci sono. Ciò che è accaduto con la Brexit è abbastanza esemplare. E’ come se, dopo il varo della Costituzione degli Stati Uniti, approvata nel 1789, il Texas o la California, si fossero defilati qualche anno dopo. Gli Stati Uniti d’Europa in effetti ben pochi li vogliono. Basta ricordare due eventi: Roma, 29 ottobre 2004, venne approvata la Costituzione europea! Un documento forse eccessivamente lungo, ma di un’estrema importanza politica e civile! Quindi, un evento eclatante! Ma all‘atto della ratifica, due Paesi, Francia e Olanda, in sede di referendum, lo bocciarono. Per cui si ripiegò su un documento estremamente più debole e meno significativo, il Trattato, firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007. Parafrasando la famosa espressione di Klemens von Metternich a proposito del nostro Paese, possiamo dire che, di fatto, oggi “la parola Europa è un’espressione geografica, una qualificazione che riguarda la lingua, ma che non ha il valore politico che gli sforzi degli ideologi rivoluzionari tendono ad imprimerle”.

Oggi, purtroppo, l’Unione europea costituisce più una serie di vincoli che occasioni di opportunità. Sembra che si preoccupi solo di costruire pesanti e spesso ingiustificati limiti alle attività economiche dei singoli Paesi più che sostenerli in uno sviluppo armonico e mirato. E la colpa, se così si può dire, non è della Merkel che è “cattiva”, ma di un’organizzazione elefantiaca che nei decenni ha snaturato – se non addirittura tradito – lo spirito innovatore e costruttivo degli Spinelli, dei De Gasperi e degli Adenauer.

Se poi pensiamo alle mille difficoltà che le la massicce immigrazioni e i suicidi dell’Isis creano giorno dopo giorno, non c’è affatto da stare allegri. Certo, esistono gli obiettivi dell’Europa 2020 che è opportuno ricordare, come emersi dalle Conclusioni del Consiglio del 12 maggio 2009 in materia di Education and Training. Con quelle conclusioni sono stati fissati cinque obiettivi relativi ai traguardi che l’UE dovrebbe raggiungere entro il 2020: 1) abbandoni scolastici inferiori al 10%; 2) innalzare le competenze di base: i 15enni insufficienti in literacy, matematica e scienze inferiori al 15% 3) diplomati dell’istruzione superiore: almeno il 40% tra i 30 e i 34 anni di età; 4) istruzione della prima infanzia: almeno il 95% dei bambini tra i 4 anni e l’età dell’istruzione primaria debbono partecipare all’istruzione per l’infanzia; 5) apprendimento permanente: almeno il 15% degli adulti devono partecipare ad attività di apprendimento.

Quindi, ancora quattro anni di tempo per realizzare i suddetti obiettivi! Ce la faremo? Non so, comunque qualcuno dice che l’ottimismo è la virtù dei forti! E noi… cerchiamo di esserlo!!!