I miei “28 ottobre” di tanti anni fa

I miei “28 ottobre” di tanti anni fa

di Maurizio Tiriticco

Il 28 ottobre del 1922 è una data che dovevamo ricordare e festeggiare ai “bei tempi del Duce”: così ancora pensano e dicono molti nostalgici. Ed io quanti 28 ottobre ho dovuto festeggiare? Dalla prima elementare a Torino presso una scuola di monache (1933/34) no! Le monache non fanno politica (o meglio, ne fanno un’altra). Ma poi, dal ’38/39 al ’42/43 sì e con grande entusiasmo: erano anche i miei primi cinque anni del ginnasio! E da Balilla escursionista – in forza della leva fascista, rito che si osservava ogni anno il 21 aprile, ricorrenza della nascita di Roma, caput mundi – ero diventato Balilla moschettiere, la perla del regime, perché erano le giovani generazioni che avrebbero fatto grande l’Italia! Avevamo un moschetto, una giberna e i guanti alla D’Artagnan! Che gioia!!!

Ed io ero così sicuro che avremmo vinto la guerra, perché Noi Italiani e Loro, i Tedeschi eravamo due popoli poveri ma forti, mentre invece tutti gli altri, i francesi, gli inglesi e – non ti dicooo – gli americani, scioperi, gangster, governatori corrotti e quant’altro! Tutti erano destinati al declino. E la certezza era ferreaaa!!! Invece, un bel giorno, anzi una bella sera – era il 25 luglio del 1943 – lo speaker del giornale radio delle 20 annunciò stentoreo: “Sua Maestà il Re e Imperatore ha accettato le dimissioni dalla carica di Capo del Governo, Primo Ministro, Segretario di Stato, di Sua Eccellenza il Cavaliere Benito Mussolini e ha nominato Capo del Governo, Primo Ministro, Segretario di Stato, il Cavaliere, Maresciallo d’Italia, Pietro Badoglio”. In effetti il Duce non aveva rassegnato proprio niente! Recatosi il 25 luglio a Villa Ada, residenza estiva del Re d’Italia e d’Albania e Imperatore d’Etiopia – e poi basta!!! – per comunicare che la sera precedente in una riunione infuocata del Gran Consiglio del Fascismo era stato approvato un odg presentato dal gerarca Dino Grandi, favorevole ad un’operazione che ci sganciasse da una guerra che già si considerava perduta, venne impacchettato e spedito non si sa dove! Lo si seppe solo molto tempo dopo!

E noi, poveri Balilla moschettieri, restammo in un solo attimo senza il nostro nume tutelare. Quale tristezza e quanti pianti… Noi che eravamo convinti di vincere – una delle canzoni di guerra diceva così: Vincere vincere vincere e vinceremo in terra in cielo e in mare. E’ la parola d’ordine d’una Suprema Volontà – e che sera dopo sera ascoltavamo la radio con il bollettino della… tanto attesa vittoria! Noi fanatizzati dal Regime fascista! Sui nostri medaglioni, attorno alla testa del Duce, sempre con tanto di elmetto, figuravano queste scritte: “Credere, obbedire, combattere”, oppure “Se avanzo seguitemi. Se indietreggio uccidetemi. Se mi uccidono vendicatemi”. E ricordo benissimo la canzone del balilla che si rivolge al padre in guerra: “Caro papà, ti scrivo e la mia mano quasi mi trema, lo comprendi tu. Son tanti giorni che mi sei lontano e dove vivi non lo dici più. Le lacrime che bagnano il mio viso son lacrime d’orgoglio, credi a me. Ti vedo che dischiudi un bel sorriso mentre mi stringi forte in braccio a te. Anch’io combatto, anch’io fò la mia guerra. Con fede, con onore e disciplina. Desidero che frutti la mia terra. E curo l’orticello ogni mattina, l’orticello di guerra. E prego Iddio che vegli su di te, babbuccio mio”.

Questo era il clima! Queste le nostre credenze e certezze! Allora? Contiamoli i miei festeggiamenti della Marcia su Roma! Sono stati solo 7. E invece avrebbero dovuto essere molti di più! Anche perché avremmo dovuto esportare la nostra civiltà romana, latina e fascista in tutto il mondo. Altro che Impero romano! Il suo momento più alto sotto l’Imperatore Traiano era solo un anticipo! Che avrebbe visto il suo compimento con il nuovo Imperatore di Casa Savoia, Vittorio Emanuele III°, che i malevoli, invece, si ostinavano a chiamare Pippetto… per la sua bassezza! Che tristezza! In poche ore cadde il fascismo e il popolo tutto ne gioì! Ritratti e statue del Duce furono distrutti! Eppure era quello stesso popolo che il 10 giugno del 1940 – tre anni prima!!! – sotto il balcone di Piazza Venezia si spellava le mani per applaudirlo!

E applaudivano scandendo e ritmando Duce Duce Duce, una sorta di divinità che in quel pomeriggio del 10 giugno ’40 – replico -così si esprimeva:

“Combattenti di terra, di mare e dell’aria. Camicie nere della rivoluzione e delle legioni. Uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del Regno d’Albania. Ascoltate! (Acclamazioni) Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. (Acclamazioni vivissime) L’ora delle decisioni irrevocabili. (Un urlo di acclamazione) La dichiarazione di guerra è già stata consegnata (Acclamazioni, grida altissime di: «Guerra! Guerra!») agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia. (Acclamazioni) Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia, e spesso insidiato l’esistenza medesima del popolo italiano. Alcuni lustri della storia più recente si possono riassumere in queste frasi: promesse, minacce, ricatti e, alla fine, quale coronamento dell’edificio, l’ignobile assedio societario di cinquantadue Stati. La nostra coscienza è assolutamente tranquilla. (Applausi) Con voi il mondo intero è testimone che l’Italia del Littorio ha fatto quanto era umanamente possibile per evitare la tormenta che sconvolge l’Europa; ma tutto fu vano. Bastava rivedere i trattati per adeguarli alle mutevoli esigenze della vita delle nazioni e non considerarli intangibili per l’eternità; bastava non iniziare la stolta politica delle garanzie, che si è palesata soprattutto micidiale per coloro che le hanno accettate. Bastava non respingere la proposta che il Führer fece il 6 ottobre dell’anno scorso, dopo finita la campagna di Polonia. Ormai tutto ciò appartiene al passato. Se noi oggi siamo decisi ad affrontare i rischi ed i sacrifici di una guerra, gli è che l’onore, gli interessi, l’avvenire ferreamente lo impongono, poiché un grande popolo è veramente tale se considera sacri i suoi impegni e se non evade dalle prove supreme che determinano il corso della storia. Noi impugniamo le armi per risolvere, dopo il problema risolto delle nostre frontiere continentali, il problema delle nostre frontiere marittime; noi vogliamo spezzare le catene di ordine territoriale e militare che ci soffocano nel nostro mare, poiché un popolo di quarantacinque milioni di anime non è veramente libero se non ha libero l’accesso all’Oceano. Questa lotta gigantesca non è che una fase dello sviluppo logico della nostra rivoluzione. È la lotta dei popoli poveri e numerosi di braccia contro gli affamatori che detengono ferocemente il monopolio di tutte le ricchezze e di tutto l’oro della terra. È la lotta dei popoli fecondi e giovani contro i popoli isteriliti e volgenti al tramonto. È la lotta tra due secoli e due idee”.

E via di seguito!!! Mah! Che dire? E’ l’altra faccia della medaglia o, se si vuole – ricordando le divise dei balilla – del medaglione!!! In effetti, il popolo becero e bolso sempre tale è! Le bandiere si seguono finché garriscono al vento, ma se cadono a terra, vanno calpestate e bruciate. Solo i bambini e gli adolescenti sono quelli che – a mio vedere – pagano di più. Quanti amici dopo l’8 settembre salirono sulla montagna, disposti anche a morire sotto l’ombra di un bel fior. E quanti amici andarono al Nord – la Repubblica di Salò – per arruolarsi con i Battaglioni Emme e con il “nuovo esercito” comandato dal maresciallo Graziani.

28 ottobre 1922! Una data da ricordare! Ma soprattutto avvenimenti da studiare! Se è vero che storia è Magistra vitae! Mah! Mi sembra che oggi, con le TIC che giorno dopo giorno fanno passi da gigante e rendono i nostri rapporti interpersonali sempre più ricchi ed intensi, il rischio è quello di vivere schiacciati sul presente! Il passato non esiste ed il futuro è un minuto dopo l’altro! Eppure un grande nostro poeta molti anni fa ci ha ammonito: “O Italiani, io vi esorto alle storie”.