La bambina di Clusone

La bambina di Clusone

di Maurizio Tiriticco

 

La scuola di una volta era molto meglio di quella di oggi. Almeno secondo il professor Enrico Galiano, che ha analizzato il tema di una bambina di Clusone che frequentava la quinta elementare nel 1944

 

Perché stupirci tanto del tema composto da una bambina di Clusone, un piccolo Comune lombardo della Valle Seriana, nel 1944, quando frequentava la quinta elementare? Settantadue anni fa! Ed era pure un anno di guerra! Oggi invece, dopo anni e anni di studio, indubbiamente né matto né disperatissimo, i nostri alunni, piccoli e grandi, danno un gran da fare agli insegnanti! Per non dire poi dei nostri laureandi! Tesi da riscrivere più e più volte! Fortunatamente c’è sempre una Cepu pronta a darti una mano, o meglio una tastiera e… rien ne va plus, les jeux sont faits! Forse la scuola fascista funzionava meglio della scuola repubblicana? Non so, ma i fatti sono fatti! E la bambina di Clusone non era affatto un’eccezione.

La mia scuola elementare (frequentata dal 1933 al 1938, in pieno regime fascista) non aveva alcuna presunzione di essere una scuola primaria, qual è quella di oggi, che prevede una secondarietà e che, quindi, non è tenuta a “fornirti” di tutti gli strumenti cognitivi, operativi e culturali che consentano un ingresso consapevole e responsabile in una società, qualunque sia il suo livello di complessità. Però, ti forniva gli strumenti necessari per una “sopravvivenza”, chiamiamola così, certa e responsabile, sotto il profilo civile e culturale, in una società che era quella che era! In altre parole, ad una società semplice di allora – e la nostra non lo è affatto – corrispondeva un’istruzione elementare quinquennale altrettanto semplice e, per certi versi, esaustiva rispetto alle necessità future dei suoi alunni. La bambina di Clusone non era, quindi, eccezionalmente “brava”, rispetto alle sue compagne e compagni di classe, i cui temi, con molta probabilità, non erano molto diversi dai suoi. Quindi, ogni stupore è assolutamente fuori luogo.

Ora nel primo ciclo di istruzione le materie di studio abbondano: italiano, lingua inglese e seconda lingua comunitaria, storia, geografia, matematica, scienze, musica, arte e immagine, educazione fisica, tecnologia. Ciò è comprensibile! Oggi i saperi si sono moltiplicati rispetto a un passato ormai lontano, ma… Non so! Questa pioggia di discipline non rischia di distrarre i nostri alunni – ed anche i nostri insegnanti – da quel nucleo di saperi minimi strumentali, elementari, appunto, che consentono di leggere, scrivere e far di conto… senza altre pretese di sorta? Si suole dire che nel più c’è il meno! E infatti, sembra proprio che oggi sia così! Forse si studiava meglio quando si studiava di meno? Non so! Occorrerebbe considerare un’infinità di variabili che è anche difficile individuare

Ma il problema rinvia a problematiche più importanti, se si può dir così. Leggere, scrivere e far di conto ormai è assicurato a tutti, ma… se guardiamo indietro nel tempo, le cose erano veramente drammatiche! Con la costituzione dell’Unità nazionale l’analfabetismo raggiungeva quote altissime. I piccoli Stati postunitari – tranne qualche rarissima eccezione – non si erano mai fatto carico di una cultura e di una scuola diffuse. Nel 1860 il nostro Paese poteva contare su di un pugno di acculturati, mentre il 78% della popolazione era costituita di analfabeti! E con punte del 90% nelle regioni meridionali! I primi programmi scolastici del 1860 furono un importante punto di partenza. comprendevano grammatica italiana, aritmetica, elementi dei diritti e doveri dell’uomo, storia, geografia, scienze, religione. Com’è noto, i rapporti tra il Papato e il Re d’Italia non erano tra i migliori (Roma, prima o poi, sarebbe stata “liberata”) e Vittorio Emanuele II, il re “galantuomo” – dalla cintola in su, come volevano i malevoli – salito al trono nel 1861, volle adoperarsi per dimostrare che la religione cattolica costituiva una materia di insegnamento come le altre. A questo proposito, va detto che il carteggio privato tra Pio IX e Vittorio Emanuele II è estremamente interessante per ciò che concerne i rapporti tra Chiesa e Stato! Uno Stato nuovo e di fatto pericoloso per lo Stato pontificio! Ma in effetti un illustre rappresentate del regno savoiardo, Camillo Benso conte di Cavour, si era sempre espresso per una Libera Chiesa in un Libero Stato.

In tale scenario, la lotta contro l’analfabetismo costituiva una delle chiavi per fare dell’Italia un Regno considerato a livello europeo. Giova una considerazione. Per analfabetismo si intende l’incompetenza nel leggere e nello scrivere. Ciò non significa che la popolazione tutta – a livelli diversi di competenza – non sapesse allora ascoltare e parlare. Com’è noto c’è un tradizione ricchissima per ciò che riguarda la competenza alfabetica del parlare/ascoltare. Basta pensare sia all’opera di Dario Fo, preziosissima in materia – soprattutto il suo Mistero Buffo – che alla ricerca di Carlo Salinari: si veda la sua Storia popolare della letteratura italiana, del 1962.

Ciò che accadde dopo il 1860 è noto! Vennero istituite due leve obbligatorie: quella scolastica e quella militare! E occorreva anche far presto, se ci si voleva misurare con quegli Stati europei convinti da sempre che l’Italia fosse ancora un Paese da costruire dalle sue fondamenta, tante erano le lingue, tanti i livelli – o i dislivelli – di cultura e di civiltà. E quanto suonava male alle orecchie dei nuovi governanti italiani, sia della destra che della sinistra storica, quello sprezzante giudizio del Principe di Metternich pronunciato in una della tante riunioni del Congresso di Vienna: “La parola Italia è una espressione geografica, una qualificazione che riguarda la lingua, ma che non ha il valore politico che gli sforzi degli ideologi rivoluzionari tendono ad imprimerle”. Si trattava di un giudizio per nulla buttato lì, ma largamente condiviso da tutte le cancellerie europee. Uno dei tanti pregiudizi che bisognava assolutamente spazzare via e al più presto! La coscrizione obbligatoria di tutti i cittadini, ovviamente di sesso maschile, fu sancita nel 1875. E nel 1877, con la legge Coppino, la durata delle scuole elementari venne portata a cinque anni e il primo triennio venne reso obbligatorio.

L’istruzione pubblica apparve subito come una drammatica questione nazionale. La prima legge organica sulla pubblica istruzione in Italia fu la legge Casati del 1859. Essa affermava l’obbligatorietà e la gratuità dell’istruzione pubblica. L’istruzione elementare era distinta in due cicli di cui solo il primo era obbligatorio, mentre il secondo lo era solo per i Comuni con più di 4.000 abitanti. In seguito, con la legge Coppino, del 1877, l’obbligo di istruzione venne elevato da due a tre anni. Materie di insegnamento erano italiano, matematica, doveri dell’uomo e del cittadino, materie scientifiche. L’insegnamento della religione non era previsto.

Per farla breve, l’alternarsi dei governi ora della destra, ora della sinistra storica e le puntuali polemiche con la Chiesa di Pio IX interessarono tutto lo scorcio del secolo. Con l’era giolittiana e con la prima guerra mondiale la scuola non ebbe particolari e significative innovazioni. E poi la guerra e poi ancora il fascismo e la Riforma Gentile! Per non dire dei Patti Lateranensi del 1929! La nostra scuola elementare non conobbe più particolari sussulti: la guerra e l’immediato dopoguerra costrinsero i nostri governanti ad attendere ad altri problemi. La Liberazione dell’Alt’Italia si ebbe nel ’45 e nello stesso anno – era più che necessario “liberare” la nostra scuola da tutte quelle incrostazioni imposte per un ventennio dal Ministero dell’Educazione Nazionale – vennero varati quei “nuovi programmi della scuola elementare”, di chiara ispirazione deweiana, redatti con il concorso di Carleton Washburne e orientati ai principi della “scuola attiva”.

Mi sono dilungato anche troppo in considerazioni che, però, dovrebbero dare il senso dello spessore culturale e pedagogico della nostra scuola elementare che, dall’Unità nazionale in poi è sempre stata all’attenzione dei nostri governi. La stessa istituzione di una sorta di ministero della Pubblica Istruzione, avvenuta nel 1847 per iniziativa del Re Carlo Alberto col nome di Segreteria di Stato per la Pubblica Istruzione dimostra come il problema di una diffusione del’istruzione e della cultura fosse un’occasione preziosa per la crescita e lo sviluppo di un popolo e di un regno… e più trardi, di una Nazione!

E qui mi fermo! Insomma, se la nostra “bambina di Clusone” ha scritto “quel” tema, e nel 1944, nel pieno di una guerra terribile, ciò non è avvenuto per caso. L’eredità di una lunga storia relativa alla diffusione dell’istruzione e della cultura è fortemente presente nel suo scritto. E non vorrei che le tante traversie di questi ultimi decenni rischino di spazzare via decenni e decenni di impegno per riaffermare costantemente e sempre il penso della nostra cultura che viene da lontano! E che è stata in grado di ispirare anche una bambina di quinta elementare… di tanti anni fa.