La pazza gioia di Paolo Virzì

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La pazza gioia, un film di Paolo Virzì

di Mario Coviello

virziDue donne, una bionda, l’ altra bruna, una nobile e ricca Beatrice Morandini Valdirana, l’altra Donatella Morelli proletaria e senza un soldo. La ricca ossessivamente estroversa e la quasi-povera depressa, con i rispettivi ambienti originari produttori del loro disagio e della loro crisi;la prima logorroica, l’altra troppo silenziosa, una madre, l’altra no. Le accomuna la “pazzia”, il “ TSO”, i ricoveri coatti,la dipendenza dai farmaci antidepressivi.

Si incontrano a villa Biondi, un istituto terapeutico per donne oggetto di sentenza di un tribunale e costrett a una terapia di recupero . La “nobile” decide di “ prendersi cura” della povera. Certo Donatella Morelli è volgare, piena di tatuaggi, non ha biancheria intima di seta, ha un vecchio cellulare con in rubrica solo il numero del padre e una canzone che ascolta sempre “Senza fine” . Beatrice è attratta da Donatella e “ la mette sotto la sua ala”. Grazie ad un esperienza di lavoro fuori dalla comunità le due donne riescono a scappare e come “ Thelma e Louise” si danno alla “ pazza   gioia “.

Insieme sono un mix esplosivo perché la proletaria sa guidare, mena le mani quando è necessario, l’altra avvolge i malcapitati che incontrano in un oceano di parole, modi gentili, fascino discreto. Nella fuga ognuna delle due ha uno scopo : la ricerca del figlio che è stato dato in adozione per Donatella, un incontro anche fugace per Beatrice con il “coatto”, volgare, che le piscia addosso, e agli arresti domiciliari .

Fanno da sfondo alla fuga i dolci paesaggi della Toscana e Viareggio, d’estate con il mare, e d’inverno col carnevale. E la fuga ci fa scoprire la madre di Donatella, Luciana che assiste un generale allettato, sicura di ereditarne la casa, e il padre che cantava con Gino Paoli e campa con le serate in vecchie balere.

Di Beatrice conosciamo la madre che la figlia ha rovinato tanto che la loro villa è diventata set di un film e che non ha remore a dire “Si uccida una buona volta, così la facciamo finita”.

Paolo Virzì, con la collaborazione di Francesca Archibugi alla scrittura, ha lasciato il freddo Nord di ”Il capitale umano” per tornare nell’amata Toscana che gli consente di fondere, come solo lui sa fare, ironia, buonumore e dramma. Il regista sa muoversi tra le diverse temperature emotive con una sensibilità che si fa, film dopo film, sempre più acuta e partecipe delle sorti dei personaggi che porta sullo schermo.

Virzì ci racconta il mondo della “pazzia” e la necessaria fuga di due donne che non sono state amate da madri “fredde”, e abbandonate da padri inadeguati. Si sono già scritte nel passato pagine e riflessioni su un Virzì erede della commedia italiana degli anni d’oro ma quello che si può aggiungere ora è che al suo personale capitale di autore si è aggiunta una capacità di sguardo sul mondo femminile che nel cinema italiano diretto da uomini non è per nulla usuale. Con delicatezza e partecipazione egli sa raccontare la difficile vita delle comunità terapeutiche, di dottori empatici, capaci di comprendere le ragioni della sofferenza, e di altri, solo freddi custodi di protocolli.

Vi raccomando questo film perché ci avvicina a questo mondo di sofferenza psichica che ci appartiene. Ve lo consiglio perché racconta le donne, la loro forza e fragilità, e gli uomini che amano, umiliano, violentano le donne. Virzì dimostra che il cinema italiano e le sue attrici sanno essere “grandi” quando la recitazione, la storia, la sceneggiatura, i ritmi sono quelli giusti. Valeria Bruni Tedeschi che interpreta Beatrice e Micaela Ramazzotti che è Donatella sono entrambe straordinarie, ognuna a suo modo, nello scavare in personaggi non facili che sanno rendere, tenendo la retorica a dovuta distanza. Questo film racconta la condizione di donne condannate da una vita in cui hanno sbagliato, e che ahnno diritto ad una seconda possibilità.

Vi raccomando “ La pazza gioia” perché ci aiuta a capire che abbiamo bisogno di amare, comprendere, e di essere amati e compresi. Abbiamo bisogno di qualcuno che perdoni i nostri errori e ci faccia sentire “giusti”, utili, amati anche se “ nati tristi”.