Progetto per disabili visivi per “illuminare” anche i vedenti

Radio Vaticana del 05-12-2016

Progetto per disabili visivi per “illuminare” anche i vedenti

ROMA. “Illuminare un mondo cieco, ma anche viceversa”. E’ questo uno degli obiettivi del Centro regionale Sant’Alessio-Margherita di Savoia per i ciechi, che a Roma ha dato vita ad un progetto per disabili visivi, giovani adulti e anziani che saranno coinvolti con momenti di svago nei musei di Roma e parteciperanno ad attività riabilitative nel Centro. Al microfono di Maria Cristina Montagnaro, Antonio Organtini, direttore del Sant’Alessio spiega di che cosa si tratta:

“In collaborazione con la Fondazione “Posta insieme”, abbiamo realizzato dei percorsi riabilitativo-culturali per famiglie in cui vi sia un componente non vedente o ipovedente, anche con minorazioni aggiuntive. Le persone vengono presso la nostra sede di Roma, che è un istituto storico degli anni Trenta: al mattino possono visitare la città, specialmente i percorsi culturali classici, come i Musei Capitolini o i Musei Vaticani, con percorsi dedicati e con visite tattili; al pomeriggio, presso la nostra sede, affrontare quello che è invece un percorso riabilitativo, con tutte le terapie tipiche per l’autonomia del non vedente, quale la tifloinformatica, l’orientamento e la mobilità, il supporto psicologico alle famiglie. E tutto questo in una dimensione assolutamente familiare: dare loro anche l’uso di cucina o possono fruire della nostra mensa o andare nei ristoranti della zona… E’ una settimana che possiamo definire di vacanza, ma al contempo anche terapeutica. E’ totalmente gratuito”.

D. – Oltre a queste ci sono anche altre attività, come la “Black Boxe”. Che cos’è?
R. – Si affiancano a quelle che sono le attività storiche dell’ente e cioè la riabilitazione in convenzione con l’Asl per gli ipovedenti o ciechi oppure l’assistenza didattica, sia presso le scuole che a casa, ovvero l’attività educativa di carattere tiflopedagogico. La “Black Boxe” è una innovazione che abbiamo portato, anche dopo la mia esperienza personale un po’ in tutto il mondo, in quelle che sono le attività al buio. Abbiamo realizzato una stanza completamente oscurata, in cui possiamo fare attività di formazione rivolte ai dirigenti di azienda, in cui possono sperimentarsi in tematiche quali quelle che sono la leadership, la capacità di costruire un gruppo di lavoro, la comunicazione sintetica ed efficace, che sono poi tematiche proprie della disabilità visita e che mettiamo a frutto invece dei cosiddetti vedenti. Al contempo anche attività di educazione per le scuole: vengono da noi al mattino gli studenti delle scuole elementari o medie per provare la multisensorialità e quindi riscoprire al buio il valore del gusto, del tatto, dell’olfatto e dell’udito. E questo lo facciamo anche attraverso momenti di apparente ricreazione, come quella del thè: il primo lunedì del mese, offriamo un thè al buio – l’iniziativa si chiama “al buio con thè” – nella nostra “Black Boxe”. Un’iniziativa rivolta a tutti, anche alle famiglie, e molto spesso genitori o fratelli di disabili visivi, che possono in quel momento capire effettivamente quale può essere la vita di un cieco.

D. – Come reagiscono le persone che fanno questa esperienza?
R. – Noi riteniamo che il buio sia soltanto una metafora della cecità, ma è una piattaforma, una dimensione molto più importante e comprensiva di quello che è un vivere a più livelli: ognuno di noi, al buio, può riscoprire effettivamente se stesso, ha l’opportunità di guardarsi dentro, conoscere le proprie attitudini e le proprie capacità. Quindi è un momento di valorizzazione dell’essere umano, al di là delle sue abilità o disabilità. Noi simuliamo anche dei percorsi turistici a Roma, descriviamo – ad esempio – dei quadri al buio e quando le persone, all’esterno, vedono effettivamente il quadro descritto dicono: “Io questo quadro, con questa attenzione con cui voi me lo avete descritto oggi, non lo avevo visto mai!”. Proprio perché oggi molto spesso la vista nella sua egemonia tirannica rispetto agli altri sensi, è un po’ vittima anche della fretta. Per cui non si guarda con attenzione, ma si vede distrattamente.