Apprendere per competenze nello scenario europeo

Apprendere per competenze nello scenario europeo

di Maurizio Tiriticco

 

  1. Misurare, valutare, certificare

Quando si parla di valutazione, in genere si pensa subito e solo alla scuola, quando, invece, non è affatto così. Ciascuno di noi “valuta” quotidianamente, anche se non ne ha piena consapevolezza. Quando al supermercato indugiamo a ricercare quel prodotto, di quella marca, ne consideriamo peso e prezzo e, magari, andiamo anche a leggere per intero le note illustrative e la scadenza, non facciamo altro che valutare. E alla fine acquisteremo quel prodotto che corrisponde alle nostre scelte valutative. E va anche considerato che un altro acquirente scarta il prodotto da noi scelto e acquista quello che noi abbiamo scartato. Così va il mercato! Così va anche la nostra giornata. Quale camicia indosso oggi? E quale cravatta? No! Questa non è adatta! Troppo seria! E’ una cena tra amici; non debbo tenere una conferenza!

E non solo valutiamo, ma, senza neanche rendercene conto, misuriamo anche e… “certifichiamo”! E MISURARE, VALUTARE e CERTIFICARE sono operazioni tipiche anche di un’attività scolastica, dove sono anche fortemente formalizzate.

Ricorriamo a qualche esempio, tratto dalla vita reale. Devo acquistare una camicia… bellissima quella che ho visto in vetrina, un po’ cara, però è quella che voglio. Entro e la chiedo al commesso. La risposta del commesso è in genere questa: Quale MISURA le occorre? E io rispondo: Dodici e mezzo. E il commesso: Mi dispiace, signore, ma di quella misura le abbiamo terminate. Perdiana! La mia VALUTAZIONE positiva viene tristemente a cadere. Il commesso mi presenterà camicie della misura da me richiesta, ma a me “non piacciono”. La MISURAZIONE è quella che è, ma la mia VALUTAZIONE è negativa. Sto per andarmene, ma il commesso tenta di trattenermi: Guardi, signore, che la camicia che le ho offerta è di Armani, una garanzia! Vede, c’è anche il CERTIFICATO. Le stesse operazioni si ripetono per l’acquisto di un paio di scarpe. Se non sono di Nero Giardini, una vera e propria CERTIFICAZIONE di garanzia, niente da fare!!! E che dire di un anello di fidanzamento? Posso VALUTARLO bello e di grande valore, ma se non è della MISURA dell’anulare della fidanzata, niente da fare, anche se il CERTIFICATO di garanzia ne attesta origine e valore. La stessa cosa accade per l’acquisto dell’automobile: quella marca è di per sé un CERTIFICATO di garanzia, ma quel colore non mi piace, quindi la mia VALUTAZIONE è negativa; finalmente trovo il colore che mi piace, ma… è troppo lunga per il mio box: MISURAZIONE!

Ebbene, la stessa triade di concetti riguarda ANCHE la scuola, quindi NON SOLO la scuola. Correggo un compito di italiano! Quanti errori di grammatica – MISURAZIONE – eppure è molto interessante, ricco di idee originali, VALUTAZIONE. Oppure mi imbatto nel caso contrario. Non c’è un errore di grammatica: quindi le sue tre componenti, ortografia, morfologia e sintassi, sono completamente soddisfatte, ma… il contenuto è di una tale banalità! Va anche aggiunto che, quando SI MISURA, si “contano” gli errori e l’operazione effettuata è oggettiva; quando SI VALUTA, l’operazione è soggettiva. E’ più che noto che lo stesso tema può dar luogo a VALUTAZIONI diverse, anche se sugli errori di grammatica non c’è, né potrebbe esserci, discussione alcuna: quella “scuadra” scritta con la C, o quella squola con la Q sono errori, se non “orrori”, oggettivi.

Misurare e valutare, quindi, sono operazioni diverse e richiederebbero, quindi, diverse procedure. Eppure nella nostra scuola ambedue si esprimono sempre con un voto da uno a dieci. Dieci voti a disposizione sono tanti e, per legge, vanno espressi sempre per intero, ma… E’ più che noto il ricorso ai più, ai meno, ai meno meno, ai mezzi… mancano solo i terzi! E c’è anche chi assegna uno zero spaccato! E lo zero, per norma, non esiste. La “fantasia” degli insegnanti è collaudata da sempre! Ma questa “fantasia” è di fatto obbligata: infatti, è difficile attribuire un voto intero che racchiuda due operazioni diverse, misurare e valutare. E lo scarto tra misurare e valutare è frequentissimo,anche se non ce ne rendiamo conto. Quando, in sede di scrutinio, in matematica “portiamo un cinque a sei” – come si suol dire – perché l’alunno Rossi ha otto in tutte le altre materie, non facciamo altro che passare dall’esito di una MISURAZIONE – in genere la media dei voti riportati dall’alunno in quella data disciplina – ad una VALUTAZIONE. E si tratta di un’operazione che va debitamente verbalizzata con un articolato e motivato giudizio. Si noti che l’esito del misurare è un numero; l’esito del valutare è un giudizio, anche se poi si esprime con un numero.

Per decenni e decenni nella nostra scuola si è valutato con voti e/o con relativi giudizi sintetici: ad esempio il 6 equivaleva alla sufficienza, il 10 al lodevole. Poi negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, soprattutto in forza dell’avvio della scuola media obbligatoria ottonnale (il primo anno scolastico fu il 1963/64), ci si rese conto che la semplice conta dei voti era insufficiente ad accompagnare una riforma che in quegli anni fu addirittura epocale. Basti ricordare le polemiche sul “latino sì o latino no”, quelle sulle bocciature, su cui intervenne saggiamente la “Lettera a una professoressa” di Don Milani. Le discussioni sul merito e il fine dell’istruzione obbligatoria ottonnale furono infinite e accese. E finalmente con le indicazioni normative “rivoluzionarie” della legge 517 del 1977 si abolirono i voti nella scuola dell’obbligo e furono sostituiti dai giudizi verbali.

La stagione che si aprì avrebbe dovuto essere veramente rivoluzionaria, ma in effetti passare dal VOTO al GIUDIZIO non fu cosa semplice, anche perché implicava e richiedeva anche modi diversi di insegnare e di apprendere. Ma anche e soprattutto perché non fu mai chiaro all’amministrazione né chiarito agli insegnanti che il passaggio dal numero al giudizio implicava che fosse affrontata fino in fondo la profonda differenza che corre tra il MISURARE e il VALUTARE. In assenza di questa chiarezza, squisitamente docimologica – la docimologia è una disciplina, come lo è la fisica o la filosofia [1] – la stagione dei giudizi ha sempre avuto vita grama, finché, con il dpr 122/2009 (ministro pro tempore Mariastella Gelmini) si è tornati ai voti. Si è fatto così, a giudizio di chi scrive, un passo indietro in materia. Ed è per questo che, di fatto, a tutt’oggi il problema della valutazione è quello che maggiormente assilla scuole, dirigenti e insegnanti.

 

  1. La difficoltà di giungere a un concetto condiviso di competenza

In questa situazione “valutativa” oggettivamente non molto chiara, si è aggiunta poi un’altra stagione, quella delle COMPETENZE e della loro CERTIFICAZIONE. Sotto il profilo normativo, la certificazione delle competenze è stata introdotta dalla legge di riforma dell’esame di maturità, la 425/1997. In questa legge, all’articolo 6 leggiamo testualmente: “Il rilascio e il contenuto delle certificazioni di promozione, di idoneità e di superamento dell’esame di Stato sono ridisciplinati in armonia con le nuove disposizioni, al fine di dare trasparenza alle competenze, conoscenze e capacità acquisite secondo il piano di studi seguito, tenendo conto delle esigenze di circolazione dei titoli di studio nell’ambito dell’Unione europea”. Nel regolamento che ha reso applicativo la legge, il dpr 323/1998, su tale materia leggiamo testualmente: “L’analisi e la verifica della preparazione di ciascun candidato tendono ad accertare le conoscenze generali e specifiche, le competenze in quanto possesso di abilità, anche di carattere applicativo, e le capacità elaborative, logiche e critiche acquisite”. E’ evidente che una definizione di questo tipo è estremamente povera rispetto al fine che si dovrebbe perseguire. Di fatto il ministero di allora dimostrò di avere una scarsa competenza in materia di… COMPETENZE, nonché in materia di… CERTIFICAZIONE. Infatti, il modello di certificazione allora adottato – e ancora oggi in vigore, salvo leggerissime modifiche – non certificava un bel nulla. Comunque, si trattava di un modello che avrebbe dovuto avere la durata di soli due anni, il periodo che il ministero si dava per legiferare in merito in modo compiuto sia sotto il profilo operativo che sotto quello formale.

I due anni trascorsero, ma invano. E a tutt’oggi, nonostante con l’anno scolastico 2014/15 siano andate a regime le Indicazioni nazionali per i licei e le Linee guida per gli istituti tecnici e professionali varate nel 2010 dall’amministrazione Gelmini, di certificazione delle competenze… ancora nulla! E non è un caso che tra i decreti delegati al Governo, di cui all’articolo 1, comma 181 della legge 107/2015, figura anche “la revisione delle modalità di svolgimento degli esami di Stato relativi ai percorsi di studio della scuola secondaria di secondo grado in coerenza con quanto previsto dai regolamenti di cui ai decreti del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, nn. 87, 88 e 89”. Speriamo che – come si suol dire – sia questa la volta buona!

La difficoltà che il ministero incontrò in materia di certificazione di competenze alla fine degli anni Novanta non era, però, casuale. Il fatto è che proprio su tale materia mancava in quel periodo una visione condivisa dalle scuole dei diversi Paesi dell’UE. Il problema era, ed è, quello di varare certificazioni in una dimensione transnazionale, “leggibili” e comparabili in tutti i Paesi membri. Pertanto, quando in materia di interpretazione e definizione di determinati termini/concetti come conoscenze, capacità, abilità e competenze c’è confusione, è difficile giungere a provvedimenti normativi chiari. In effetti, anche nella stessa Unione europea si è giunti passo passo e in tempi non brevi a dare definizioni certe e definitive rispetto a tale materia.

 

  1. La parola all’Europa!

In materia di competenze l’Unione europea è intervenuta con due importanti Raccomandazioni del Parlamento europeo e del Consiglio europeo in data 18 dicembre 2006 e 23 aprile 2008 [2].

La prima Raccomandazione riguarda le competenze chiave di cittadinanza necessarie per l’apprendimento permanente. La seconda Raccomandazione riguarda le competenze culturali e professionalizzanti. La differenza è chiara: si tratta di due aree ben diverse della persona, quella del “comportarsi” in quanto cittadini e quella del “conoscere” a fini professionali. In effetti, si può essere buoni cittadini, anche se modesti sotto il profilo professionale; oppure ottimi professionisti, ma… a servizio della malavita, quindi pessimi cittadini!

Le competenze chiave di cittadinanza di cui alla Raccomandazione del 2006 sono le seguenti: 1) comunicazione nella madre lingua; 2) comunicazione nelle lingue straniere; 3) competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologie; 4) competenza digitale; 5) imparare a imparare; 6) competenze sociali e civiche; 7) spirito di iniziativa e imprenditorialità; 8) consapevolezza ed espressione culturale. Sono competenze che nella Raccomandazione, a cui si rinvia, sono puntualmente specificate e dettagliate.

La prima Raccomandazione è stata di fatto e di diritto recepita dal nostro Paese in occasione dell’innalzamento dell’obbligo di istruzione da 8 anni a 10 [3], che ha avuto il suo primo avvio nell’anno scolastico 2007/2008. Nell’allegato 2 al dm 139/2007 le otto competenze chiave sono state così curvate alle esigenze del nostro sistema di istruzione: “L’elevamento dell’obbligo di istruzione a dieci anni intende favorire il pieno sviluppo della persona nella costruzione del sé, di corrette e significative relazioni con gli altri e di una positiva interazione con la realtà naturale e sociale”. Le sottolineature sono nostre e aiutano a comprendere le sottolineature che seguono in parentesi nel successivo periodo. Le competenze di cittadinanza sono le seguenti: 1) imparare ad imparare; 2) Progettare (finalizzate alla costruzione del Sé); 3) Comunicare 4) Collaborare e partecipare; 5) Agire in modo autonomo e responsabile (finalizzate a costruire le relazioni del Sé con gli Altri); 6) Risolvere problemi; 7) Individuare collegamenti e relazioni; 8) Acquisire e interpretare l’informazione (finalizzate a costruire il Sé e l’interazione con la realtà naturale e sociale).

Con la seconda Raccomandazione viene definito e descritto il Quadro Europeo delle Qualifiche, “European Qualifications Framework” (EQF). Si tratta di un sistema che permette di confrontare i titoli di studio e le qualifiche professionali dei cittadini dei paesi europei. I risultati di apprendimento sono definiti in termini di Conoscenze, Abilità e Competenze. Tali risultati sono stati identificati in otto livelli. Con l’EQF si definisce in modo chiaro e trasparente il livello di apprendimento e di competenza raggiunto da un soggetto in un certo ambito di istruzione o formazione. Ecco l’elenco degli otto livelli del Quadro Europeo delle Qualifiche. Si sottolinea che ciascun livello di COMPETENZA è la risultante dell’acquisizione di date CONOSCENZE e date ABILITA’ che nell’elenco che segue non riportiamo:

Livello 1 – lavorare o studiare sotto supervisione diretta in un contesto strutturato. NB – si sottolinea che nel caso italiano si lavora solo dopo i 15 anni

Livello 2 – lavorare o studiare sotto supervisione diretta con una certa autonomia

Livello 3 – assumersi la responsabilità dello svolgimento di compiti nel lavoro e nello studio; adattare il proprio comportamento alle circostanze per risolvere problemi

Livello 4 – autogestirsi all’interno di linee guida in contesti di lavoro o di studio solitamente prevedibili, ma soggetti al cambiamento; supervisionare il lavoro di routine di altre persone, assumendo una certa responsabilità per la valutazione e il miglioramento delle attività di lavoro e di studio

Livello 5 – gestire e supervisionare in contesti di attività di lavoro o di studio soggetti a cambiamenti imprevedibili; valutare e migliorare le prestazioni di se stessi e degli altri

Livelli 6 – gestire attività o progetti tecnici o professionali complessi, assumendosi la responsabilità della presa di decisioni in contesti di lavoro o di studio imprevedibili; assumersi la responsabilità di gestire lo sviluppo professionale di singoli individui e di gruppi:

Livello 7 – gestire e trasformare contesti di lavoro e di studio complessi e imprevedibili, che richiedono approcci strategici nuovi; assumersi la responsabilità di contribuire alle conoscenze e alla pratiche professionali e/o di valutare le prestazioni strategiche di gruppi

Livello 8 – dimostrare un grado elevato di autorità, innovazione, autonomia, integrità scientifica e professionale, e un impegno sostenuto verso lo sviluppo di nuove idee o processi all’avanguardia in contesti di lavoro o di studio, tra cui la ricerca

Per quanto riguarda il nostro Sistema nazionale di istruzione generalista statale e paritario e di formazione professionale regionale, è stata operata la seguente scelta: il livello 1 corrisponde all’esame dei licenza media; il livello 2 corrisponde al conseguimento dell’obbligo di istruzione (fine del primo biennio degli studi secondari di secondo grado); il livello 3 corrisponde alle qualifiche triennali rilasciate dal sistema di istruzione e formazione professionale regionale; il livello 4 corrisponde all’esame di Stato conclusivo del secondo ciclo di istruzione e al diploma di tecnico professionale quadriennale regionale; il livello 5 corrisponde al diploma di Istruzione Tecnica Superiore; il livello 6 corrisponde alla laurea triennale; il livello 7 corrisponde alla laurea magistrale e ai master di primo livello; il livello 8 corrisponde al dottorato e ai master di secondo livello.

 

  1. Per una definizione condivisa di competenza

La seconda Raccomandazione è stata da noi recepita formalmente in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano dall’“Accordo sulla referenziazione del sistema scolastico italiano delle qualificazioni al quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente (European Qualifications Framework, EQF), di cui alla Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008”. Tale accordo è stato sancito nella seduta del 20 dicembre 2012.

E’ estremamente importante vedere la definizione che l’Ue con le sue Raccomandazioni adotta per definire il concetto di competenza, in quanto differisce dalla definizione data dal Regolamento degli esami di Stato del secondo ciclo di istruzione, di cui al dpr 323/1998 e riportata in un precedente capitolo. Le definizioni che seguono dei termini/concetti di conoscenza, di capacità e abilità sono di chi scrive, ma congruenti con la definizione di competenza data dalle Raccomandazioni Ue.

Conoscenze – insieme organizzato di DATI e INFORMAZIONI relative a oggetti, eventi, tecniche, regole, principi, teorie, che il soggetto ap-prende, com-prende, archivia e utilizza in situazioni operative quotidiane procedurali e problematiche [4]

Capacità/Abilità – atti concreti singoli che il soggetto compie utilizzando date conoscenze e dati strumenti; di fatto un’abilità è un segmento di competenza [5].

Competenza – “la capacità dimostrata da un soggetto di utilizzare le conoscenze, le abilità e le attitudini (atteggiamenti) personali (il Sé), sociali (il Sé e gli Altri) e/o metodologiche (il Sé e le Cose) in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e/o personale. Nel Quadro Europeo delle Qualifiche le competenze sono descritte in termini di responsabilità e autonomia”.

Quest’ultima costituisce una sottolineatura molto importante. Un soggetto è autonomo quando è in grado di compiere un atto (dar luogo a un’abilità e/o a più abilità che, coordinate insieme, danno luogo a una competenza); lo stesso soggetto è responsabile, quando è consapevole dell’obiettivo che persegue e quale impegno assume nei confronti di altri soggetti.

Per dar luogo a una competenza occorre quindi il concorso di conoscenze e abilità. Un pianista conosce le note musicali, il funzionamento di un pianoforte, sa leggere uno spartito, ha occhi, mani e piedi abili per “agire” con il pianoforte. Un chirurgo conosce la parte del corpo umano su cui deve intervenire, ha occhi e mani abili per l’operazione da condurre. Non c’è mestiere o professione, semplici o complessi che siano, che non si concretizzino nella sequenza conoscenze, abilità, competenze.

A questo punto è assolutamente opportuno notare che la formulazione della Raccomandazione introduce anche il concetto di attitudine: e non è cosa da poco. E’ ovvio che il pianista e il chirurgo dei due esempi sopra riportati non sono dei robot, e che due pianisti e due chirurghi, ovviamente al di là dei protocolli che ne caratterizzano la professionalità di base, non opereranno mai nello stesso modo. Il che significa che una competenza comporta anche una forte dose di “personalizzazione”. Le attitudini sono personali (il pianista esegue il suo pezzo dandone una sua personale interpretazione; due chirurghi, a fronte del medesimo caso, opereranno con strumenti e modi diversi), sociali (nel senso ampio del termine: il pianista che deve suonare con un’orchestra non può fare a meno di “socializzare”, sintonizzarsi con la bacchetta del direttore; il chirurgo non può non interagire più che correttamente con l’équipe che lo assiste), metodologiche (“quel” pianista interpreta quel pezzo di Beethoven diversamente da un altro; quel “chirurgo” opera secondo strategie e approcci che lo differenziano da un altro.

Le precisazioni operate dalla Raccomandazione sono chiarissime. Quindi nella realtà operativa non c’è mai una competenza eguale a un’altra: in effetti al di là dei fondamenti di protocollo, il tasso di personalizzazione è sempre molto forte. Negli studi di due medici figurano i diplomi di laurea con 110 e lode – che potremmo definire i protocolli di competenza – ma, nella professione quotidiana i due potranno dare indicazioni diverse a fronte di un medesimo caso: è la personalizzazione della competenza [6]. E’ un discorso che va fatto nei confronti di tutti coloro che per competenza intendono operazioni standardizzate se non addirittura ripetitive.

 

  1. Le competenze nel nostro sistema di istruzione

Insegnare e apprendere per competenze è una scelta che è stata operata anche nel nostro sistema di istruzione. Ovviamente parlare di competenze nel campo professionale è un conto (un idraulico, un medico, un odontotecnico, un avvocato); altro conto è parlare di competenze in ambito scolastico e, soprattutto, quando si ha a che fare con percorsi che riguardano l’età evolutiva. Comunque l’insegnare per competenze, quindi sempre con l’obiettivo che l’alunno sappia “usare concretamente” quanto va imparando in itinere, costituisce una finalità che riguarda la conclusione di un percorso di istruzione che potremmo definire “concluso”. E ciò riguarda sia la scuola per l’infanzia, l’istruzione primaria, l’istruzione secondaria di primo grado, la conclusione dell’obbligo di istruzione decennale, la conclusione dei tre percorsi secondari di secondo grado.

A questo proposito nella parte relativa all’organizzazione del curricolo delle “Indicazioni nazionali per l’infanzia e il primo ciclo di istruzione” [7], a proposito della “certificazione delle competenze” leggiamo testualmente: “Con le Indicazioni nazionali s’intendono fissare gli obiettivi generali, gli obiettivi di apprendimento e i relativi traguardi per lo sviluppo delle competenze dei bambini e ragazzi per ciascuna disciplina o campo di esperienza. Per l’insegnamento della Religione Cattolica, disciplinata dagli accordi concordatari, i traguardi di sviluppo delle competenze e gli obiettivi di apprendimento sono definiti d’intesa con l’autorità ecclesiastica (decreto del Presidente della Repubblica dell’11 febbraio 2010)”.

E, a seguire: “La scuola finalizza il curricolo alla maturazione delle competenze previste nel profilo dello studente al termine del primo ciclo, fondamentali per la crescita personale e per la partecipazione sociale, e che saranno oggetto di certificazione. Sulla base dei traguardi fissati a livello nazionale, spetta all’autonomia didattica delle comunità professionali progettare percorsi per la promozione, la rilevazione e la valutazione delle competenze. Particolare attenzione sarà posta a come ciascuno studente mobilita e orchestra le proprie risorse – conoscenze, abilità, atteggiamenti, emozioni – per affrontare efficacemente le situazioni che la realtà quotidianamente propone, in relazione alle proprie potenzialità e attitudini. Solo a seguito di una regolare osservazione, documentazione e valutazione delle competenze è possibile la loro certificazione, al termine della scuola primaria e della scuola secondaria di primo grado, attraverso i modelli che verranno adottati a livello nazionale. Le certificazioni nel primo ciclo descrivono e attestano la padronanza delle competenze progressivamente acquisite, sostenendo e orientando gli studenti verso la scuola del secondo ciclo”.

Nelle suddette Indicazioni nazionali, al termine di ciascuno dei tre percorsi, infanzia, primaria e media, non vengono indicate pertanto precise competenze, ma – in relazione ad attività per l’infanzia e alle singole discipline per la primaria e la media – “traguardi per lo sviluppo della competenza”.

Successivamente, con la cm 13 febbraio 2015, n. 3 si è deciso di procedere sperimentalmente alla certificazione delle competenze a conclusione della scuola primaria e della scuola media. Alla circolare sono allegate le opportune linee guida e due schede di certificazione, una relativa al termine della scuola primaria, la seconda relativa al termine della scuola media.

L’operazione avviata è di particolare importanza, in quanto il passaggio da processi di istruzione che generalmente si fondano su contenuti disciplinari e su apprendimenti di carattere cognitivo (la scuola del conoscere) a processi finalizzati, invece, a certificare competenze (la scuola del fare), non è affatto un’impresa semplice. In effetti si tratta di una “rivoluzione culturale” – se ci è è permessa l’espressione – che riguarda tutte le scuole dei Paesi ad alto sviluppo. Ed è anche vero che parlare di competenze a tutto tondo per adolescenti di 11 e di 14 anni non è affatto cosa facile, a meno che non si tratti di bambini prodigio, quali Mozart, Gauss, Pascal, Gauss, e forse anche Giotto e Leopardi, o di bambine, Maria Gaetana Agnesi! Comunque, è anche vero che è quanto mai necessario che insegnanti e alunni siano consapevoli di questo incremento che si sta verificando nei processi di insegnamento/apprendimento. Ed è per questa ragioni che le Indicazioni nazionali del primo ciclo non parlano mai di competenze a tutto tondo, ma di “traguardi per lo sviluppo della/e competenza/e”. Analogamente accade per il modello di certificazione relativo agli undicenni e ai quattordicenni, in cui si indicano “profili di competenza”.

Nella citata cm 3, infatti, una scelta di questo tipo viene ampiamente giustificata. Ne riportiamo un passo significativo in tal senso, intitolato, appunto, “Il significato della certificazione”.

“La certificazione delle competenze assume, nelle scuole del primo ciclo, una prevalente funzione educativa, di attestazione delle competenze in fase di acquisizione, capace di accompagnare le tappe più significative (quinta classe primaria, terza classe secondaria di I grado per i soli alunni che superano l’esame di Stato) di un percorso formativo di base che oggi, partendo dall’età di 3 anni, si estende fino ai 16 anni. Non a caso, anche al termine di questo ciclo scolastico è previsto il rilascio obbligatorio di una certificazione delle competenze acquisite in relazione all’assolvimento dell’obbligo di istruzione, al 16° anno di età (DM n. 9/2010). Analoga prescrizione riguarda la conclusione del percorso di studi del secondo ciclo.

“È da notare che le quattro tipologie di certificazioni previste dal nostro ordinamento (al termine della quinta classe primaria, della terza classe secondaria di I grado, della seconda classe secondaria di Il grado, della quinta classe secondaria di II grado) si caratterizzano, al momento, per diversità di impianto culturale e di formato amministrativo. Si rende quindi necessaria una loro armonizzazione, che ne consenta una chiara leggibilità da parte dei fruitori del servizio scolastico, in una ottica di comparabilità europea, rispettando le diverse finalità che la legge attribuisce alla certificazione delle competenze ai vari livelli di età.

“L’introduzione di modelli nazionali sperimentali nel primo ciclo risponde quindi all’esigenza di avviare questo processo di armonizzazione, molto atteso dalle scuole. La certificazione delle competenze non è sostitutiva delle attuali modalità di valutazione e attestazione giuridica dei risultati scolastici (ammissione alla classe successiva, rilascio di un titolo di studio finale, ecc.), ma accompagna e integra tali strumenti normativi, accentuando il carattere informativo e descrittivo del quadro delle competenze acquisite dagli allievi, ancorate a precisi indicatori dei risultati di apprendimento attesi.

“La certificazione si riferisce a conoscenze, abilità e competenze, in sintonia con i dispositivi previsti a livello di Unione Europea per le “competenze chiave per l’apprendimento permanente” (2006) e per le qualificazioni (EQF, 2008) recepite nell’ordinamento giuridico italiano. Questo ampio ancoraggio ne assicura una più sicura spendibilità nel campo della prosecuzione degli studi, della frequenza di attività formative diversificate e in alternanza, di inserimento nel mondo del lavoro anche attraverso forme di apprendistato formativo”.

Le schede relative alla certificazione, sia per la scuola primaria che per la media, pur diverse nei contenuti, presentano la medesima struttura: quattro colonne relative a: 1) profilo delle competenze; 2) competenze chiave; 3) discipline coinvolte; 4) livello di raggiungimento da parte dell’alunno. I livelli sono quattro: a) avanzato; b) intermedio; c) base; d) iniziale. La sperimentazione è inizialmente facoltativa e obbligatoria per il secondo anno. Si prevede che con il terzo anno scolastico, 1917, la scheda sia quella definitiva.

Va anche considerato il fatto che – come si suol dire – una competenza c’è o non c’è: abbiamo già fatto l’esempio di un idraulico, un medico, un odontotecnico, un avvocato. Tuttavia, è anche possibile indicare livelli di competenza, in genere tre, da un livello di base a un livello alto; ad esempio: essenziale, esperto, eccellente. La scelta operata per la certificazione al termine del primo ciclo è la seguente: A – Avanzato: L’alunno/a svolge compiti e risolve problemi complessi, mostrando padronanza nell’uso delle conoscenze e delle abilità; propone e sostiene le proprie opinioni e assume in modo responsabile decisioni consapevoli; B – Intermedio: L’alunno/a svolge compiti e risolve problemi in situazioni nuove, compie scelte consapevoli, mostrando di saper utilizzare le conoscenze e le abilità acquisite; C) – Base: L’alunno/a svolge compiti semplici anche in situazioni nuove, mostrando di possedere conoscenze e abilità fondamentali e di saper applicare basilari regole e procedure apprese; D – Iniziale: L’alunno/a, se opportunamente guidato/a,svolge compiti semplici in situazioni note.

Per quanto riguarda la conclusione dell’obbligo di istruzione decennale, si rinvia alla cm 139/07 contenente il Regolamento e quattro allegati: 1) il documento tecnico, esplicativo del contesto in cui operare e del metodo da seguire; 2) un allegato contente quattro assi culturali pluridisciplinari: dei linguaggi; matematico; scientifico-tecnologico; storico-sociale; in ciascun asse sono descritte le competenze da conseguire in ordine a date conoscenze e capacità/abilità; 3) un allegato contenente le competenze chiave di cittadinanza da acquisire al termine dell’istruzione obbligatoria: 4) un allegato contenente la Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente. Va detto che le competenze relative ai quattro assi culturali costituiscono una rielaborazione delle competenze europee, operata per curvarle alla realtà del nostro sistema di istruzione. Va sottolineato che il certificato che le scuole avrebbero dovuto adottare per attendere alla certificazione è stato pubblicato tre anni più tardi con la cm 9 del 27 gennaio 2010 Così, per due anni scolastici i Consigli di classe hanno dovuto operare Inventando e sperimentando modelli di certificazione… faidate!

Per quanto riguarda la fine del secondo ciclo di istruzione, come abbiamo già detto in un precedente capitolo, si è in attesa che con un provvedimento ministeriale ad hoc sia proposto alle commissioni di esame un modello di certificazione delle competenze che di fatto attendiamo dall’anno scolastico 1998/99, primo anno della riforma degli esami di maturità. Alla fine del secolo scorso si è deciso correttamente quanto fosse vago e soggettivo elaborare un giudizio di maturità e quanto, invece, potesse essere produttivo certificare concretamente quali competenze il candidato avesse raggiunto, ma… com’è noto, l’attuale modello non certifica nulla se non punteggi raggiunti. Com’è noto, con il commi 180 e 181 della legge 107 il Miur è tenuto a varare un decreto legislativo che contenga l’atteso modello di certificazione [8]… anche perché – come si suol dire – ce lo chiede anche l’Europa, stante un mercato delle competenze e del lavoro che ormai va ben otre i confini del nostro Paese.

 

  1. Le competenze nella pratica scolastica

6.1- Curricolo e programmazione – si rinvia all’allegato “Per un curricolo verticale”

La metafora dei “verbi a colori”

E’ un dato di fatto che tra i concetti di conoscenza, capacità, abilità e competenza corrono profonde differenze. Il conoscere implica operazioni mentali; l’essere capaci implica potenzialità psicologiche, psicofisiche ed essenzialmente fisiche (ad esempio, curiosità, interesse, volontà a misurarsi; e, come si suol dire, possedere cuore, polmoni, mani e piedi ben funzionanti) c; quando poi tali potenzialità si esprimono correttamente e sono finalizzate a determinate operazioni, entriamo nel mondo delle abilità (manipolare correttamente, camminare, saltare, ecc.). Una competenza è infine l’esito di tutta una serie di operazioni pregresse che implicano, appunto conoscenze, capacità pro abilità nonché attitudini, voglia di fare, di misurarsi, di confrontarsi con i pari, ecc. assolutamente personali.

I nostri insegnanti sono abituati da anni alla programmazione per obiettivi e la raccomandazione che sempre si è fatta è che un obiettivo deve sempre indicare un’azione precisa e circoscritta, quindi misurabile e valutabile. Sostenere che l’obiettivo assegnato a Marco e da lui perseguito è quello di conoscere la prima guerra punica o il quadrato del binomio o la differenza che corre tra preposizione e congiunzione ha senso, ma in effetti molto limitato. La questione è un’altra: che cosa Marco deve concretamente fare per dimostrare di possedere quella data conoscenza? Per quanto riguarda la guerra punica, gli si potrebbe proporre un test di 20 item a quattro uscite ciascuno. In tale caso l’insegnante intende rilevare se Marco conosce circostanze, fatti, luoghi persone, ecc. di quella guerra, indipendentemente da un giudizio che su tale vicenda potrebbe esprimere e che è rilevabile con altri tipi di prova (ad es. una breve riflessione scritta, un saggio breve, un colloquio mirato). Per non dire delle abilità linguistiche e aritmetiche: fare la spesa al supermercato per la mamma ammalata! Esempi banali, ma la banalità è anche condizione essenziale per una futura complessità: il nostro alunno da grande potrebbe magari dirigere un supermercato!

Tutto ciò significa che, quando si propongono agli alunni obiettivi da raggiungere, è necessario preventivamente conoscere quali sono le operazioni che dovrà compiere, quindi i verbi da utilizzare, e quali tipi di reazione provocano nell’operazione che l’alunno è chiamato a svolgere.

Di qui la metafora dei verbi a colori. Possiamo distinguere, tra tutti i verbi del vocabolario, tre categorie: quella del conoscere, o delle operazioni cognitive; quella del sentire, o delle operazioni emotive, e quella del fare o delle operazioni concrete, visibili.

Il conoscere è un’operazione fredda, a tutti comune. Esempi: tre per tre è eguale a nove, per tutti; Dante ha scritto la Divina Commedia, per tutti; il Presidente della Repubblica oggi è Mattarella, per tutti. Ad indicare tale operazione possiamo utilizzare un colore freddo, il blu. E’ la metafora delle operazioni del “cervello sinistro”: le successioni lineari, discrete, sequenziali (razionale, pratico, logico, lineare, analitico, aritmetico): ad esempio, quelle compiute da un orologio o da un contachilometri o da un termometro digitali.

Il sentire è un’operazione calda e differisce da persona a persona. Esempi: Dante non mi piace; la Commedia è un’opera meravigliosa! No, è un’opera oscura. Mattarella non mi piace! A me piace tantissimo. Antonio si innamora di Maria, che a Filippo non piace affatto. Ad indicare tale operazione possiamo utilizzare un colore caldo, il rosso. E’ la metafora delle operazioni del “cervello destro”: spaziali, reticolari, continue (emotivo, creativo, immaginativo, intuitivo, olistico, allargato); le relazioni spaziali continue: ad esempio, un orologio con le lancette, un termometro al mercurio: il numero non appare sul display e dobbiamo ricavarlo dalla posizione assunta dalla lancetta o dal mercurio.

Il fare è un’operazione fisica visibile: camminare, mangiare, scrivere, correre, afferrare, lanciare. Ad indicare tale operazione possiamo utilizzare un terzo colore, tipicamente naturale, il verde.

Ne consegue che le centinaia di verbi del nostro vocabolario possono essere allocati ciascuno nella sua propria categoria. Nel caso scolastico, ogni operazione effettuata da un alunno rientra in una delle tre categorie (contare = blu; immaginare = rosso; saltare = verde).

Ricorriamo ad alcuni esempi.

Rientrano nei verbi blu: discriminare, associare, ordinare, classificare, seriare, indurre, dedurre, elencare, estrapolare, eseguire procedure, applicare regole, misurare, sommare, sottrarre, dividere, analizzare…

Rientrano nei verbi rossi: intuire, immaginare, inferire, costruire mappe concettuali, relazioni, sistemi, amare, odiare, presentire, sognare, valutare, amare, odiare, annoiarsi, preferire, scegliere…

Rientrano nei verbi verdi: toccare, afferrare, maneggiare, camminare, correre, saltare, mangiare, bere, nuotare, spingere, evitare, aprire, chiudere, salire, scendere, accendere…

Si tratta di verbi non utilizzabili al fine di definire una competenza, che implica sempre il concorso di più operazioni insieme coniugate, cognitive, emotive, fattuali. Pertanto, sempre per rimanere nella metafora dei verbi a colori, potremmo dire che, perché una competenza si manifesti pienamente, occorrono azioni complesse, in cui figurino verbi che ne implichino altri e che potremmo definire tricolori.

Ecco qualche esempio molto casuale e non necessariamente scolastico; si noti come ciascun verbo implichi la presenza attiva di altri verbi “colorati”: cantare, aggiustare uno strumento complesso, suonare uno strumento, guidare un aereo, dipingere, costruire, dirigere una banca, cucinare, guidare un’automobile (la patente rilasciata non è altro che la certificazione di una competenza accertata), leggere (ovviamente non strumentalmente), scrivere (ovviamente non copiando), insegnare, progettare un ponte. Seguono alcune chiarificazioni: la lettura ad alta voce implica una conoscenza (il puro e semplice riconoscimento delle lettere che compongono le singole parole), un’abilità fonica (se hai mal di gola, la voce non funziona); insegnare implica la conoscenza corretta del contenuto che gli alunni devono apprendere nonché le abilità di parlare, scrivere, usare le Tic.

Comunque, se si vogliono esempi più mirati, si vedano le Linee guida degli istituti tecnici e professionali, soprattutto per quanto concerne la fine del quinto anno di studi. Ogni competenza opportunamente descritta si raggiunge a condizione che il soggetto abbia acquisito date conoscenze e date abilità. Va sottolineato che si tratta di competenze in genere disciplinari (il nostro sistema di istruzione è tuttora organizzato per discipline e relative classi di concorso), quando, in effetti una competenza implica sempre il concorso di più discipline.

Per quanto riguarda la valutazione di un competenza, onde evitare confusione con la valutazione degli apprendimenti, è sempre bene parlare di procedure da adottare per l’ACCERTAMENTO e di procedure per la CERTIFICAZIONE. Si possono immaginare due strade per la certificazione. La prima è la risultante di una serie di continue attenzioni, sollecitazioni, correzioni, valorizzazioni ecc. esercitata da uno o più insegnanti su un determinato allievo: la condizione primaria è che l’insegnamento condotto anche e soprattutto in tempi lunghi (nel caso dell’istruzione superiore si ha a disposizione un interro quinquennio) sia finalizzato a promuovere reali competenze e non si limiti a valutare solo l’acquisizione di conoscenze; la seconda si ha quando uno o più soggetti esterni sono chiamati ad esaminare, valutare e certificare l’avvenuto raggiungimento e consolidamento di un competenza data: ad esempio, la patente automobilistica. Nel nostro esame di Stato conclusivo del secondo ciclo di istruzione concorrono le due modalità, rappresentate dai tre commissari interni e dai tre commissari esterni: il presidente è garante della correttezza delle operazioni svolte, delle valutazioni effettuate e della certificazione delle competenze che si sono accertate.

Per concludere, si pensi sempre che, mentre un compito scolastico può andare “bene” o “male” (e i voti sono graduati dall’uno al dieci, dal meno al più [9]), una competenza c’è o non c’è. Nella pratica scolastica, comunque, si è optato in genere per graduare tre livelli di successo: di base, intermedio e avanzato; nel caso del primo ciclo, come abbiamo visto. i livelli sono quattro. Ma si possono avere anche altre soluzioni: ad esempio il portfolio europeo delle lingue si sviluppa su tre livelli, ciascuno dei quali è poi diviso in due: quindi i livelli sono addirittura sei.

(*) estratto da Maurizio Tiriticco, Salvatore Pace, “Professione docente nel nuovo sistema di istruzione”, Tecnodid, Napoli, 2016


[1] Però chi insegna matematica o filosofia non sa nulla di docimologia. Manca nelle scuole una cultura della valutazione.

[2] Una Raccomandazione non è di per sé vincolante, ma consente alle istituzioni europee di rendere note le loro posizioni e di suggerire linee di azione senza imporre obblighi giuridici a carico dei destinatari. Nel nostro caso, le due Raccomandazioni costituiscono importanti linee d’azione per tutti i 28 sistemi nazionali europei di istruzione generalista e di formazione professionale.

[3] L’obbligo di istruzione fu innalzato da cinque a otto anni con la legge 1859 del 1962. L’innalzamento da otto a dieci anni è stato introdotto con l’articolo 1, comma 622 della legge 296 del 26 dicembre 2006, “finanziaria 2007”, e reso applicativo con i ddmm 139/2007 e 9/2010.

[4] Nella comunicazione interpersonale un dato è una singola parola, casa, il, tornare, nostro, Giuseppe, allora, amico, ecc. tra le migliaia che ritroviamo in un comune vocabolario. Si ha una informazione quando alcune parole sintagmaticamente organizzate esprimono un contenuto afferente a una data situazione. Ad esempio: il nostro amico Giuseppe è tornato a casa. Un soggetto ap-prende quando interiorizza dati e/o informazioni; com-prende quando è in grado di interiorizzarli unitariamente, elaborarle, estrapolarne altre e così via. In effetti, apprendo come si sommano più numeri; comprendo quando faccio la spesa al supermercato sapendo quanto posso spendere. Si opera proceduralmente quando apro la porta di casa, quando accendo la luce, metto in moto l’automobile. Si hanno invece situazioni problematiche, se ho perduto la chiave di casa, se la luce non si accende, se l’automobile non parte.

[5] La capacità è la possibilità che un soggetto ha di compiere un atto; l’abilità è il compimento dell’atto. Ho le gambe (capacità) e cammino (abilità). Ma, se mi si rompe una gamba, viene meno la capacità e, di conseguenza, non sono abile a camminare.

[6] Fa al nostro caso questa barzelletta. In un processo di omicidio un avvocato di grido e di grande esperienza lancia accuse terribili verso l’imputato. A un certo punto l’assistente comincia a tirarlo per la giacca più volte, ma l’avvocato continua imperterrito nella sua arringa. Al termine chiede all’assistente le ragioni di tanta insistenza: “Avvocato, ma noi siamo la difesa dell’imputato, non l’accusa”. L’avvocato con estrema disinvoltura riprende la parola ed esclama: “Questo è quello che avrebbe detto il mio avversario…ma noi che siamo la difesa…” e procede smontando tutte le accuse che prima aveva lanciato. Il massimo della personalizzazione della competenza!

[7] Si veda il relativo Regolamento pubblicato con decreto del Miur n. 254 del 16 novembre 2012.

[8] Testualmente leggiamo che necessita “la revisione delle modalità di svolgimento degli esami di Stato relativi ai percorsi di studio della scuola secondaria di secondo grado in coerenza con quanto previsto dai regolamenti di cui ai decreti del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, nn. 87,88 e 89”.

[9] Nella nostra pratica valutativa, i dieci voti non consentono mai di individuare una soglia intermedia: i primi cinque indicano esiti negativi; i secondi cinque indicano esiti positivi. Nella scala quinaria internazionalmente adottata, invece, la posizione sufficiente è indicata dal numero tre. Quante discussioni si eviterebbero nei nostri consigli di casse finali, quando è sempre difficile decidere se un cinque debba essere “portato” a sei! Ma nella scuola italiana in effetti i voti non sono dieci: si pensi ai mezzi voti, ai più, ai meno meno, ecc. Eppure la norma è chiara. I voti sono i primi dieci numeri interi. Si vedano il dpr 122/2009 concernente il Regolamento recante coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli alunni e ulteriori modalità applicative in materia e il dpr 80/2013 concernente il Regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione.