Un progetto che guarda agli studenti e innova la didattica

da Il Sole 24 Ore

Un progetto che guarda agli studenti e innova la didattica

di Daniele Checchi

Il progetto ministeriale di sperimentare una riduzione a quattro anni delle scuole superiori ha diversi pregi, anche se non rende espliciti gli scopi ultimi dell’iniziativa. Iniziata tre anni fa per concessione ministeriale ad alcune scuole statali e paritarie, la riduzione della durata scolastica sembrava rispondere all’esigenza di ceti sociali più elevati, che intendono avviare precocemente i propri figli agli stadi successivi della carriera formativa e lavorativa. Così come gli alunni anticipatari (i famosi “primini”) sono sempre provenuti da famiglie istruite che consideravano una perdita di tempo sottomettere i loro figli all’abbecedario (quando erano già in grado di leggere), così oggi probabilmente le stesse famiglie ritengono eccessivamente dispersiva la massa dei contenuti insegnati nella scuola secondaria, e ne invocano una sintesi e possibilmente una diversificazione verso competenze più appetite dal mercato (inglese, tecnologie, esperienza lavorativa).

In questo contesto ben ha fatto il ministero dell’Istruzione nel mettere a bando tra le scuole la possibilità di condurre questa sperimentazione. Si tratta di una sperimentazione su scala ridotta (100 classi equivalgono a 2.500-3mila studenti, pari allo 0,6% di ogni coorte di età che entra alle superiori), che tuttavia permette ad ogni ordine di scuola (e quindi non solo ai licei paritari) di concorrere sulla base della propria capacità organizzativa e innovativa nel ridisegnare il percorso. La presenza di molti aspiranti farà la gioia domani dei valutatori, i quali potranno confrontare i destini scolastici di classi ammesse con quelli di classi escluse, persino all’interno della stessa scuola, ottenendo così informazioni preziose sugli effetti dell’accorciamento del percorso.

Altrettanto importante è la precisazione che la sperimentazione debba assicurare agli studenti «il raggiungimento degli obiettivi specifici di apprendimento e delle competenze previsti per il quinto anno di corso, entro il termine del quarto anno» attraverso «adeguamento e rimodulazione del calendario scolastico e dell’orario settimanale delle lezioni… al fine di compensare la riduzione di una annualità del percorso scolastico». Questa precisazione è fondamentale per caratterizzare la sperimentazione non come una riduzione mascherata dell’organico docente. Quindi una sperimentazione didattico-organizzativa in positivo.

Tuttavia a me non sono chiarissimi gli incentivi di scuola e di sistema al promuovere questa sperimentazione. Se si leggono i criteri con cui verranno selezionate le scuole ammesse, tutto sembra molto orientato verso i «…processi di continuità e orientamento verso i percorsi universitari e postsecondari». Le scuole che offrano tale sperimentazione sono quindi scuole che intendono attrarre studenti particolarmente motivati, prefigurando quindi percorsi di eccellenza. Il nostro sistema scolastico è fortunatamente ancora in grado di promuovere le eccellenze, e non ho dubbi che non mancheranno scuole che competono nell’attrarre buoni studenti.

Meno chiaro è invece quale sia il guadagno di efficienza di questa proposta a livello di sistema. Sappiamo che sono gli indirizzi tecnici e professionali che soffrono i maggiori tassi di abbandono scolastico, e che quindi beneficerebbero maggiormente di un accorciamento della durata degli studi, possibilmente accompagnato da un innalzamento dell’obbligo scolastico. La durata quinquennale della scuola secondaria nasce sull’ipotesi di assicurare competenze adeguate per tutti per l’accesso universitario indipendentemente dall’indirizzo conseguito. Ma invece di imporre una durata uguale per tutti, non sarebbe forse meglio seguire uno schema modulare, sulla falsariga del modello inglese, che concentri nei primi anni della scuola superiore i contenuti necessari per una adeguata partecipazione sociale e lavorativa, e permetta negli anni finali, a questo punto resi opzionali, di prepararsi adeguatamente al percorso universitario? La principale controindicazione di questa impostazione sta però nel fatto che il nostro paese ha bisogno di un numero maggiore di persone con formazione terziaria, in quanto siamo il paese europeo con il più basso tasso di laureati. Offrire una via di fuoriuscita al terzo o al quarto anno rischierebbe di accentuare il fenomeno.

In ogni caso la sperimentazione non fornisce indicazioni utili a riguardo, in quanto punta a rafforzare studenti che già sono orientati verso la prosecuzione degli studi. Forse sarebbe stato più efficace approfondire l’efficacia dell’alternanza scuola-lavoro immaginando sì un percorso scolastico svolto in quattro anni, cui affiancare un anno di servizio civile dove le competenze acquisite entrassero a far parte della valutazione finale dello studente.