Piano nazionale della formazione e bonus premiante

Piano nazionale della formazione e bonus premiante:
se cambia il profilo del docente

di Stefano Stefanel

Il Contratto collettivo nazionale dei docenti è fermo da quasi dieci anni e non si vedono all’orizzonte volontà e risorse per il rinnovo. Non so quali strategie abbiano ministero e sindacati per venir fuori da questa impasse, ma i segnali che si vedono, anche a seguito della legge 107/2015, sembrano andare in altra direzione. Non è nemmeno chiaro che cosa di quella legge verrà modificato da accordi, note, concertazioni, né come si supererà la necessità che per derogare una legge tramite un contratto ci deve essere una esplicita riserva di legge. Come anche sarebbe interessante andare a fondo del perché un accordo contrattuale debba impegnare anche i soggetti che non sono interessati da quel contratto, ma poiché ormai tutto è emergenza va a finire che non c’è più alcuna emergenza, ma solo una normalità un po’ complessa.

Se però al di là delle proprie convinzioni ideologiche andiamo al fondo del problema vediamo chiaramente aprirsi tre prospettive inedite:

  • l’aumento vertiginoso dei soldi per la formazione tra Piano Nazionale della Formazione, Piano Nazionale Scuola Digitale, Fondi Pon per gli Snodi Formativi dice che i docenti hanno bisogno di formazione perché di fatto l’anzianità di servizio non è un elemento formativo;
  • il bonus premiante il merito introduce una parte di salario retribuita attraverso una decisione che rispetta dei criteri ma non un contratto, perché alla base di quel bonus c’è l’idea che vada premiato il merito di un docente e non il suo impegno orario, non la sua anzianità di servizio, non il suo svolgere in modo corretto il suo lavoro;
  • i fondi attribuiti tramite progetti sia nazionali che locali stanno aumentando in maniera vertiginosa e anche qui vanno nella direzione indicata dal bonus premiante alla ricerca dell’innovazione didattica e metodologica, della ricerca didattica, della documentazione e della diffusione delle “buone pratiche” e non di prassi trasmissive o di consolidati programmi.

Il profilo che ne viene fuori si pone in netta discontinuità con il profilo del docente conosciuto finora, la cui carriera ere legata a graduatorie connesse ai titoli d’accesso (voto di laurea ad esempio) e all’anzianità di servizio. Quella carriera non aveva niente a che vedere col merito (dato per scontato in assenza di demerito), coi progetti didattici, con l’innovazione. Anche la formazione era sempre vista come una sorta di diritto/dovere in cui il diritto la faceva da padrone sul dovere, dando per scontato che chi non si aggiornava o formava non necessariamente faceva qualcosa di sbagliato, perché comunque non c’è nulla come l’esperienza sul campo per essere migliori e formati.

Questa impostazione ha permesso a milioni di docenti di valutare senza aver frequentato un solo giorno di formazione sulla valutazione e si vede bene come sono andate le cose con Ocse e Invalsi che analizzano la scuola italiana attraverso tante e diverse informazioni nessuna delle quali collegata al voto assegnato dai docenti. D’estate poi ci si straccia un po’ le vesti (poche, è caldo) perché i voti della maturità più alti vengono dalle Regioni con esiti Ocse e Invalsi più scarsi. Poi ci sono i pedagogisti più affermati che regolarmente inorridiscono davanti alle misurazioni scambiate per valutazioni, alle medie matematiche, ai voti dati solo su insulsi compiti in classe (il cabarettistico “piegate un foglio a metà e scrivete a sinistra”, prassi che ormai resiste solo a scuola nell’ora di italiano) o su interrogazioni col metodo “a domanda risponde” vera tomba della pedagogia e della valutazione formativa e strumento ormai usato solo dai pubblici ministeri.

Il sistema che sta nascendo potrà essere anche ostacolato e fermato da accordi sindacali che vogliono premiare l’anzianità o “fermare la competizione”, dimenticandosi che la competizione la vuole fermare solo e sempre chi ha già vinto. Chi, invece, non ha ancora vinto niente la competizione la vuole, eccome. Per cui un sistema anche blandamente premiante il merito e non le ore spese in un progetto o in un’attività viene visto come di per sé eversivo, ma è quello a cui si arriverà. Magari non nel 2017 (possibile si torni al 2014 col bonus che si scioglie nel FIS), ma in tempi non lontani sarà premiato solo il merito e quindi sarà il FIS che si scioglie nel merito: non retribuzione aggiuntiva perché lo fai, ma per come lo fai. Si sta passando insomma dall’eguaglianza all’equità e l’equità pretende che i migliori siano premiati.

In Italia non prevale l’idea banale che ogni anno è bene bandire concorsi ordinari per tutti i posti vacanti di docenti, personale amministrativo e dirigenti, ma prevale l’idea che ogni concorso è meglio sia il più riservato possibile. Quindi non si cerca di dare a tutti il maggior numero di possibilità, ma si cerca di dare a chi è più anziano più possibilità rispetto a chi è più giovane.

Immettere in questo sistema formazione, progetti, premi per il merito significa cercare di scardinare l’idea dell’insegnante come impiegato che fa esperienza e che si ritrova questa esperienza in busta paga e nella possibilità di lavorare vicino a casa. E’ un tentativo che forse questa volta non riesce, ma che mostra una sua forza. Si basa però su un soggetto debole e non ancora valutato come è il dirigente scolastico: non si può cambiare il profilo del docente lasciando inalterato quello del dirigente scolastico. Nella scuola dei progetti, dei piani nazionali e del merito il dirigente scolastico non può essere colui che attende ordini da eseguire, applica in modo aggressivo leggi e circolari, si dichiara innovatore sviluppando un’idea conservatrice di scuola. Se tutto deve cambiare dobbiamo cambiare tutti.