PROVE DI SMANTELLAMENTO DELLA LEGGE 107

PROVE DI SMANTELLAMENTO DELLA LEGGE 107

 

DIRIGENTISCUOLA era prontamente intervenuta all’indomani dell’Intesa propedeutica al rinnovo dei contratti nel pubblico impiego, sottoscritta il 30 novembre u.s. tra i titolari della Funzione Pubblica e i vertici di CGIL-CISL-UIL, non riuscendo a trovare altre convincenti spiegazioni che non fosse quella di un tentativo dell’ultima ora per guadagnare alla causa referendaria del NO le – presunte – ostili tre milioni di anime popolanti la galassia del pubblico impiego. Perché manda a ramengo l’intero dispositivo della Riforma Brunetta (D. Lgs. 150/09), primariamente in punto dei rinforzati poteri datoriali della dirigenza pubblica e in generale segnando la recessione, rispetto al contratto, delle fonti pubblicistiche afferenti all’organizzazione dei pubblici uffici e all’attribuzione delle sfere di competenza del personale ivi incardinato, tra l’altro bellamente obliterandosi l’articolo 97, commi secondo e terzo, della Costituzione.

In cambio di quest’accordo “fortemente innovativo” (UIL), che consente di “riaprire la stagione dei rinnovi contrattuali” (CGIL), le Corporazioni sindacali hanno accettato la “cifra dignitosa” (CISL) di 85 euro lordi mensili medi spalmati nel triennio 2016-2018 e prontamente corrisposto all’idea fissa della ministra Madia e del sottosegretario Rughetti, confermati nel nuovo Governo Gentiloni, della “piramide rovesciata” o della logica alla “Robin Hood”, di assicurare i maggiori aumenti agli stipendi più bassi e con salvezza degli 80 euro mensili netti per chi al momento percepisce un lordo anno inferiore a 26.000 euro, così che lo strumento contrattuale, che per dettato della sentenza della Corte costituzionale 178/15 (che ha imposto la cessazione di una moratoria negoziale protrattasi per sei anni) dovrebbe assicurare la giusta retribuzione in base alla qualità e alla quantità del lavoro svolto, è trasformato in un’impropria misura assistenziale, con prospettive grame per la “specifica” dirigenza scolastica, di rimanere inchiodata – al quarto contratto! – nel suo rango di figlia di un dio minore rispetto ai “generici” dirigenti pubblici.

Ma, celebratosi il referendum con il (provvisorio?) commiato di Matteo Renzi e con una, per certi versi imbarazzante, continuità governativa che ha comportato il solo licenziamento del titolare della Minerva, la nostra ipotesi – di un cedimento provvisorio o finto del Governo – pare oggettivamente smentita dalla nuova ministra Fedeli: che, dopo un breve ma intenso lasso temporale per “ascoltare, dialogare e fare sintesi”, ha dato al suo nuovo capo di gabinetto il “placet” alla firma di un Accordo, il 29 dicembre 2016, con quattro dei cinque sindacati del comparto, nell’insieme altresì rappresentativi (nella complessiva misura di poco superiore al 50%) nell’area dirigenziale Istruzione e Ricerca.

Il titolo anodino di “Accordo politico sulla mobilità dei docenti”, peraltro avente “validità esclusiva per il solo anno scolastico 2017-2018”, in realtà cela un colpo mortale al cuore della legge 107/15, anzitutto reintroducendo la mobilità selvaggia dei docenti, inclusi i nuovi assunti, rendendola libera con svincolo del loro obbligo della permanenza triennale nel proprio ambito o nella propria scuola, in spregio al divieto del comma 73, secondo cui “dall’anno scolastico 2016-2017 la mobilità territoriale e professionale del personale docente opera tra gli ambiti territoriali”; e dopo che nelle precedenti tornate si era sterilizzato il chiaro disposto del primo comma dell’art. 40 del D. Lgs. 165/01 e s.m.i., per il quale nelle materie relative alla mobilità (e alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio) “la contrattazione collettiva è consentita negli esclusivi limiti previsti dalle norme di legge”.

In secondo luogo prevede un separato accordo, oggetto di un contratto parallelo a quello sulla mobilità, per la concorde definizione dei criteri di individuazione dei docenti per competenze (c.d. chiamata diretta), “in un quadro di requisiti stabiliti a livello nazionale che valorizzino il Collegio dei docenti e le sue articolazioni, assicurando imparzialità e trasparenza”, in attesa che, per quanto prima sottoscritto dalla Funzione Pubblica e dalle Confederazioni generaliste, possa pure essere contrattato il “bonus” premiale, con la cancellazione dei commi 126-129 della legge 107, ancorché il susseguente comma 196 sancisca che “sono inefficaci le norme e le procedure contenute nei contratti collettivi, contrastanti con quanto previsto dalla presente legge”; e infine, sempre in sede di imminente (?) rinnovo contrattuale, non escludendosi un annacquamento del sistema delle sanzioni disciplinari, sull’abbrivo di una montante, e stravagante, giurisprudenza che vuole il dirigente scolastico facoltizzato, nei confronti dei docenti, alla sola irrogazione dell’avvertimento scritto e della censura.

Smontate le parti qualificanti della legge e fornendo chiara mostra di voler rinunciare all’esercizio delle non meno “pregiate” deleghe in essa contenute, nella ricerca di un improbabile consenso da recuperare (per le prossime elezioni anticipate?) o che non si è mai avuto e né mai lo si avrà, della “Buona scuola” restano, e forse s’incrementano pure, il piano assunzionale dei docenti, dragando quanto più precariato possibile, e i finanziamenti, rigorosamente gestiti dall’apparato centrale, di un’ampia progettualità sulla formazione del personale, sulla scuola digitale, sull’inclusione scolastica, sull’alternanza scuola-lavoro, sulla didattica laboratoriale, sulla cittadinanza attiva, sulla salute e sicurezza…ma abbandonandosi il primigenio proposito di ridisegnare una nuova “governance” coerente con l’assetto autonomistico del sistema scolastico, a partire dai rinforzati – e contrastati – “poteri” del dirigente scolastico.

Poiché la buona fede si presume, fino a – nuova – prova contraria, e dando per scontato che un’ex sindacalista di lungo corso non abbia, nella nuova funzione, in cima alle sue preoccupazioni quella di tenersi buoni i sindacati perché consentano l’ennesimo blocco dei salari, non è proprio dato di comprendere come possa realizzarsi il proposito della ministra Fedeli, campeggiante nella prima priorità politica del suo Atto d’indirizzo per l’anno 2017, firmato nell’antivigilia di Natale, di “proseguire nel processo di implementazione e completa attuazione della legge 107 del 2015”.

Perché non può ignorare le reali intenzioni dei suoi rivitalizzati partner, peraltro esposte alla luce del sole: che non sono affatto quelle di concorrere “nel processo di implementazione e completa attuazione della legge n. 107 del 2015”, bensì di neutralizzarla tramite trattative asfissianti e a tutto tondo, più che possibile “nuova versione infetta della cogestione” (G. Stella, “Corriere della sera”), così provando a recuperare tutti i fallimenti che hanno subìto sulla “Buona scuola”.

E non vorremmo proprio credere che la ministra Fedeli, avendo all’atto del suo insediamento dichiarato e poi confermato la volontà di studiare e documentarsi per conoscere un universo finora estraneo, prima di promuovere l’Accordo non abbia preso cognizione:

  1. del modesto risultato dello sciopero contro la legge 107/15 indetto dai maggiori sindacati della scuola all’indomani della sua entrata in vigore e del clamoroso “flop” di quello replicato poco più di un anno dopo, con un’adesione inferiore al 10% del personale docente e ATA;
  2. della mancata raccolta delle firme necessarie per l’indizione dell’annunciato referendum popolare al fine dell’abrogazione della predetta legge, bollata come il ricettacolo di ogni nequizia, che avrebbe prodotto “una mutazione genetica rispetto ai principi e valori costituzionali per la scuola pubblica statale” (dal sito Uilscuola del 6 dicembre 2016);
  3. della sentenza della Corte costituzionale 284/16, depositata il 21 dicembre 2106, otto giorni prima dell’Accordo, con cui sono stati rigettati i 5 motivi di ricorso della regione Veneto e ben 12 dei quattordici della Regione Puglia, che aveva sferrato un attacco all’intera impalcatura della legge 107 allegando la lesione che essa avrebbe consumato delle competenze regionali concorrenti in materia di istruzione ed esclusive in materia di istruzione e formazione professionale, ma chiaramente per rimarcare la distanza politica dal Governo Renzi e dar man forte ai tanti nemici della “Buona scuola”: che ha accolto solo quelli inerenti il comma 153 (riparto dei fondi per le scuole innovative, per omessa intesa con le Regioni) e parte del comma 181 (sempre per difetto d’intesa sulla definizione degli standard strutturali e qualitativi dei servizi educativi per l’infanzia e della scuola dell’infanzia nell’ambito dei principi e dei criteri direttivi per l’esercizio della delega legislativa sul nuovo sistema integrato 0-6). Insomma, briciole o poco più, mentre sono stati ritenuti di legittima esclusiva competenza del Parlamento nazionale, tra gli altri, i commi costituenti il cuore della Riforma: 66 (Ruoli del personale docente e loro articolazione in ambiti territoriali), 68 (Ripartizione dell’organico dell’autonomia tra gli ambiti territoriali), 126 (Istituzione del fondo, extracontrattuale, per la valorizzazione del merito del personale docente);
  4. della muta eloquenza dei fatti, testimonianti che nelle scuole la 107 non sta producendo sconvolgimenti e vengono tranquillamente accettati i suoi fondamentali istituti, dal bonus premiale all’intrigante trinomio RAV-PTOF-PdM; che, anzi, le scuole dimostrano vivacità ed interesse a partecipare ai vari progetti resi possibili dai finanziamenti dell’aborrita legge e, quanto all’enfatizzata conflittualità che le starebbe lacerando, i dati dell’ARAN rendono noto che sono stati firmati il 93% dei contratti integrativi d’istituto e solo nell’1,3% dei casi i dirigenti scolastici hanno fatto ricorso all’atto unilaterale.

Dovrebbe allora la ministra Fedeli convenire, alla stregua delle compendiate “evidenze”, e determinandosi di conseguenza, che se la 107 non è perfetta, essa fa male solo ai sindacati adusi a mettersi sempre di traverso perché ostili ad ogni innovazione che possa intaccare il consolidato governo – perciò preteso come diritto acquisito – di un personale mantenuto in una dipendente e massiva condizione impiegatizia.

Ci (ri)pensi la signora ministra, prima di attivare, o sostenere, i provvedimenti legislativi per dar seguito a una – sbilanciatissima – “Entente cordiale”, che non ha direttamente sottoscritto e che, di per sé, è priva di qualsivoglia valore giuridico.