Una scuola ancora poco a misura di studenti

da Il Sole 24 Ore

Una scuola ancora poco a misura di studenti

di Eugenio Bruno

I principali stakeholders di un sistema educativo sono gli studenti. Ma nell’Italia delle mille riforme a metà un assunto così pacifico in teoria raramente lo è stato anche in pratica. Un copione che – ahilei e soprattutto ahinoi – la Buona Scuola rischia ora di confermare. Tra deleghe attuate in tutta fretta (e neanche interamente) nonostante i 18 mesi a disposizione, misure nate timide e diventate quasi invisibili e prove di “smontaggio” delle sue parti più coraggiose, la legge 107 sembra aver innovato fin qui molto meno di quanto promesso.

L’approvazione di otto decreti legislativi sui nove previsti per la sua attuazione completa diventa allora l’occasione per fare un bilancio complessivo della riforma varata dal tandem Renzi-Giannini il 3 settembre 2014 sotto forma di linee guida. E diventata legge a luglio dell’anno dopo. Andando a osservare come è cambiata nel frattempo la quotidianità di studenti, docenti e presidi. Partiamo da questi ultimi. Che dovevano diventare degli “sceriffi”, almeno a sentire i detrattori della prima ora, e sembrano invece essere rimasti dei semplici passacarte. Si pensi alla scarsa fortuna incontrata dalla chiamata diretta degli insegnanti, che doveva consentire al dirigente scolastico di scegliere in prima persona una quota seppur minima del corpo insegnante e si sta rivelando invece uno strumento per il mantenimento dello status quo. Specie se andrà in porto il nuovo accordo sulla mobilità che i sindacati e il ministero stanno elaborando in questi giorni. Con buona pace dei presidi che, dal canto loro, devono fare i conti con un concorso ancora bloccato e un numero di sedi scoperte in costante aumento.

Se passiamo ai prof qualche modifica in più rispetto alla situazione pre-riforma forse si vede. Sicuramente nella stabilità del rapporto di lavoro viste le 120mila immissioni in ruolo intervenute fin qui che non hanno impedito però (come vedremo tra un attimo) il boom di supplenze. Ma anche nel trattamento economico. Alla conferma degli scatti di anzianità uguali per tutti, dall’inizio di quest’anno scolastico gli insegnanti possono aggiungere il bonus sul merito. Un premio che è valso in media tra i 600 e i 700 euro in più in busta paga per oltre un insegnante su tre.

Arriviamo così agli studenti. Che, a fronte dei proclami iniziali, di novità nella loro avventura tra i banchi ne hanno viste veramente poche. Fatta eccezione forse per l’alternanza scuola lavoro che ha consentito a un milione di giovani di avere un primo “contatto ravvicinato” con il mondo del lavoro (anche se sotto forma di semplice impresa simulata). L’auspicata continuità didattica invece è rimasta un auspicio o poco più. Sia per i ragazzi che per le famiglie. La concomitanza tra la mobilità straordinaria utilizzata da 250mila prof e il meccanismo delle assegnazioni provvisorie su larga scala ha dato vita nei mesi scorsi all’ennesimo controesodo di docenti dal Nord al Sud (e un altro, c’è da giurarci, ci sarà nei prossimi mesi). Risultato: 120mila assunzioni non sono servite a far diminuire drasticamente i supplenti. Che in alcune aree e per alcune materie sono addirittura aumentati.

Stesso discorso per la flessibilità dell’offerta formativa. Gli effetti benefici attesi dall’organico dell’autonomia hanno avuto un impatto impercettibile. La presenza di uno staff aggiuntivo di docenti rispetto a quelli di ruolo si è sostanziato quasi ovunque in un bacino di approvvigionamento per le supplenze brevi (altrimenti vietate). O, al massimo, nell’organizzazione di corsi aggiuntivi cuciti più sulle competenze in possesso degli insegnanti che non delle aspirazioni in divenire dei ragazzi. A conferma di quanto avesse ragione il nostro collega e amico Fabrizio Forquet, scomparso ingiustamente troppo presto, a ricordarci nel settembre 2015 che la scuola italiana è degli studenti. Ma in tanti sembrano essersene dimenticati. Tra i partiti e non solo. Troppo concentrati a utilizzare i punti di debolezza della riforma per provare a smontarla anziché puntare sui suoi punti di forza per migliorarla e implementarla.