La politica scolastica dopo il referendum

La politica scolastica dopo il referendum

di Gian Carlo Sacchi

La riforma del titolo quinto della Costituzione si sarebbe conclusa senza dubbio con una maggiore centralizzazione dei poteri dello Stato su diverse materie di rilevanza pubblica, tra le quali la politica scolastica. La legge 107 si era già posta nella prospettiva di un esito positivo del referendum, mentre ora è necessario leggere i decreti applicativi secondo quello che è successo con il voto, a meno che non si voglia far finta di nulla, innescando di nuovo il contenzioso davanti alla Corte Costituzionale.

E’ un continuo slalom tra modelli di governo contrapposti, che potrebbero modificare solo il contenuto delle numerose questioni trattate nella predetta legge, senza prendere in considerazione l’incidenza del modo in cui possano venire gestite. Le modifiche costituzionali introdotte nel 2001 infatti non sono mai state applicate ed oggi le controindicazioni non sono state votate, per cui rimane tutto tale e quale, con però un diverso livello di consapevolezza: la riforma del 2001 aveva beneficiato del consenso referendario, mentre questa è stata bocciata sempre con lo stesso strumento suffragato però da una maggiore partecipazione.

Non si vuole approfondire la cornice politica, cioè la mescolanza tra i contenuti della riforma ed il gradimento del governo che l’ha tanto sostenuta, senza domandarsi se ha ancora un senso far leva sulla coerenza delle maggioranze politiche quando è stata la stessa formula governativa a varare l’ordinamento del 2001 ed a chiedere ai cittadini nel 2016 l’approvazione del suo contrario. Forse questa è ormai una discussione stucchevole alla luce della sfiducia che i cittadini dimostrano nei confronti dei partiti, ma un segnale positivo c’è ed è la volontà da parte loro di partecipare al cambiamento, che si spera possa tornare a confortare le scelte di governo e che nel nostro campo potrebbero indurre ministro e parlamento ad aprire una consultazione nella società sui decreti, in modo che si possano approvare provvedimenti che esprimano una nuova visione organizzativa, di cui la predetta legge si è fatta carico, per tanti aspetti in modo positivo, mantenendo il cammino già iniziato, ma ancora troppo debole e molto spesso ostruito, della reale autonomia delle scuole e dei sistemi formativi locali, da cui potranno derivare anche più poteri ai dirigenti scolastici, si potranno valutare e differenziare il trattamento ai docenti e migliorare la programmazione del servizio sul territorio.

Per sapere qual è la direzione di marcia che è stata indicata è interessante leggere i dati rilevati dal rapporto Demos (Repubblica 7 gennaio 2017) a commento del voto referendario. E’ noto che l’espressione dei cittadini comprende sia il merito della norma costituzionale sia il sentire nei confronti del governo, cosa che non si era espressa così chiaramente nella precedente consultazione; è quindi l’occasione perché questo esecutivo, se vuole recuperare consensi, pur considerando un segno di continuità la legge 107, sulla scorta del voto popolare, provi a rendere discontinua la decretazione delegata. Sarebbe non oltremodo difficile da realizzare armonizzando le diverse materie oggetto dei vari decreti: ne mancherebbe uno sulla governance degli istituti scolastici aperto al sistema formativo territoriale, che può servire da regista dell’intero impianto legislativo.

Il rapporto sottolinea che è cresciuto negli ultimi tre anni l’interesse per le iniziative collegate ai problemi del quartiere e della città, dell’ambiente e del territorio. Diminuisce l’attenzione per le associazioni di volontariato e ricreative ed aumenta per quelle professionali. I consumi diventano più consapevoli e l’opinione si costruisce molto attraverso i social. Bisogna ridurre il peso dello Stato nella gestione dei servizi dell’istruzione e lasciare spazio alle scuole private. 52 a 44 l’aumento del potere delle Regioni rispetto allo Stato.

Dentro a questi due semplici segnali ci sta tutta l’importanza da attribuire all’autonomia delle scuole nelle realtà locali; non si tratta di privatizzazione e nemmeno di contrapposizione tra scuole di tendenza, ma di integrazione delle diverse forme gestionali, come già avviene nelle politiche per l’infanzia, con “norme generali sull’istruzione”indicate dallo Stato, come previsto dall’art. 117 della Costituzione del 2001. Occorrono leggi regionali efficienti, controlli statali/europei e finanziamenti multilivello, che possono chiamare in causa meccanismi di defiscalizzazione su risorse private. Il secondo aspetto riguarda il decentramento delle competenze statali verso le stesse scuole e la costituzione di sistemi locali, con reti multiservizio, come iniziato con le leggi Bassanini del 1979 e che dovrebbero culminare, come si è detto, con un provvedimento sull’autogoverno degli istituti e la rappresentanza delle scuole autonome, con laboratori territoriali di documentazione, ricerca e supporto alla didattica.

La “competenza concorrente” tra stato e regioni non è conflittuale, ma richiede un cambiamento dell’orizzonte di governo, che la riforma Renzi-Boschi aveva annullato e su cui la citata legge 107 aveva sorvolato, secondo una logica gattopardesca, alla quale nemmeno le regioni si erano più di tanto opposte, in base ad un consenso politico al governo nazionale. Anche il nuovo Senato avrebbe potuto avere qualche funzione positiva nelle strategie territoriali di questo settore (si pensi alla programmazione delle reti locali del servizio, alla formazione-lavoro, ecc.), certo a ben poco poteva servire in un’ottica così centralistica, come veniva anticipato dalle azioni messe in atto dal governo (il fatto più eclatante restano i bandi nazionali per la didattica, che propongono iniziative che non potranno raggiungere tutte le scuole). Se questo secondo ramo del Parlamento voleva assomigliare al Bundesrat non certo il rapporto tra stato e regioni ha a che fare con il federalismo tedesco.

Dai dati Demos cogliamo la critica degli italiani nei confronti dell’istruzione nel suo complesso, ma la guida pubblica della scuola non è in discussione, così come non è ben visto il rafforzamento dello stato centrale. Allora perché non viene accolta la domanda di riforme pur presente nel sondaggio e si cerca di fondare quanto indicato nei singoli temi dalla legge 107 su modalità di governo decentrate, sulle autonomie territoriali, applicando in modo efficace quanto già previsto nel titolo quinto ancora in vigore.

Questa potrebbe essere una buona strada per il nuovo ministro e per una politica che sia riconosciuta come immagine del centro-sinistra.