E. Borgna, Parlarsi (La comunicazione perduta)

Come guarire parlando

di Antonio Stanca

Nato a Borgomanero, in provincia di Novara, nel 1930 lo psichiatra Eugenio Borgna ha ottantasette anni ed è primario emerito di psichiatria nell’Ospedale Maggiore di Novara, dove ha svolto per molti anni le mansioni di primario. E’ stato pure libero docente presso la “Clinica delle malattie nervose e mentali” dell’Università di Milano. Ha, inoltre, scritto molti saggi tra i quali si distinguono quelli di carattere specialistico da altri che perseguono scopi puramente divulgativi. Ci ha tenuto Borgna a scrivere, a far sapere della sua maniera d’intendere la psichiatria dal momento che è stato tra i primi in Italia a pensare che le malattie mentali non sono da attribuire a difetti cerebrali, non derivano da cause organiche bensì da gravi situazioni vissute, da vite sofferte, dai trascorsi dell’ammalato. Pertanto lo psichiatra non dovrebbe intervenire tramite farmaci o altri sistemi che agiscono sul corpo ma dovrebbe cercare d’instaurare col malato quel colloquio, quel dialogo, quella comunicazione, quella relazione capace di rimuovere quanto si è venuto formando nella sua interiorità, quanto si è fissato nella sua mente fino ad impedire un corretto funzionamento.

Fenomenologica è detta questa interpretazione della psichiatria e si oppone all’altra detta naturalistica. Borgna è uno dei maggiori esponenti della psichiatrica fenomenologia e molto si è adoperato come docente, come primario e come scrittore per dimostrare la validità e i risultati delle sue convinzioni.

Anche in una delle sue ultime opere, pubblicata da Einaudi nel 2015 e intitolata Parlarsi (La comunicazione perduta), egli si mostra impegnato a far sapere come più delle cure farmacologiche possa servire ad un ammalato mentale un rapporto di scambio, di confidenza, di confessione col suo psichiatra. Molto vale per questi malati, dice Borgna nel libro, l’incontro con uno psichiatra che non li faccia sentire diversi per i loro problemi ma persone come le altre, che non prescriva cure specifiche, medicine particolari, ma che inizi con loro un discorso nel quale si sentano inseriti, compresi insieme a quanto ha fatto e fa parte della loro vita, insieme ai loro turbamenti, alle loro paure, alle loro angosce, alle loro ossessioni, alle loro disperazioni.

E’ convinto Borgna che questa maniera di operare, questo tipo di rapporto, di scambio, questa comunicazione tra il medico e il malato sia la migliore delle cure perché volta a scoprire l’interiorità di chi soffre, i segreti della sua anima, le cause dei suoi disturbi, perché capace di fargli prendere coscienza di esse, di spiegargliele, di fargliele capire, controllare e, quindi, correggere. Sarà lui a vincere contro quanto lo vinceva e tutto questo grazie a quel che dirà, confiderà, ascolterà, imparerà, capirà durante la comunicazione instaurata con lo psichiatra.

E’ questo l’argomento principale, il tema centrale del saggio del Borgna e intorno ad esso l’autore muove, articola una lunga, lunghissima serie di considerazioni, riflessioni volte ad avvalorarlo e ad arricchirlo. Sono tanti i tipi, i modi che, secondo Borgna, possono caratterizzare il linguaggio di quella comunicazione. Accanto al linguaggio delle parole c’è quello dei gesti, del volto, degli sguardi, delle lacrime e quello del silenzio. Sono tante le vie che durante quegli “incontri”, quei “dialoghi”, possono permettere a chi cura di giungere dentro l’anima, penetrare nelle profondità di chi soffre e scoprire da dove è iniziato il problema perché, appunto, all’interno sta questo e da lì bisogna muovere per risolverlo.

Ricco di citazioni tratte da opere di famosi autori di letteratura, di filosofi è il saggio a conferma della vasta cultura umanistica posseduta dal suo autore e della sua inclinazione a fare dell’attività del pensiero, della mente, dello spirito, il motivo conduttore della sua vita e del suo lavoro. Parole, espressioni, intuizioni, idee proprie dei malati mentali da lui curati sono mostrate vicine a quelle di grandi artisti del passato più vicino o più lontano. Sono prove che Borgna adduce a conferma della sua convinzione che quella della mente non è una malattia ma una diversità, una deviazione, un disturbo al quale non sono negati pensieri, sentimenti d’eccezione. Anche di questo deve tener conto chi cura, anche questo deve diventare motivo di quella comunicazione impegnata a liberare chi soffre dal peso che lo frena.