Istruzione, decentramento amministrativo e lep

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L’istruzione, il decentramento amministrativo e i livelli essenziali di prestazione nella riforma costituzionale (Legge n. 3/2001)

di Pietro Boccia

 

  1. Introduzione

La Costituzione italiana, che, con una metafora, a me piace rappresentarla come un giovane e rigoglioso albero (le radici: i primi dodici articoli dei principi; il tronco: i diritti e i doveri dei cittadini – articoli da 13 a 54 -; i rami: gli organi dello Stato – articoli da 55 a 139 – e i frutti, rappresentati, tramite un’amministrazione efficace, efficiente, basata sul buon andamento e servente, come prevede la legge n, 241/1990, nei confronti tutti i cittadini, dalla pluralità delle istituzioni pubbliche – art. 97 -), prevede, all’art. 5, che la “Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”. Questo si fonda sul passaggio di alcuni poteri dagli organi centrali a quelli periferici. Il decentramento amministrativo può essere autarchico, quando il potere di tutelare, in maniera autonoma, alcuni interessi pubblici viene commissionato ad una persona giuridica pubblica, e gerarchico o burocratico, nel momento in cui il trasferimento dei poteri avviene dagli organi centrali a quelli locali. In ambedue i casi, lo Stato si riserva il potere di dare direttive generali agli organi interessati e di vigilare sull’attività da essi svolta. Non possono essere oggetto di decentramento amministrativo le materie nazionali che non si collegano con problemi locali o che non concordano con comportamenti differenziati.

Il territorio all’interno del quale i poteri decentrati possono essere esercitati è denominato circoscrizione territoriale, che può essere regionale e provinciale. Il principale organo che rientra nella circoscrizione regionale è il Rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie (ex Commissario del Governo), che è il prefetto del capoluogo di Regione e svolge il compito di sovrintendere le funzioni amministrative, che lo Stato esercita, a livello regionale e di coordinarle con quelle espletate dalle Regioni. Il Rappresentante dà, inoltre, tempestiva informazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e ai Ministeri interessati, degli statuti regionali approvati e delle leggi regionali deliberate, per le finalità, di cui agli artt. 123 e 127 della Costituzione, e degli atti amministrativi regionali, emanati agli effetti dell’arti. 134 della Costituzione.

I principali organi, che rientrano nella circoscrizione provinciale, invece, sono: la Prefettura – Ufficio territoriale del Governo (UTG) che, pur dipendendo dal Ministero dell’interno, ha competenze di carattere generale. Le prefetture hanno sede in ogni capoluogo di Provincia e sono governate da un prefetto, che rappresenta il Governo nella circoscrizione provinciale ed è, per questo, una delle maggiori autorità provinciali. Il prefetto è coadiuvato da vice-prefetti, di cui uno svolge funzioni vicarie. I prefetti sono coadiuvati nelle nuove complesse funzioni da una Conferenza permanente (D.P.R. 3 aprile 2006, n. 180), presieduta dai medesimi e composta dai responsabili delle strutture periferiche dello Stato; la Questura, che è un organo con competenze dirette non solo alla tutela dell’ordine pubblico e della pubblica sicurezza, ma anche al coordinamento delle forze di polizia che operano sul territorio provinciale; l’Ufficio scolastico provinciale (USP), attualmente denominato Ufficio con competenza per ambito territoriale (AT), che dipende dal Ministero della pubblica istruzione. È un organo che ha competenze d’indirizzo e di vigilanza sulle scuole della Provincia; la direzione territoriale del lavoro (DTL), erede dell’Ispettorato del lavoro e dell’Ufficio provinciale del lavoro, che dipende dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale; riassume le “nuove” competenze nelle sue due anime, rappresentate dai due principali servizi che la compongono: il Servizio politiche del lavoro (SPL) e il Servizio ispezioni del lavoro (SIL); l’Ufficio della motorizzazione civile, organo periferico del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Esso ha competenze concernenti i problemi della motorizzazione civile a livello provinciale; la Soprintendenza ai beni culturali e ambientali, che è alle dipendenze dell’omonimo Ministero ed è un organo con competenze che si riferiscono alla tutela e alla gestione dei musei, dei monumenti, degli scavi archeologici e degli archivi.

 

2. La riforma costituzionale (Legge n. 3 del 18 ottobre 2001) e i livelli essenziali di prestazione dell’amministrazione pubblica per l’esercizio del diritto civile

Negli anni Ottanta del secolo scorso, i partiti di governo di allora (Dc, Psi, Psdi, Pli e Pri), avendo compreso che, in Italia, fosse presente una forte instabilità di governo e un eccessivo potere centrale dello Stato, hanno posto nei loro programmi la riforma istituzionale. Essi nominano, così, nel 1983, una Commissione parlamentare per le riforme istituzionali, che, in due anni, conclude, con una serie d’ipotesi di riforma, i lavori. La riforma non ha, però, attuazione per la crisi del pentapartito. L’ipotesi di una riforma della Costituzione viene, tuttavia, ripresa negli anni Novanta, quando, da un lato, il Presidente della Repubblica, Oscar L. Scalfaro, propone alle Camere di istituire un’Assemblea costituente e, dall’altro, il movimento politico “Lega Nord” imposta la sua ideologia sull’obiettivo di trasformare l’Italia in Stato federale. Nel 1996 viene, così, istituita una Commissione bicamerale per la modifica della Costituzione. Tale Commissione conclude i lavori nel 1997. Il progetto non è, tuttavia, portato avanti. Nello stesso anno si riforma, per quanto concerne il decentramento, la pubblica amministrazione. Vengono, così, ampliati i compiti e le funzioni delle Regioni e degli Enti locali. Tranne in alcuni settori, come, ad esempio, difesa, ordine pubblico, scuola, università, giustizia e sanità, numerose funzioni amministrative sono passate, così, alla competenza degli Enti locali, permettendo ai cittadini (principio di sussidiarietà) di essere più vicini agli amministratori e realizzando, in parte, il federalismo amministrativo.

Il cambiamento effettivo in senso federalista si ha con la Legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001, che modifica il Titolo V della Costituzione e fissa, per ogni istituzione, i principi generali, le norme generali e i livelli essenziali di prestazione per l’esercizio del diritto civile. Lo Stato italiano, come gli altri Stati europei, in ottemperanza alle disposizioni del trattato di Maastricht, perde, con tale legge, sovranità e diventa semplicemente regolatore. Con le modifiche di tale legge gli articoli della Costituzione che riguardano le autonomie territoriali recitano che la Repubblica è costituita dai Comuni e dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione. Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento (art. 114).

Il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle d’Aosta/Vallee d’Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale. La Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol è costituita dalle Province autonome di Trento e di Bolzano (art. 116).

La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea; immigrazione; rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose; difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi; moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; armonizzazione dei bilanci pubblici; perequazione delle risorse finanziarie; organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo; ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali; ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale; cittadinanza, stato civile e anagrafi; giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa; determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; norme generali sull’istruzione; previdenza sociale; legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane; dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale; pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale; opere dell’ingegno; tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

Le materie di legislazione concorrente sono quelle relative a: rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.

La potestà legislativa. in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato, spetta alle Regioni. Queste e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza. La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite. Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive. La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni. Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato (art. 117).

Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. I Comuni e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell’art. 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali. Stato, Regioni, Città metropolitane e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà (art. 118). I Comuni, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea. I Comuni, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio. La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante. Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite. Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Città metropolitane e Regioni. I Comuni, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato. Possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento, con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio. È esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti (art. 119)

La Regione non può istituire dazi di importazione o esportazione o transito tra le Regioni, né adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni, né limitare l’esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale. Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione (art. 120).

Gli organi della Regione sono: il Consiglio regionale, la Giunta e il suo presidente. Il Consiglio regionale esercita le potestà legislative attribuite alla Regione e le altre funzioni conferitegli dalla Costituzione e dalle leggi. Può fare proposte di legge. La Giunta regionale è l’organo esecutivo delle Regioni. Il Presidente della Giunta rappresenta la Regione; dirige la politica della Giunta e ne è responsabile; promulga le leggi ed emana i regolamenti regionali; dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione, conformandosi alle istruzioni del Governo della Repubblica (art. 121).

Il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei princìpi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi. Nessuno può appartenere contemporaneamente a un Consiglio o a una Giunta regionale e al Parlamento, ad un altro Consiglio o ad altra Giunta regionale, ovvero al Parlamento europeo. Il Consiglio elegge tra i suoi componenti un Presidente e un ufficio di presidenza. I consiglieri regionali non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni. Il Presidente della Giunta regionale, salvo che lo statuto regionale disponga diversamente, è eletto a suffragio universale e diretto. Il Presidente eletto nomina e revoca i componenti della Giunta (art. 122). Ciascuna Regione ha uno statuto che, in armonia con la Costituzione, ne determina la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento. Lo statuto regola l’esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali. Lo statuto è approvato e modificato dal Consiglio regionale con legge approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, con due deliberazioni successive adottate ad intervallo non minore di due mesi. Per tale legge non è richiesta l’apposizione del visto da parte del Commissario del Governo. Il Governo della Repubblica può promuovere la questione di legittimità costituzionale sugli statuti regionali dinanzi alla Corte costituzionale entro trenta giorni dalla loro pubblicazione. Lo statuto è sottoposto a referendum popolare qualora entro tre mesi dalla sua pubblicazione ne faccia richiesta un cinquantesimo degli elettori della Regione o un quinto dei componenti il Consiglio regionale. Lo statuto sottoposto a referendum non è promulgato se non è approvato dalla maggioranza dei voti validi. In ogni Regione, lo statuto disciplina il Consiglio delle autonomie locali, quale organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali (art. 123).

Il Governo, qualora ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regione, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione. La Regione, nel caso in cui ritenga che una legge o un atto avente valore di legge dello Stato o di un’altra Regione leda la sua sfera di competenza, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge o dell’atto avente valore di legge (art. 127).

Si può, con legge costituzionale, sentiti i Consigli regionali, disporre la fusione di Regioni esistenti o la creazione di nuove Regioni con un minimo di un milione di abitanti, quando ne facciano richiesta tanti Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate, e la proposta sia approvata con referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse. Si può, con l’approvazione della maggioranza delle popolazioni del Comune o dei Comuni interessati espressa mediante referendum e con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che i Comuni che ne facciano richiesta siano staccati da una Regione e aggregati ad un’altra (art. 132).

La Regione, sentite le popolazioni interessate, può con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni (art. 133).

In conclusione le maggiori novità della legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001 concernono: maggiori poteri alle Regioni nell’ambito dell’istruzione e della sanità; maggiori competenze regionali in campo legislativo; introduzione del federalismo fiscale; introduzione del principio di sussidiarietà. Su tali basi, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, nella seduta del 14 dicembre 2004, approva, per l’attuazione del Titolo V della Costituzione nel settore istruzione, il Master plan (documento che viene predisposto per il piano delle azioni da intraprendere).

 

3. Le competenze costituzionali delle Autonomie locali nell’istruzione e nella formazione

Gli Uffici scolastici regionali (USR) hanno, nel campo dell’istruzione e della formazione funzioni e competenze a volte esclusive e, altre volte, concorrenti. Essi sono, nel complesso, un autonomo centro di responsabilità amministrativa e attuano le direttive dei Dipartimenti generali. Nello stesso tempo, hanno un ruolo di supporto e di consulenza verso le singole istituzioni scolastiche. Tutto ciò è svolto in base alle disposizioni costituzionali. L’art. 117 della Costituzione attribuisce, infatti, allo Stato la competenza legislativa esclusiva per quanto riguarda, tra le altre materie, le norme generali dell’istruzione e la determinazione dei livelli essenziali di prestazione che devono essere assicurati dalle Regioni nel settore assegnato alla loro competenza esclusiva, vale a dire quello dell’istruzione e formazione professionale; fanno eccezione le Regioni a Statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano, che hanno una maggiore autonomia. Lo stesso art. 117 della Costituzione assegna alle Regioni la competenza legislativa esclusiva sul sistema d’istruzione e di formazione professionale, nel rispetto dei livelli essenziali di prestazione, stabiliti dallo Stato, e fatti salvi i compiti di collegamento con l’Unione europea. I livelli essenziali di prestazione che le Regioni devono assicurare comprendono il rispetto degli standard formativi minimi, in altre parole la durata dei corsi, la validità nazionale delle certificazioni e il rispetto dei criteri nazionali di accreditamento dei soggetti che mettono in bilancio ed erogano i corsi. Solo in materia d’istruzione scolastica lo Stato e le Regioni hanno anche competenza legislativa concorrente. In tal caso, da un lato, lo Stato stabilisce i principi generali, come la durata e tipologia dei corsi, gli esami e le certificazioni, il valore legale dei titoli di studio, gli obiettivi di apprendimento e i crediti, e, dall’altro, le Regioni assicurano l’organizzazione sul territorio. L’art. 117 della Costituzione sancisce, inoltre, l’autonomia delle istituzioni scolastiche. Questo significa che ogni singola scuola, anche attraverso una rete di altre scuole, può decidere, nel rispetto delle norme nazionali e regionali, autonomamente in materia didattica, organizzativa e di sperimentazione, ricerca e sviluppo. La Costituzione del 1948 all’art. 33 attribuisce, infine, anche alle università e alle istituzioni di alta cultura, autonomia, perché ravvisa in loro il diritto di darsi ordinamenti pienamente autonomi.

Il trasferimento da parte dello Stato di funzioni e compiti alle Regioni e agli Enti locali concerne, secondo l’art. 1, co. 2 della Legge n. 59 del 1997 “tutte le funzioni e i compiti amministrativi localizzabili nei rispettivi territori in atto, esercitati da qualunque organo o amministrazione dello Stato, centrali o periferici, in altre parole tramite enti o soggetti pubblici”. Sono esclusi da tale trasferimento, come recita l’art. 1, co. 3, della stessa legge l’istruzione universitaria, gli ordinamenti scolastici, l’organizzazione generale dell’istruzione scolastica e lo stato giuridico del personale. La disciplina legislativa, che regola le funzioni e i compiti trasferiti alle Regioni dalla Legge “Bassanini”, spetta alle stesse Regioni. È di competenza delle Regioni anche la disciplina legislativa che riguarda la materia prevista nell’art. 117, primo comma, della Costituzione. Secondo l’art. 4, le Regioni, poi, “conferiscono alle Province, ai Comuni e agli altri Enti locali tutte le funzioni che non richiedono l’unitario esercizio a livello regionale”. L’organizzazione e lo svolgimento delle funzioni e dei compiti amministrativi, trasferiti dalla Legge n. 59 del 1997, competono, per la relativa disciplina, alle Regioni e agli Enti locali. Il Governo, in base al D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, all’oggetto: Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni e agli Enti locali, in attuazione del Capo I della Legge 15 marzo 1997, n. 59, ha esercitato una delega dell’art. 1, co. 1, della Legge n. 59/1997. Tale decreto, prima di procedere all’individuazione delle competenze e dei servizi da trasferire al sistema delle Autonomie locali, definisce alcuni principi generali di cornice entro cui comprendere la disciplina del trasferimento di funzioni e compiti.

I principi, in esso enucleati, sono: gradualità e certezza del termine per l’esercizio delle funzioni e dei compiti amministrativi conferiti; conferimento amministrativo, che “comprende anche le funzioni di organizzazione e le attività connesse e strumentali all’esercizio delle funzioni e dei compiti, quali tra gli altri, quelli di programmazione”; “le funzioni e i compiti non espressamente conservati allo Stato con le disposizioni del presente decreto legislativo sono conferiti alle Regioni e agli Enti locali”; viene fatto salvo il trasferimento di compiti amministrativi alle istituzioni scolastiche, previsto dall’art. 21 della Legge n. 59/1997. Si fa, poi, divieto d’interpretare la disciplina del decentramento amministrativo, contenuta nel D.Lgs. n. 112 del 1998 “nel senso dell’attribuzione allo Stato, alle sue amministrazioni e ai suoi enti pubblici nazionali, di funzioni e compiti trasferiti, delegati, o in ogni modo attribuiti alle Regioni e agli Enti locali e alle autonomie funzionali”. Con tale divieto si stabilisce che, nel momento in cui viene definito e avviene il trasferimento amministrativo di funzioni e compiti alle Autonomie locali, l’amministrazione dello Stato non potrà più rivendicarne né la titolarità né l’esercizio.

Le competenze delle Regioni e degli Enti locali sono assunte per delega, in base all’art. 138 del D.Lgs. n. 112/98. Questo definisce e delega alle Regioni, sulla base dell’art. 118, co. 2, della Costituzione (nel testo antecedente al 2011), le seguenti funzioni amministrative: la programmazione dell’offerta formativa integrata tra istituzione e formazione professionale; la programmazione, sul piano regionale, nei limiti delle disponibilità di risorse umane e finanziarie, della rete scolastica, sulla base dei piani provinciali (D.P.R. 233/1998), assicurandone il coordinamento; la suddivisione, sulla base anche delle proposte degli Enti locali interessati, del territorio regionale in ambiti funzionali al miglioramento dell’offerta formativa; la determinazione del calendario scolastico; i contributi alle scuole non statali; le iniziative e le attività di promozione, relative all’ambito delle funzioni conferite.

L’esercizio delle funzioni delegate è, però, operante “dal secondo anno scolastico immediatamente successivo alla data di entrata in vigore del regolamento di riordino delle strutture dell’amministrazione centrale e periferica”. L’art. 139 del D.Lgs. n. 112 del 1998 ha per oggetto il trasferimento di compiti e funzioni agli Enti locali, sempre in materia scolastica, ai sensi dell’articolo 128 della Costituzione (nel testo antecedente alla novella del 2011). In particolare, dopo l’approvazione della legge n. 56/2014, sono attribuiti ai Comuni o alle Regioni i compiti e le funzioni che riguardano: l’istituzione, l’aggregazione, la fusione e la soppressione di scuole in attuazione degli strumenti di programmazione; la redazione dei piani di organizzazione della rete delle istituzioni scolastiche; i servizi di supporto organizzativo del servizio d’istruzione per gli alunni con handicap o in situazione di svantaggio; il piano di utilizzazione degli edifici e di uso delle attrezzature, d’intesa con le istituzioni scolastiche; la sospensione delle lezioni in casi gravi e urgenti; le iniziative e le attività di promozione, relative all’ambito delle funzioni attribuite; la costituzione, i controlli e la vigilanza, compreso lo scioglimento, sugli organi collegiali scolastici, a livello territoriale.

Il D.P.R. n. 233 del 18 giugno 1998, che ha in sé le norme per il dimensionamento ottimale delle istituzioni scolastiche e per la determinazione degli organici funzionali dei singoli istituti, afferma, poi, che “agli Enti locali è attribuita ogni competenza in materia di soppressione, istituzione, trasferimento di sedi, plessi, unità delle istituzioni scolastiche che abbiano ottenuto la personalità giuridica e l’autonomia. Tale competenza è esercitata, su proposta e, in ogni modo, previa intesa, con le istituzioni scolastiche interessate” con particolare riguardo alle disponibilità di organico (art. 4, co. 2) e al raggiungimento degli obiettivi didattico- pedagogici programmati (art. 1, co. 2) per garantire l’efficace esercizio dell’autonomia (art. 1, co. 1).

I Comuni, anche in collaborazione con le Comunità montane, ciascuno in relazione ai gradi d’istruzione di propria competenza, infine, esercitano, anche d’accordo con le istituzioni scolastiche, funzioni in materia di: educazione degli adulti; interventi integrati di orientamento scolastico e professionale; azioni orientate a realizzare le pari opportunità d’istruzione; azioni di supporto, orientate a promuovere e a sostenere la coerenza e la continuità in verticale e orizzontale tra i diversi gradi e ordini di scuola; interventi perequativi; interventi integrati di prevenzione della dispersione scolastica e di educazione alla salute.

L’art. 139, al terzo e ultimo comma del D.Lgs. n. 112 del 1998, sostiene che “la risoluzione dei conflitti di competenze è conferita alle Province, ad eccezione dei conflitti tra istituzioni della scuola materna ed elementare, la cui risoluzione è conferita ai Comuni”. Il conflitto, che permette agli Enti locali d’intervenire in maniera risolutiva, è quello che si riferisce alle competenze amministrative. La riorganizzazione funzionale delle competenze si regolerà, a livello ordinamentale, con tempi in parte lunghi. Il legislatore è consapevole di ciò e, pertanto, ha previsto meccanismi di correzione in corso d’opera della riforma amministrativa dello Stato, per renderla coerente ed efficace.

Il regolamento sull’autonomia delle istituzioni scolastiche, D.P.R. n. 275 del 1999, delinea, in ogni modo, il nuovo sistema di poteri da attribuire alle istituzioni scolastiche in ambito didattico-curricolare, organizzativo e di ricerca, sviluppo e sperimentazione. Nel nuovo quadro funzionale, il rapporto tra Enti locali e scuole si adombra in termini di un reciproco rispetto e di un’indicativa cooperazione. Nel primo articolo del regolamento, si riscontra un’affermazione di principio, che conferma che le “istituzioni scolastiche sono espressioni di autonomia funzionale e provvedono alla definizione e alla realizzazione dell’offerta formativa, nel rispetto delle funzioni delegate alle Regioni e dei compiti e funzioni trasferiti agli Enti locali, ai sensi degli articoli 138 e 139 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112. A tal fine interagiscono tra loro e con gli Enti locali, promuovendo il raccordo e la sintesi tra le esigenze e le potenzialità individuali e gli obiettivi nazionali del sistema d’istruzione”. Si hanno, in tal modo, le seguenti disposizioni: l’esercizio dei poteri, in materia di autonomia, dovrà esplicarsi nel rispetto delle funzioni delegate alle Regioni e dei compiti e funzioni trasferiti agli Enti locali; le istituzioni scolastiche interagiscono con gli Enti locali; non si dice “possono interagire”, ma “interagiscono”, ponendo, quindi, un vincolo a scuole ed Enti locali che, appunto, dovranno impostare una fattiva collaborazione tutte le volte che questa è richiesta o da apposite disposizioni legislative, dai propri obiettivi istituzionali, da esigenze di congiuntura e, infine, dalla realizzazione dei propri fini di educazione e d’istruzione.

Gli Enti locali e l’autonomia delle istituzioni scolastiche hanno, pertanto, il compito d’interagire e di collaborare allo scopo di realizzare fini istituzionali, educativi e formativi. Le interazioni proficue sono realizzate dal Piano dell’offerta formativa che le scuole forniscono sul territorio. Il POF, descritto dal regolamento, come “il documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche”, che le istituzioni scolastiche “elaborano e adottano nell’ambito della loro autonomia” (art. 3, co. 1), mostra “le esigenze del contesto culturale, sociale ed economico della realtà locale” e tiene conto “della programmazione territoriale dell’offerta formativa” (art. 3, co. 2). Spetta al Dirigente scolastico promuovere “i necessari rapporti con gli Enti locali e con le diverse realtà istituzionali, culturali, sociali ed economiche operanti sul territorio” (art. 3, co. 4) per una corretta e mirata elaborazione del piano dell’offerta formativa. Si desume, in tal modo, non solo il vincolo di collaborazione sussistente tra le istituzioni scolastiche e gli Enti locali, per poter progettare e attuare l’offerta formativa, ma anche l’esigenza che il Piano dell’offerta formativa esprima i diversi bisogni del territorio e dell’ente locale. Per quanto concerne particolarmente l’autonomia didattica, le istituzioni scolastiche hanno, inoltre, il compito di tutelare in ogni modo “la realizzazione di iniziative di recupero e di sostegno, di continuità e di orientamento scolastico e professionale, coordinandosi con le iniziative eventualmente assunte dagli Enti locali in materia di interventi integrati a norma dell’articolo 139, co. 2, lett. b, del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112” (art. 4, co. 4). Questa norma vincola, in maniera inderogabile, le istituzioni scolastiche non solo a realizzare iniziative di recupero, di sostegno, di continuità e di orientamento scolastico e professionale, ma anche a coordinare le proprie attività con le iniziative che, per quanto concerne gli interventi integrati (art. 139, co. 2, lett. b, del D.Lgs. n. 112 del 1998), sono assunte dagli Enti locali. Nella deliberazione del curricolo opzionale/ obbligatorio, che ogni istituzione scolastica deve ipotizzare e organizzare, il legislatore ha stabilito che tale indicazione del curricolo debba tener conto, tra le altre cose, delle “esigenze e delle attese espresse […] dagli Enti locali” (art. 8, co. 4). Anche in questo passaggio s’intravede l’importanza del contributo dell’ente locale nella fase progettuale del curricolo locale e il vincolo dell’istituzione scolastica a tener conto delle sue esigenze e attese, purché ovviamente siano espresse e comunicate al Dirigente.

Il legislatore mette, poi, in evidenza che la progettazione del curricolo locale può essere stabilito “anche attraverso un’integrazione tra sistemi formativi sulla base di accordi con le Regioni e gli Enti locali negli ambiti previsti dagli articoli 138 e 139 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112” (art. 8, co. 5). Per quanto concerne, invece, l’ampliamento dell’offerta formativa, a favore dei giovani e degli adulti, la disposizione regolamentare prospetta la possibilità che le istituzioni scolastiche possano attuarla “coordinandosi con eventuali iniziative promosse dagli Enti locali” (art. 9, co. 1). Il curricolo scolastico può altresì arricchirsi “con discipline e attività facoltative, che per la realizzazione di percorsi formativi integrati le istituzioni scolastiche programmano sulla base di accordi con le Regioni e gli Enti locali” (art. 9, co. 2). Le istituzioni scolastiche “possono [inoltre] promuovere e aderire a convenzioni o accordi, stipulati a livello nazionale, regionale o locale, anche per la realizzazione di specifici progetti” (art. 9, co. 3). Per quanto concerne le iniziative, che hanno finalità d’innovazione, le Regioni e gli Enti locali possono ricoprire un ruolo di rilievo riguardo alla proposta. Nell’art. 11, co. 1, del D.P.R. n. 275/1999 – Iniziative finalizzate all’innovazione – la disposizione afferma che: “Il Ministro della pubblica istruzione, anche su proposta […] di una o più Regioni o Enti locali, promuove, eventualmente sostenendoli con appositi finanziamenti disponibili negli ordinari stanziamenti di bilancio, progetti in ambito nazionale, regionale e locale, volti a esplorare possibili innovazioni riguardanti gli ordinamenti degli studi, la loro articolazione e durata, l’integrazione fra sistemi formativi” e i processi di continuità didattica e di orientamento nel campo lavorativo.