Dialogando con Angela e… Marco

Dialogando con Angela Cortese… e con Marco Rossi Doria

di Maurizio Tiriticco

La Prof.ssa Angela Cortese è stata Assessore alle Politiche Scolastiche, all’Edilizia e Pianificazione Scolastica, alle Pari Opportunità per la Provincia Napoli per il Partito DS dal 12/7/2004 al 6/6/2009. Su FB appare oggi questo suo post: “In treno, tornando da Roma dopo l’incontro per la presentazione dei decreti attuativi della legge 107. E’ stato un dibattito ricco di spunti venuti dai rappresentanti locali e dal confronto con tutta la delegazione parlamentare che dovrà relazionare in aula. Penso che è necessario riprendere l’iniziativa politica sulla scuola, coinvolgere tutte le componenti scolastiche per condividere e migliorare l’attività del Governo. Il motto deve essere: informare per conoscere. Non possiamo permetterci di perdere questa occasione chiudendoci in beghe pseudo congressuali e conta di tessere. Il Paese va avanti anche senza il contributo del PD napoletano e campano”!

Parole sante, Angela! I temi dell’educazione, dell’istruzione e della formazione (sono tre concetti diversi, di cui al dpr 275/99, art.1, c. 2) dei nostri giovani, nessuno escluso, non possono non essere primari in una società che si fa sempre più difficile e che affronta trasformazioni in tempi che si fanno sempre più brevi, tempi che, invece, solo fino a qualche decennio fa, erano distesi e lunghi.

Conosco bene la scuola militante e so bene come oggi sia avviluppata in mille problemi e altrettante difficoltà. In effetti, una legge – nel nostro caso la 107 – dovrebbe tendere a migliorare le attività delle istituzioni scolastiche autonome… insisto, autonome; ma queste, invece, si vedono costrette a mille altre incombenze che poco hanno a che vedere con la concretezza del rapporto in aula (non in classe, la quale è un’altra cosa) alunno/insegnante (non dico insegnante/alunno)! Pertanto, il mio consiglio sarebbe: MENO Rav, meno Pdm e meno carte inutili che fanno perdere un sacco di tempo a ds e a insegnanti; INVECE, tempi più distesi e più fattivi tra insegnanti e alunni. E’ ormai notorio (e i 600 accademici con la loro recente Lettera hanno scoperto l’acqua calda) che i nostri studenti non sanno scrivere, e neanche sotto il profilo calligrafico… o meglio, nel loro caso, cacografico… In effetti non sanno neanche tenere la penna in mano! Ma alle scuole elementari – pardon, primarie – si insegna COME SI PRENDE una matita, una penna? Con quali dita? Sono in gioco le prime tre, e in un certo modo! In effetti, molti alunni non prendono la penna, la afferrano! Così, moltissimi studenti, anche alle superiori, purtroppo, scrivono malissimo e spesso in stampatello. Quest’ultimo caso è grave: come se noi parlassimo scandendo le singole lettere! Ad esempio: a-n-g-e-l-a!!!. Invece, i legami, detti e scritti, tra le singole lettere alfabetiche sono fondamentali! Quanta pazienza quella delle maestre del buon tempo antico! E poi, invece di pensare e scrivere, ad esempio: “quando torno a casa, dopo aver mangiato, faccio i compiti prima di uscire con gli amici”, pensano a scrivono: “torno a casa e poi mangio e poi faccio i compiti e poi esco con gli amici”. Non sanno usare tutte le modalità che la nostra grammatica presenta! Alludo alla triade fonologia, morfologia e sintassi, e non aggiungo la semantica e la pragmatica, per non invadere il campo delle teorie della comunicazione: vedi Jakobson, Peirce, Morris, gli analitici inglesi.

Insomma, se il cosiddetto “andazzo” è questo, è ovvio che, quando si tratta di scrivere “sul serio” – com’è il caso di una tesi di laurea – tutti i nodi vengono al pettine! Tutti gli errori emergono sul foglio A4 scritto con il computer. E’opportuno ricordare che scrivere a macchina, come una volta, o con il computer, come avviene oggi, è molto più impegnativo che lo scrivere con la penna. Solo l’andare a capo viene facilitato (il computer conosce le sillabe che compongono una parola, ma i nostri studenti no), ma il resto assolutamente no. Nella scrittura con la penna gli accenti gravi o acuti di fatto non si distinguono, ma con la tastiera sì! Una cosa è scrivere né con l’accento acuto, forma corretta, per scrivere, ad esempio: “Non voglio né questo né quello”. Altra cosa è dirlo! L’accento si sente, ma non si vede! Ed ancora: “Ludovica è stupenda”: l’accento è grave, ma non si vede! In “perché” l’accento è acuto, ma non si vede! Ma cadere in questi “errorucci” scritti è poca cosa a fronte di errori più gravi, che riguardano la costruzione del periodo. Abbondano gli “e” i “ma”; difficilmente si trova un “benché”. Per non dire del “se” ipotetico! Qualcuno sa forse che il periodo ipotetico è di tre tipi? Ma c’è anche il “se” interrogativo! “Non so se andare al cinema o no”. Insomma, se non si ha confidenza con le risorse che la nostra grammatica con le sue diverse parti ci offre, è difficile scrivere una cosa altrettanto difficile come una tesi di laurea!

Laurence Lentin affermava alcuni anni fa in “Le développement du langage oral et maternelle” che il nuovo nato apprende per imitazione una parola dopo l’altra, prima lentamente, poi con sempre maggiore velocità. Ad esempio: “mamma pappa”, oppure “mamma cacca”. Si tratta di nomi riferiti ad oggetti; quando poi il bambino interiorizza il verbo, dirà “mamma voglio pappa” e così via. Il linguaggio si acquisisce per imitazione. Il “copiare” quindi è costruttivo. Anni fa Basil Bernstein distinse il codice ristretto e il codice elaborato: un conto è dire “mamma pappa”, altro conto dire “mamma voglio la pappa”, ed altro ancora, “mamma, ho fame, vorrei mangiare la pappa”. Insomma, ad attanti (in genere genitori e parenti) “colti”, o meglio linguisticamente “ricchi”, corrispondono bambini altrettanto “colti” e “ricchi”. Sono sfortunati i figli di genitori che adottano un “codice ristretto”.

In un suo recente articolo intitolato “E vero, molti nostri studenti non conoscono l’italiano, ma la colpa è anche dell’Università” pubblicato da “la Repubblica” il 9 febbraio scorso, Marco Rossi Doria scrive tra l’altro: “Poi, è una sfida esaltante ma anche impegnativa fare i conti ogni giorno con media che hanno trasformato gli stessi modi di imparare: organizzazione della memoria, presenza simultanea di molti codici, compresenza di procedure analogiche e logiche, relazione immediata tra produzione costruita e fruita. Questa è la prima generazione di docenti che ha perso il monopolio delle conoscenze e dei mezzi per trasmetterle. E che deve insegnare a distinguere, scegliere, confrontare, in mezzo a un mare di informazioni complesse e contraddittorie, valutando il sapere che i propri alunni hanno acquisito in moltissimi modi, anche lontano dalla scuola. Il cruciale tema posto dalla lettera-appello non può essere separato da tutto questo”.

Sono affermazioni sacrosante! Una volta esistevano la lingua orale (ascoltare e parlare) e la lingua scritta (leggere e scrivere)! Ma accanto alla lingua esistono gli oggetti e le loro immagini. L’oggetto o l’immagine, concreta, attivano l’emisfero destro del nostro cervello; la parola, astrazione scritta o orale, attiva l’emisfero sinistro. Ricordiamo l’immagine famosa di una pipa con la scritta “Ceci, n’est pas une pipe”, opera di Magritte. Quanti studi sul nesso tra oggetto e pensiero/parola. Oggi quello che, a mio avviso, manca è un approccio serio, scientifico, direi, a questi nuovi linguaggi indotti e imposti dalle mille diavolerie del web, Twitter, Facebook, e dei cellulari con tutte le innumeri applicazioni. Linguaggi che giungono ai nuovi nati prima che siano “investiti” dal “linguaggio della scuola” che è quello che è da sempre! Un linguaggio che per molti versi confligge con quelli del sociale, o meglio dei social!

Insomma, oggi insegnare “italiano”, o meglio, a leggere e scrivere, è un’impresa ardua in tutti i gradi della nostra istruzione scolastica. Ma si tratta di un oggi che ormai dura da non pochi anni, dall’avvento sempre più impetuoso, accattivante e… cattivo, direi, di quelle cosiddette nuove Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione, quelle TIC che giorno dopo giorno si arricchiscono di modi e forme, che poi diventano altrettanti contenuti. Insomma dalla parola come rappresentazione, come astrazione, alla parola come oggetto! Un insulto su FB equivale oggi a un vero e proprio sonante schiaffo! Leggo sul web e non commento: “Tiziana suicida per video hard, aperta un’inchiesta per istigazione al suicidio”. Quando si dice che “uccide più la parola che la spada”!

Il web non è un’astrazione! E’ la nuova realtà! Il confine tra il vero e l’immaginario si sta rompendo! Torneremo tutti bambini, quando credevamo che l’uomo nero – la minaccia di tante mamme arrabbiate – fosse veramente dietro l’angolo a rapirci!