Revisione Testo Unico Pubblico Impiego e riflessi sulla Dirigenza scolastica

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La revisione del Testo Unico del Pubblico Impiego e i riflessi sulla Dirigenza scolastica *

di Francesco G. Nuzzaci

 

I. Il 23 febbraio 2017 il Consiglio dei ministri ha approvato e trasmesso ai competenti organi lo schema di decreto legislativo recante modifiche e integrazioni del Testo unico del pubblico impiego, in attuazione della delega figurante nell’articolo 16 della legge 124/15: di semplificazione della disciplina del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e dei connessi profili di organizzazione amministrativa, secondo i principi e i criteri direttivi dettagliati nel successivo articolo 17.

Dovranno ora essere acquisiti l’intesa in sede di Conferenza Stato-regioni-province autonome di Trento e di Bolzano, il parere del Consiglio di Stato, infine i pareri delle competenti commissioni parlamentari.

Dopo di che ci sarà la definitiva deliberazione del Consiglio dei ministri e, conclusivamente, la pubblicazione in gazzetta ufficiale.

Qui di seguito intendiamo operare  una veloce e selettiva analisi del testo, circoscritta alla sua incidenza sulle prerogative della dirigenza e della dirigenza scolastica in particolare.

In chiusura proviamo poi a stimarne le ricadute sulla generale Intesa stipulata il 30 novembre 2016 tra i titolari della Funzione Pubblica e i vertici confederali di CGIL-CISL-UIL, per una sostanziale (ri)delegificazione del pubblico impiego in favore della prevalenza del contratto; e in più – per la dirigenza scolastica – sull’Accordo del 29 dicembre 2916 tra il MIUR e quattro dei cinque sindacati rappresentativi di comparto per mandare in soffitta gli elementi più innovativi della legge 107/15: la titolarità dei docenti sugli ambiti territoriali, la cosiddetta loro chiamata per competenze, la regolazione ex lege del bonus premiale.

 

II. Il Testo unico revisionato (d’ora in avanti Decreto) tiene ferma la generale disciplina privatistica nella definizione dei rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, fatte sempre salve le diverse disposizioni del Decreto qualificate imperative.

I successivi contratti o accordi collettivi nazionali possono liberamente – nel senso che non deve essere più la legge a consentirlo in modo esplicito – derogare a disposizioni della medesima (non qualificate imperative), di regolamento o statuto che disciplinino rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche o a categorie di essi.

Saranno il Consiglio di Stato e le competenti commissioni parlamentari a doversi qui pronunciare su un possibile eccesso di delega, che, come segnalato in uno dei primi commenti, avrebbe apportato una modifica al sistema delle fonti, per la precisione al rapporto tra legge e contratto, rispetto alla normativa introdotta dalla c.d. Riforma Brunetta (legge 15/09 e decreto legislativo 150/09); ovvero se il termine, generico e sintetico, di semplificazione assorba o meno – alla luce dell’assetto complessivo prefigurato nel predetto schema – l’inerente mancata esplicita previsione nella legge-delega.

In ogni caso, la cedevolezza della legge è limitata alle materie affidate alla contrattazione collettiva, ai sensi del primo comma dell’articolo 40, e comunque facendosi salvo il rispetto dei principi stabiliti dal Decreto.

 

III. Tra le materie affidate alla contrattazione collettiva di certo non sono compresi, perché restano normati dalla fonte pubblicistica, gli atti di macro organizzazione; né sono compresi gli atti di organizzazione degli uffici, di esclusiva competenza dei dirigenti, nonché , nel rispetto del principio delle pari opportunità, le misure inerenti alla gestione del rapporto di lavoro, con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro.

Sugli uni (gli atti di organizzazione degli uffici) e sulle  altre (le misure inerenti alla gestione del rapporto di lavoro) vi è il solo  generale obbligo di informativa ai sindacati, ovvero di corrispondere alle ulteriori forme di partecipazione se previste dai contratti: ad esempio potendosi sempre utilizzare  l’esame congiunto, non solo sui rapporti di lavoro – com’è attualmente – ma anche sull’organizzazione degli uffici.

 

IV. Come poc’anzi annotato, le materie affidate alla contrattazione collettiva riguardano, accanto alle relazioni sindacali, il rapporto di lavoro. E’ stato espunto l’opinabile avverbio direttamente, ma il significato del sostantivo resta ristretto , nel senso che i contenuti andranno individuati per sottrazione e devono pur sempre vincolarsi alle modalità previste dal presente Decreto.

E di sottrazione ce n’è a iosa, atteso che la sola modifica sostanziale che subisce l’intero, corposo, articolo 40 concerne le modalità di determinazione della quota prevalente del salario accessorio, con l’eliminazione delle griglie prescritte dall’art. 19 del D. Lgs. 150/09 (in fatto rimaste prive di effettività, sia per la lunga moratoria contrattuale, sia per le difficoltà tecniche di applicare un rigido dispositivo uguale per tutte le diversificate amministrazioni pubbliche), che  ne escludevano l’accessibilità al 25% del personale, dirigenti compresi, per definizione immeritevole.

Si riconsegna pertanto al contratto – nel segno di un’apprezzabile migliore funzionalità – una più libera ma comunque effettiva diversificazione dei trattamenti economici, e correlati non più alla sola performance individuale, ma anche a quella dell’intera struttura organizzativa.

Alla contrattazione restano, dunque, solo consentite, ma nei limiti (espressamente) previsti dalle norme di legge:

– le materie relative alle sanzioni disciplinari;

– la valutazione delle prestazioni per la corresponsione del trattamento  accessorio;

– la mobilità.

E permangono radicalmente escluse, oltre alle materie attinenti all’organizzazione degli uffici (previsione già codificata nella risalente legge 421/92, della c.d. prima privatizzazione del pubblico impiego), quelle della partecipazione sindacale, del conferimento e revoca degli incarichi dirigenziali, quelle concernenti le prerogative dirigenziali, di cui agli artt. 5, comma 2, 16 e 17 del Decreto.

Con, evidentemente voluta, ridondanza – il legislatore non parla mai invano –  , il richiamato art. 5, comma 2 dispone che nell’ambito delle leggi e degli atti (macro) organizzativi, le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione del rapporto di lavoro sono assunte dagli organi preposti alla gestione (id est: i dirigenti, in via esclusiva) con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro.

L’articolo 17 – qui tralasciandosi il 16, riguardante i dirigenti di uffici dirigenziali generali – elenca una serie di poteri attribuiti a tutti i dirigenti pubblici, tra i quali vanno evidenziati l’attuazione di progetti-piani-gestioni, con relativi poteri di spesa e di acquisizione delle entrate; il coordinamento e controllo delle attività della struttura cui si è preposti; la concorrenza all’individuazione delle risorse e dei profili professionali necessari; la valutazione del personale, nel rispetto del principio del merito, e l’afferente corresponsione di indennità e premi incentivanti; la delega temporanea di funzioni.

Sono poteri poi integrati – per i dirigenti delle istituzioni scolastiche – dalla norma speciale costituita dal successivo articolo 25 e da ultimo resi espliciti dalla legge 107/15, che altri ne aggiunge per la piena attuazione dell’autonomia scolastica (comma 78): in particolare il potere di definizione degli indirizzi per le attività della scuola e delle scelte di gestione e di amministrazione per il PTOF, poi elaborato dal Collegio dei docenti ed approvato dal Consiglio d’istituto (comma 4).

Ed è sempre il caso di ricordare che, per dettato del comma 196, sono inefficaci le norme e le procedure contenute nei contratti collettivi contrastanti con quanto previsto dalla presente legge.

 

V. Più significative appaiono le modifiche acceleratorie già apportate alle sanzioni disciplinari dal D. Lgs. 116/16 contro i cosiddetti furbetti del cartellino, ora estese a tutti i casi in cui le condotte punibili con il licenziamento siano accertate in flagranza.

In  premessa ne viene ribadita la qualificazione di norme imperative e la cui violazione – si aggiunge – costituisce un autonomo illecito disciplinare in capo a chi sia preposto alla loro applicazione.

Nello specifico, sono rivisitati le forme e i termini del procedimento disciplinare, distinguendosi la sola sanzione di minore gravità, il rimprovero verbale, dalle restanti sanzioni di maggiore gravità, sino al licenziamento.

Il responsabile della struttura – possegga o meno la qualifica dirigenziale – presso cui presta servizio il dipendente può solo direttamente procedere all’irrogazione della sanzione del rimprovero verbale, secondo la disciplina stabilita dal contratto collettivo (che per il personale non docente della scuola non prevede neanche la previa e formale contestazione degli addebiti: art. 3, comma 2 CCNL 29.11.07). Mentre, per comportamenti ravvisati, con una sommaria valutazione ex ante, meritevoli di una sanzione più grave, potrà e dovrà egli adottare – ricorrendone i presupposti – i provvedimenti cautelari e contestualmente rimettere gli atti all’Ufficio per i procedimenti disciplinari, costituito in ciascuna amministrazione e che si avvale degli ordinari termini, incrementati rispetto agli attuali, per avviare e concludere il procedimento.

Risulta così confermato il pregiudizio presente già nella prima bozza di quello che poi sarebbe diventato il decreto legislativo 116/16: che i dirigenti e/o i responsabili degli uffici sarebbero restii a comminare sanzioni disciplinari per paura – per il vero del tutto inconferente – di esporre la propria persona a conseguenze risarcitorie, se vittoriosamente impugnate dal ricorrente incolpato, o addirittura penali.

Ma è tutto da dimostrare che organi estranei e lontani dai luoghi di lavoro vogliano o siano  effettivamente in grado di sanzionare adeguatamente quei tanti misfatti che quivi si consumerebbero, deprecati dall’amministrazione ed enfatizzati dalla stampa, allorquando –  è facile prevederlo – i predetti uffici saranno inflazionati dalla pletora di pratiche su di essi riversate; nel mentre appare ictu oculi disfunzionale la neutralizzazione di un fondamentale strumento di gestione del dirigente, per l’appunto la di per sé già dissuasiva leva disciplinare, che non potrà più direttamente  perseguire gli elementari mancati doveri di correttezza, le gravi o reiterate negligenze in servizio, la violazione dei segreti d’ufficio e il pregiudizio al suo regolare funzionamento, l’uso dell’impiego a fini d’interesse personale et alia.

Vi è però un’eccezione, di natura accrescitiva. E riguarda i dirigenti delle istituzioni scolastiche; che conservano una prerogativa per contro sottratta anche ai dirigenti generali e ai capidipartimento: di procedere direttamente, e indistintamente, nei confronti del personale docente e ATA, nella formale contestazione degli addebiti e poi, qualora non debba darsi luogo al provvedimento di archiviazione, all’ irrogazione di una sanzione disciplinare non superiore alla sospensione dal servizio sino a dieci giorni e correlata perdita della retribuzione.

Dopo i nuovi poteri, e le connesse gravose responsabilità, statuiti dalla legge 107/15, ora un ulteriore aliquid pluris rispetto a tutti i dirigenti pubblici delle altre amministrazioni e inclusi i dirigenti amministrativi e tecnici (ossia non scolastici) dello stesso datore di lavoro, il MIUR.

L’introduzione nell’ordinamento giuridico di una tipica ed autonoma sanzione – per l’appunto, la sospensione dal servizio e della retribuzione sino a dieci giorni anche per il personale docente – risolve in radice quello stravagante filone giurisprudenziale che, alimentatosi di una serie di pronunce in fotocopia, ha ritenuto preclusa al dirigente scolastico la comminazione di sanzioni che andassero oltre la censura, attese la tipicità e la tassatività delle fattispecie disciplinari riferibili ai docenti, contenute negli artt. 492-508 del D. Lgs. 297/94; che, dopo la censura, contemplano la non scindibile sospensione dall’insegnamento o dall’ufficio fino a un mese, che pertanto sarebbe tuttora interamente attratta ed irrogabile dal dirigente dell’ufficio scolastico regionale (art. 503, decr. ult. cit.).

Né il prossimo CCNL, deputato ad armonizzare la materia disciplinare, uniformandola ai canoni privatistici, potrà disporre in difformità di quanto risulta – risulterebbe – statuito dalla norma imperativa.

E vi è un ulteriore rafforzamento del potere disciplinare del dirigente scolastico, deducibile dalla decisa potatura dei vizi formali, per l’innanzi aventi l’effetto di ammazzare il procedimento. Ora, nell’ordine:

– per le comunicazioni inerenti al procedimento sono validi tutti i mezzi idonei alla conoscibilità degli atti;

– la violazione dei termini e delle procedure, ferme le eventuali responsabilità imputabili al dipendente, non determina la decadenza dell’azione disciplinare né della sanzione irrogata, purché non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa e le modalità di esercizio dell’azione disciplinare siano comunque compatibili con il principio di tempestività;

– nel caso in cui la sanzione disciplinare inflitta sia annullata in sede giurisdizionale per violazione del principio di proporzionalità, sui medesimi fatti (superandosi il divieto ne bis in idem) si può riaprire il procedimento disciplinare entro sessanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza.

 

VI. Se ci si accosta frigido pacatoque animo al dato normativo, ancorché virtuale, non può certo dirsi ripristinata quella signoria del contratto siccome dotato di forza espansiva e tracimante, com’era prima della Riforma Brunetta: che il patto del 30 novembre 2016 tra la Funzione Pubblica e CGIL-CISL-UIL (supra) aveva inteso prenotare nelle conseguenti – ma, di tutta evidenza, disattese – modifiche normative del Testo Unico in discorso.

Certamente, oltre all’opportuna eliminazione delle gabbie brunettiane sul merito, risultano allargati gli ambiti di esercizio della partecipazione sindacale, peraltro tutti da definire.

E’ stato poi previsto che il dirigente deve motivare il pregiudizio alla funzionalità dell’ufficio prima di emanare l’atto unilaterale sulle materie di mancato accordo, ma non è stata corrisposta la pretesa dei sindacati di porre un limite alla sua durata massima (cosa che di per sé ne avrebbe vanificato la funzione).

E, soprattutto, nulla c’è nel testo licenziato dal Governo che facoltizzi il sindacato nella pretesa regolazione dei pertinenti aspetti organizzativi connessi ai diritti e alle garanzie del lavoratori, per interferire sui medesimi e sulle prerogative dirigenziali.

Insomma, ben poco di rivoluzionario, come può dedursi in controluce dall’ultimo, striminzito, comunicato congiunto di CGIL-CISL-UIL, in cui si dà mostra  di condividere, nella conclusa prima fasel’inizio del riequilibrio fra legge e contratto ed una prima apertura sulle materie da devolvere alla contrattazione; per poi sollecitarsi la ministra Madia a proseguire il confronto a completamento del cuore dell’accordo del 30 novembre, di puntare sulla contrattazione e su nuove relazioni sindacali.

In questo strutturalmente immodificato quadro normativo, a fortiori è ora ancor più privo di qualsivoglia base giuridica il menzionato Accordo del 29 dicembre 2016, che ha partorito un monstrum di 85 pagine formato A/4, 49 articoli, più tabelle ed allegati per conservare ai docenti tutti gli automatismi del personale ATA e dunque per reintrodurre la mobilità selvaggia su ambiti e su singole scuole, palesemente contra legem, dato che dall’anno scolastico 2106/17 la mobilità territoriale e professionale del personale docente opera tra gli ambiti territoriali (art. 1, comma 73, legge 107/15) e quivi vincolandola per almeno un triennio. Come contra legem sono gli accordi a latere che parimenti si propongono di negoziare la chiamata diretta e il bonus premiale, infine provando a metter becco in materia di sanzioni disciplinari: giusto per completare il lucido disegno di erosione dei poteri dei dirigenti scolastici, inversamente proporzionali al mantenimento delle ramificate tutele impiegatizie dei lavoratori.


* articolo in pubblicazione nel numero di aprile 2017 della rivista DIRIGERE LA SCUOLA, Euroedizioni, Torino, per gentile concessione dell’editore