Il diritto di contare, di Theodor Melfi

Il diritto di contare

di Mario Coviello

Nella Virginia segregazionista degli anni Sessanta, la legge non permette ai neri di vivere insieme ai bianchi. Uffici, toilette, mense, sale d’attesa, bus sono rigorosamente separati. Da una parte ci sono i bianchi, dall’altra ci sono i neri. Nonostante le leggi di segregazione a Langley , gestito dal NACA, ente precursore della NASA, venne assunto un team interamente femminile di cosiddetti “computer umani”, fra cui un certo numero di insegnanti di matematica afro-americane. Esse rimanevano segregate, mangiavano in locali separati, lavoravano in un reparto isolato denominato West Computing ed erano pagate meno delle colleghe bianche. Ma il loro lavoro eccezionale si distinse fra tutti fino a prevalere su quello degli uomini, al punto che esse divennero indispensabili alla missione più audace mai progettata fino a quel momento: spedire nello spazio John Glenn e fargli compiere un’orbita completa intorno alla Terra.

Prima ancora che la NASA ne comprendesse la genialità e iniziasse a trarne beneficio, le tre donne erano già incredibilmente speciali.

Katherine G. Johnson, nata nel West Virginia, si era da subito dimostrata un fenomeno, iniziando le scuole superiori a 10 anni e laureandosi in Matematica e Francese a 18 anni. Fu una delle prime a frequentare la West Virginia University e fu chiamata a lavorare a Langley nel 1953. Era una madre single con tre figli.

Dorothy Vaughan, originaria del Missouri e laureatasi a 19 anni, prima di andare a Langley nel 1943 aveva lavorato come insegnante di matematica. Divenne rapidamente responsabile del gruppo West Computing.

Mary Jackson,di Hampton (Virginia), laureata in Fisica e Matematica, entrò a Langley nel 1951 con il ruolo di Ingegnere aerospaziale, specializzata in esperimenti nella galleria del vento e in dati sui velivoli aerospaziali. Si avvalse sempre della sua posizione per aiutare le altre.

Il regista Theodor Melfi cerca di restituirci la percezione di cosa significasse essere insieme donna e afroamericana nei primi anni ’60, partendo dalla descrizione di un contesto esplosivo in cui collidevano Guerra Fredda, corsa allo spazio (che stava all’epoca vincendo l’URSS), scontri razziali e nascita dei movimenti per i diritti civili. Il diritto di contare comunque evita per quanto possibile stereotipi e luoghi comuni sull’argomento, non riducendo il tutto al classico scontro tra bianchi e neri. Fuori delle ore di lavoro queste donne sono infatti anche madri e mogli e c’è un percorso e una lotta da portare avanti per affermare sé stesse anche dentro le mura di casa, non solo alla NASA o nella società razzista dell’epoca.

Come spiega Melfi, “non importava il colore della pelle, la razza e il sesso: serviva qualcuno di intelligente e brillante che portasse avanti un progetto scientifico in grado di ridefinire le nozioni sullo spazio”. Le tre donne operarono a Langley in un’epoca in cui i computer non erano ancora quelli che conosciamo oggi, e avevano il compito di eseguire calcoli avanzati per tracciare le traiettorie dei razzi spaziali e le rotte del loro rientro sulla Terra.

Tutto questo nell’America e nella Virgina del 1961: due anni prima della marcia su Washington del Reverendo King, e quando Kennedy stava ancora lavorando sulle leggi che avrebbero garantito i diritti civili alla popolazione afroamericana e che sarebbero sfociate nel Civil Right Act, e dell’istituzione della Commissione Presidenziale sullo Status delle Donne.

Da un lato il sogno di Katherine Johnson, e di Dorothy Vaughn e Mary Jackson, quindi; dall’altro il sogno kennediano della conquista dello Spazio. Due sogni e due utopie che si sono realmente intrecciate come solo la realtà può fare, e che sono diventati realtà grazie alla capacità di poche persone di essere visionarie. Di guardare oltre i numeri, come dice Kevin Costner nei panni di Al Harrison, director of the Space Task Group, e vedere qualcosa che non c’è ancora: essere già lì, dove il resto del mondo deve ancora arrivare.

Un direttore che quando scopre che Khatherine fa un chilometro all’andata e uno al ritorno per andare al bagno nella zona riservata alle impiegate di colore, abbatte con un martello l’insegna dei bagni riservati solo ai bianchi e sbotta “qui alla NASA la pipì è tutta dello stesso colore”.

E Dorothy è costretta in una biblioteca riservata ai soli bianchi a prendere ‘in prestito’ un libro imprescindibile e Mary sollecita l’ego di un giudice per frequentare un corso di ingegneria interdetto ai neri.

Nel film gli altri attori bianchi sono Kirsten Dunst e Jim Parsons – bianchi un po’ rigidi e un po’ ariani sono quelli che affermano “non ho niente contro di voi”, sottintendendo “voi” neri , esplicitando senza volerlo il problema. E Dorothy replica “Lo so. So che è quello che lei crede”.Glen Powell è il simpatico e progressista John Glenn.

La qualità più grande del film di Theodore Melfi è quella di sfogliare una pagina sconosciuta della NASA. Pagina ‘bianca’ coniugata fino ad oggi al maschile. Se la storia, il contributo delle scienziate afroamericane alla conquista dello spazio, è una novità, la maniera di raccontarla è appassionante.

Dorothy in una biblioteca riservata ai soli bianchi per prendere ‘in prestito’ un libro imprescindibile e Mary davanti a un giudice di cui sollecita l’ego per frequentare un corso di ingegneria interdetto ai neri.

Il film esce in Italia oggi 8 marzo , giornata dedicata alla festa delle donne.

Pare che l’ormai ultranovantenne Katherine G. Johnson sia rimasta sorpresa per il grande interesse nato tardivamente sulla attività svolte da lei e dalle sue colleghe e abbia affermato di aver svolto solo il proprio lavoro cercando di trovare una soluzione ai problemi che andavano risolti. Ad ogni modo ha consigliato a chiunque ne abbia uno: “Attenetevi al problema. Qualunque esso sia, c’è sempre una soluzione. Una donna può risolverlo e anche un uomo può farlo… se gli concedete più tempo”.

La matematica è troppo spesso relegata dietro le quinte oppure nascosta sotto il tappeto come se fosse polvere. Ma arriva il giorno in cui diventa una materia essenziale, perché bisogna calcolare le traiettorie e la corsa allo spazio può essere vinta dall’Unione Sovietica. E’ quello il momento in cui ci si rende conto che occorre superare ogni pregiudizio: non importa se sia uomo o donna, né se sia di colore oppure no, dobbiamo dare a tutti la possibilità di esprimere il proprio talento.

E tre donne abili con i numeri tracciano segni su una lavagna che altri fissano a bocca aperta. Il talento per la matematica è qualcosa di esplosivo. Le soluzioni vengono fuori da una combinazione di duro lavoro ed intuito inatteso. Ecco perché si tratta di un film da vedere: perché il nostro futuro dipende anche dalla matematica e dai calcoli. Ed è venuto finalmente il momento – per tutti – di riconoscerlo esplicitamente.