D. De Masi, Lavorare gratis, lavorare tutti

Domenico De Masi, Lavorare gratis, lavorare tutti
Perché il futuro è dei disoccupati

di Maurizio Tiriticco

Il sottotitolo dell’ultimo libro di Domenico De Masi è sconfortante: “perché il futuro è dei disoccupati”. Il volume è stato pubblicato da Rizzoli in questi giorni. Di fatto, si tratta di una ricerca di estremo interesse sulla condizione del lavoro oggi ed ancor più domani. Trascrivo:

“Ormai non esiste famiglia dove non ci sia un figlio, un parente o un amico che non sia disoccupato. Se ne parla come di un appestato, abbassando la voce per non farsi sentire dagli estranei, e comunque sospettando che, sotto sotto, si tratti di un fannullone o di uno scapestrato. Con la disoccupazione giovanile stabile oltre il 40 per cento, l’Italia è oggi un Paese con milioni di questi fannulloni e scapestrati. Tutte le soluzioni sperimentate finora, compresi i voucher e il jobs act, celano l’intento di ampliare a dismisura un esercito di riserva professionalizzato e docile, disponibile a entrare e uscire dal mondo del lavoro secondo le fluttuazioni capricciose del mercato. Invece bisognerebbe avere il coraggio di affrontare il problema in tutta la sua gravità: la disoccupazione non solo non diminuirà, ma è destinata a crescere. Basta guardarsi intorno: ieri le macchine sostituivano l’uomo alla catena di montaggio, domani software sempre più sofisticati lavoreranno al posto di medici, dirigenti e notai. Insomma, il progresso tecnologico ci procurerà sempre più beni e servizi senza impiegare lavoro umano. E la soluzione non è ostacolarne la marcia trionfale, ma trovare criteri radicalmente nuovi per ridistribuire in modo equo la ricchezza.

“Per questo i disoccupati e tutti coloro che temono di poterlo diventare, se vogliono salvarsi, devono adottare una precisa strategia di riscatto. Perché pretendere un comportamento e un’etica ritagliati sul lavoro quando il lavoro viene negato? Perché non trasformare i disoccupati in un’avanguardia di quel mondo libero dal lavoro e sperimentare le occasioni preziose offerte da quella libertà? Ciò che oggi si prospetta non è conquistare, lottando con le unghie e con i denti, un posto di ultima fila nel mercato del lavoro industriale, ma sedere nella cabina di regia della società postindustriale. La soluzione è un nuovo modello di sviluppo e di convivenza, che possa condurci verso approdi sempre meno infelici”

Ciò che ho trascritto è la posizione di Domenico De Masi: un’analisi lucida e per certi versi inquietante. A mio giudizio, è un’analisi che occorre approfondire, in primo luogo da parte di chi ci governa: far fronte a un’ipotesi di questo tipo, o meglio a una società così profondamene cambiata e in continuo cambiamento – ed in negativo, come sembra – richiede un’intelligenza politica non indifferente. Con ricadute non indifferenti non solo per quanto riguarda il controllo, se non la guida, del mercato del lavoro, ma anche per quanto riguarda le finalità e i compiti del “Sistema Nazionale di Istruzione e di Formazione”. In effetti, se l’Istruzione, con tanto di “I” maiuscola riguarda le tematiche del leggere, scrivere e far di conto, ovviamente con tutte le innovazioni del caso, la Formazione, con tanto di “F” maiuscola riguarda tutto ciò che riguarda l’attenzione, l’orientamento di chi apprende al futuro inserimento al sociale e al mondo del lavoro. Non affronto in questa sede la terza gamba delle responsabilità che la Costituzione affida al sistema scolastico, che è quella del’Educazione, che afferisce alla cittadinanza ed all’acquisizione delle relative competenze che ciascun cittadino deve acquisire.

Non mi sembra che nel dibattito al Lingotto di questi giorni tematiche di questo tipo siano state affrontate! L’attenzione dei “compagni” – si è rinverdita una parola ormai desueta – riguarda più l’unità del partito che l’analisi del “sociale” in cui oggi viviamo e dell’’“economico” nazionale e transnazionale con cui ci dobbiamo confrontare: come se gli ombelichi fossero più importanti della realtà che ci circonda.

Il mondo del lavoro OGGI – anzi il mondo nella sua interezza – non è più quello di IERI, e ciò vale per tutti i Paesi industrializzati. La globalizzazione, la delocalizzazione, le applicazioni tecnologiche sempre più ardite e risolutive per tanti processi lavorativi che fino ad oggi richiedevano occhi e mani esperti stanno creando fasce sempre più ampie di disoccupati e la prospettiva per un futuro, anche ravvicinato, non è affatto confortante. E’ una realtà che libera l’uomo dal lavoro, e non solo manuale, ma lo rende anche disoccupato! E allora, che fare? Tornare al luddismo di un tempo? Impossibile! Non abbiamo distrutto le macchine e non distruggeremo le tecnologie e le loro applicazioni. A fronte quindi di questo mondo del lavoro assolutamente nuovo, “deumanizzato”, se si può dir così, occorre fare fronte! E questa tematica De Masi la avverte e la affronta. Rinvio quindi al libro, ma…

Ciò che soprattutto mi interessa, in quanto pedagogista, è l’insieme delle ricadute che queste trasformazioni hanno ed avranno sempre più sulla scuola, laddove si Educano, Formano e Istruiscono le nuove generazioni. La scuola ha sempre una triplice finalità: educare alla vita, formare il cittadino, istruire lungo l’arco di date discipline colui che domani dovrà affrontare il mondo del lavoro. Ed è proprio questo terzo aspetto che mi preoccupa. Gli ordinamenti attuali, le discipline di studio, le rigide scansioni orarie, le lezioni, le interrogazioni, i voti, i compiti in aula (non in classe: la classe è un concetto, non un luogo), oltre a quelli a casa, ordinamenti che la legge 107 non ha voluto mettere in discussione, le pagelle, i recuperi, gli esami, tutti i rituali di sempre hanno ancora senso di fronte alle sfide che un mondo della conoscenza e del lavoro quale De Masi ci descrive ci propone? E De Masi non è né un sognatore né un visionario! E’ la classe politica che non sa sognare e andare oltre le poltrone che occupa! E sono pure “compagni”, almeno da ieri! Cari “neo compagni”! Ve lo dico da “vecchio compagno”! Leggete di più, soprattutto De Masi, e parlate di meno! Se volete fare non dico di più, ma meglio!