Cani antidroga nelle classi? Il dilemma dei presidi

da Corriere della sera

Cani antidroga nelle classi? Il dilemma dei presidi

I dirigenti di istituto continuano a ricorrere ai controlli come estrema ratio, ma il sottosegretario all’Istruzione: «La maggior piazza di spaccio è la scuola. Serve la divisa

Valentina Santarpia

Progetti, relazioni, dibattiti: e poi, quando tutto questo non serve, arrivano i cani che fiutano la «roba» e scovano chi ha, o ha avuto, addosso del «fumo». Mentre il fenomeno sembra evaporato dalla lista delle emergenze, docenti e presidi «al fronte» continuano a combattere tutti i giorni con le «canne» a scuola. E, quando non ce la fanno più, chiamano le forze dell’ordine. Statistiche precise non ce ne sono, ma fioccano i casi segnalati dalle cronache locali. E spesso non sono falsi allarmi: l’anno scorso, quando la Questura di Firenze fece un controllo a tappeto delle scuole della provincia, in 28 istituti su 60 furono trovate sostanze. «È l’ennesima dimostrazione che il problema c’è- dice il sottosegretario all’Istruzione Gabriele Toccafondi- La maggiore piazza di spaccio è la scuola. E l’educazione non basta: serve anche la divisa».

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Il dilemma dei presidi

Non è una scelta facile per un dirigente, quella di chiedere un controllo. «Certo- racconta Isabella Pinto, preside dell’istituto Magarotto per sordi di Roma- non lo faccio mica a cuor leggero. Ma so che, se i ragazzi non mi amano, genitori e docenti mi apprezzano. Ho dovuto chiamare i carabinieri anche qui, i ragazzi arrivavano in classe già fumati. Non hanno trovato niente, ma spero sia servito da deterrente». L’esperienza più desolante? «A Ostia, al Faraday. Mentre i cani antidroga erano dentro, dalle finestre volavano pezzi di roba, zainetti, pacchetti, aggeggi strani», racconta Pinto. E naturalmente il dilemma non colpisce solo chi lavora in una grande città. «Con le forze dell’ordine ho un accordo di collaborazione», spiega Carlo Braga, dirigente dell’istituto Salvemini di Casalecchio sul Reno (Bologna). «Purtroppo è una realtà conclamata, non si può fingere di non vedere. Deve passare il messaggio che il controllo esiste: i miei 1400 studenti sanno che mi basta alzare il telefono, per far intervenire qualcuno. Ma negli ultimi tre anni l’ho fatto una sola volta: preferisco lavorare sulla prevenzione, sull’educazione. Abbiamo un articolato progetto di prevenzione delle dipendenze con collaborazioni con San Patrignano, col carcere minorile e uno sportello interno di ascolto. L’intervento delle forze dell’ordine è solo successivo, in presenza di segnali di pericolo». Ma c’è anche chi si è messo di traverso: come Ludovico Arte, il preside del Marco Polo di Firenze, che ha detto no ai controlli della Polizia. «Penso che non siano efficaci, perché non colpiscono uso e spaccio delle sostanze. E non sopporto l’idea che un cane punti un ragazzo, mi ricorda un regime repressivo. Preferisco puntare su psicologi e tutor: chiamare le forze dell’ordine significa derogare alle proprie responsabilità».

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Il rispetto dei confini

Il punto cruciale del dibattito si sposta sui confini: dove finisce quello mentale, temporale, affettivo della scuola? «Il tema è borderline- ammette Angela Nava, Associazione genitori democratici- se la scuola è una Repubblica con leggi sue, va protetta, e anche il cane antidroga deve avere un confine: può stare fuori, non dentro». Il controllo può essere un «pugno allo stomaco», ammette Rosaria D’Anna, Associazione italiana genitori: «Deve avvenire come extrema ratio. Non è che un figlio, quando entra in classe, diventa di proprietà dell’istituzione scolastica». Certo che no, sottolinea Santo Rullo, psichiatra dell’età evolutiva ed ex consigliere dell’Agenzia capitolina per le tossicodipendenze: «Ma visto che i cannabinoidi intralciano l’effetto dell’insegnamento, perché in età evolutiva incidono sull’apprendimento, allora è compito della scuola insegnare a non usarli».