La scuola riduce le disparità  Ma i poveri restano indietro

da Corriere della sera

La scuola riduce le disparità  Ma i poveri restano indietro

L’Ocse promuove l’Italia. Alle superiori però si perde l’effetto positivo

Gianna Fregonara e Orsola Riva

Quanto pesa la famiglia italiana sul destino delle giovani generazioni? Tanto, troppo. In base a uno studio pubblicato ieri dall’Ocse infatti se fino al secondo anno delle superiori la scuola riesce in qualche modo a calmierare le disparità socio-economiche di partenza, poi però «perde» i ragazzi più deboli che si ritrovano adulti in una situazione peggiore dei loro coetanei degli altri Paesi. A meno che non ci pensi la famiglia a trovare percorsi alternativi per i figli.

Che cosa non funziona in un sistema scolastico che mantiene meglio di altri l’impegno preso fin dai tempi della riforma della media unica di offrire le stesse opportunità di apprendimento a ricchi e poveri, ma che, una volta esaurito l’obbligo (fissato a 16 anni), abbandona i ragazzi al loro destino? Lo spiega in parte la ministra Valeria Fedeli: «È molto importante investire anche sull’acquisizione di competenze lungo tutto l’arco della vita e aiutare le ragazze e i ragazzi, soprattutto chi è in condizione di svantaggio, ad affrontare al meglio la transizione dalla scuola agli studi successivi o nel mondo del lavoro».

In generale, in tutti i Paesi Ocse, avere almeno un genitore laureato o comunque crescere in una casa dove ci sono più di cento libri, rappresenta un vantaggio relativo notevole. Ma alcuni Paesi riescono a contenere le differenze meglio di altri, come l’Italia, che pure esce sistematicamente con le ossa rotte dai test Ocse-Pisa sulle competenze dei 15enni in lettura, matematica e scienze. Certo non raggiungiamo i livelli di equità dei campioni del welfare nordeuropei (Norvegia, Svezia, Finlandia). Ma che dire della Germania dove i giovani meno capaci e con un background svantaggiato restano indietro ma poi riescono, grazie anche al sistema di alta formazione professionale, a recuperare il gap? «Fino alle medie — dice Francesca Borgonovi che per l’Ocse ha confrontato i dati del Pisa del 2000 con quelli sulle competenze degli adulti del 2012 — per tutti c’è un’opportunità di apprendimento. Poi chi è bravo va al liceo e all’università, mentre chi non lo è rischia di uscire dal sistema o di finire in scuole con percorsi “deboli” che non fanno acquisire le giuste competenze. Spesso va a lavorare e non ha più opportunità di formazione o entra nell’esercito dei Neet: i giovani esclusi da scuola e lavoro».

E del resto ancora oggi nel nostro Paese quasi un ragazzo su sei non arriva al diploma superiore: il tasso di dispersione è pari al 15% contro il 10% richiesto dagli obiettivi dell’agenda Europa 2020. Sono soprattutto gli studenti degli istituti professionali e quelli del Sud che si parcheggiano a scuola fino a 16 anni, solo per esaurire l’«obbligo», e poi se ne vanno. Mentre i laureati restano una esigua minoranza, solo il 25% dei giovani: siamo maglia nera in Europa. Lo studio Ocse evidenzia come, in generale, i ragazzi meno fortunati si possano salvare solo se a scuola non si accontentano di galleggiare per strappare la promozione ma hanno risultati realmente eccellenti (nel novantesimo percentile del Pisa).

In questo caso riescono a cavarsela anche se non sono figli di laureati o non possono vantare una ricca biblioteca di famiglia. Ma tutti gli altri sono condannati all’esclusione o comunque alla perpetuazione dello svantaggio sociale. Lo si vede bene dal dato sui Neet, autentica emergenza italiana: il 96% di essi provengono da famiglie svantaggiate.