Equità sociale, la scuola funziona ma il mercato del lavoro no

da ItaliaOggi

Equità sociale, la scuola funziona ma il mercato del lavoro no

Usciti dal sistema formativo, i giovani italiani perdono quanto hanno conquistato

Giovanni Brusio

L’ascensore sociale della scuola si è rimesso in movimento. Secondo l’Ocse la scuola italiana è fra quelle che producono più mobilità sociale al mondo. È quanto registrato dall’Organizzazione nell’ultimo studio sul capitale umano, che mette per la prima volta insieme i dati sull’apprendimento degli adulti di oggi rispetto a quando erano adolescenti. Ma se la scuola italiana, a quanto pare, funziona bene da ascensore sociale, altrettanto non si può dire per il mondo del lavoro. In molti Paesi dell’Ocse, spiegano da Parigi, il dato dell’apprendimento degli studenti di 15 anni d’età è predittivo dei vantaggi che l’educazione reca agli individui in età adulta. Alla fine si scopre che in Italia si sale nella scuola dell’obbligo. Poi però si scende.

L’Ocse mette a confronto l’andamento delle disparità socio-economiche delle coorti di adulti di 27 anni che sono stati oggetto, oggi, dell’indagine Ocse-Piaac (Programme for the. International Assessment of Adult. Competencies), dopo dodici anni dai tempi in cui avevano partecipato, quando avevano 15 anni, ai test dell’Ocse Pisa nel 2000. Pisa e Piaac hanno infatti due parametri in comune che sono il titolo di studio dei genitori e il numero di libri disponibili a casa, per cui i ricercatori sono riusciti a vagliare la crescita della prestazione di apprendimento fra gli individui adulti (26/28 anni), che avevano fatto i test Ocse Pisa, con almeno un genitore laureato e quelli con tutt’e due i genitori senza laurea. Quasi ovunque gli individui, nel passaggio fra i 16 e i 27 anni d’età, hanno incrementato le disuguaglianze nella literacy tra gli individui con genitori laureati e non, e tra quelli con più di 100 libri e quelli con meno di 100 libri in casa. Questo accade per quello che in sociologia è noto come effetto San Matteo e cioè per il principio dell’iniqua distribuzione del successo.

Non solo, ma l’incremento di literacy è riscontrabile con maggiore frequenza tra i soggetti che potevano vantare, da adolescenti, genitori più istruiti e migliori condizioni socio-economiche. Cosa che in Italia non capita, per lo meno, fino al termine della scuola dell’obbligo. Mentre il divario in funzione della variabile di provenienza cresce tra le stesse persone a 27 anni. Come nel resto della maggior parte degli altri Paesi, anche in Italia l’incidenza delle condizioni di status sulle disuguaglianze nella literacy e nella numeracy tende ad aumentare in funzione dell’età. Anzi in Italia lo fa più della media Ocse. L’educazione permanente e l’ingresso nel mercato del lavoro, spiegano da Parigi, sono cruciali per l’acquisizione delle competenze dopo il termine dell’obbligo di istruzione. Infatti i giovani meno abbienti sono considerati a rischio drop out più dei loro pari più abbienti.

L’ex premier Matteo Renzi si è detto felice della notizia che dimostrerebbe come sulla scuola si sia comunque imboccata la strada giusta anche se, va detto, che il trend positivo della scuola italiana, soprattutto in scienze e matematica, era già partito qualche anno fa. Nel 2013 l’Italia figurava tra i Paesi Ocse come quello con il recupero sulle competenze più accentuato (vedi Italia Oggi del 10/12/2013).

Non solo. All’epoca si registrò che solamente l’Italia, insieme a Polonia e Portogallo avevano, più di tutti, incrementato la popolazione degli studenti top performer e ridotto quella dei low performer. L’ascensore sociale della scuola si era quindi già rimesso in movimento lungo i piani della conoscenza, già negli anni in cui si andava chiedendo la testa di presidi e docenti.

Fatto sta che oggi anche i divari in fatto di literacy si riducono, con un indice di varianza dei risultati in rapporto alle differenze di status socio-economico che per l’Italia (0,45) è più basso della media Ocse (0,48). Ma se questo era già nell’aria, quello che è più importante, oggi, è lo scarto tra l’apporto in termini di competenze della scuola e quello del mondo del lavoro.