Il bonus di Renzi, un’odissea

da ItaliaOggi

Il bonus di Renzi, un’odissea

Solo il 40% dei docenti è riuscito a spendere i 500 euro

MArco Nobilio

La carta del docente non decolla. A fronte dei 350 milioni di euro resi disponibili dal governo per coprire l’impegno finanziario dei 500 euro a testa per l’aggiornamento, solo 60 milioni sarebbero stati spesi dai docenti e solo il 40% di loro avrebbe utilizzato il servizio, almeno parzialmente. Sono decorsi ormai circa 4 mesi da quando l’amministrazione ha fatto partire il nuovo sistema informatico per consentire ai docenti di spendere i 500 euro per l’aggiornamento. Ma i diretti interessati fanno fatica a spendere i proprio soldi scegliendo le varie opzioni sul mercato.

A differenza del contante, che può essere speso ovunque senza limitazioni, infatti i 500 euro per l’aggiornamento introdotti dalla Buona scuola di Renzi, da quest’anno, sono erogati dal ministero in moneta informatica. Che per essere spesa necessita anzitutto della previa acquisizione dello spid da parte dei docenti interessati.

La sigla spid sta per sistema pubblico di identità digitale e consiste in nella disponibilità di credenziali informatiche, senza le quali il docente interessato non può accedere al negozio virtuale dove si possono acquistare le varie utilità. Le credenziali si ottengono inserendo i proprio dati in una piattaforma informatica (la più utilizzata è quella fornita da Poste italiane, ma ve ne sono anche altre) compilando un modulo fornito direttamente dal sistema. E poi bisogna recarsi personalmente presso l’ente o l’impresa che fornisce il servizio per completare la procedura di identificazione.

Il procedimento, peraltro, è tutt’altro che semplice e, talvolta, anche se si seguono alla lettera la istruzioni, può essere necessario ripetere tutto da capo. Dopo avere portato a buon fine l’intero procedimento, il docente viene abilitato ad entrare nel negozio virtuale della piattaforma della carta del docente: è così che si chiama l’ambiente informatico predisposto dall’amministrazione per gli acquisti connessi all’aggiornamento.

Ma i problemi non finiscono qui. Per acquistare materialmente il bene di proprio interesse, è necessario utilizzare due codici diversi, volta per volta, che vengono inviati dal sistema, contemporaneamente, sia sul telefono cellulare che sulla posta elettronica. E solo dopo avere ricopiato i codici negli appositi spazi, il docente interessato può fruire del servizio.

A quel punto si apre una pagina web suddivisa in vari settori, ognuno per i vari ambiti dove è possibile spendere i 500 euro. Ognuno di questi settori, però, contiene solo un numero esiguo di esercenti, perché sono le stessi imprese o enti che, se vogliono rendere accessibili i loro prodotti ai docenti tramite il bonus dei 500 euro, devono accreditarsi in piattaforma.

E non sono pochi gli esercenti e gli enti che a tutt’oggi sono rimasti fuori pur avendo chiesto di accedere a questa nuova tipologia di mercato interno. La procedura di accesso, di per sé non agevole, prevede peraltro che possano entrare solo gli esercenti e gli enti in grado di farsi riconoscere dal sistema tramite i cosiddetti codici ateco. Vale a dire, i codici predisposti dall’Istat per classificare le attività economiche. Codici che vengono utilizzati anche dall’agenzia delle entrate.

Ma il sistema non riconosce tutti i codici perché non tutti i codici ateco sono stati inseriti nel sistema. E anche quando li riconosce, talvolta, non consente comunque l’ingresso alle ditte o gli enti interessati. Tant’è che vi sono diversi esercenti che, pur avendo accettato i voucher (è così che si chiamano gli assegni informatici che vengono rilasciati ai docenti all’esito della procedura) si trovano talvolta nella impossibilità di farseli trasformare in moneta sonante dall’amministrazione.

E non sono pochi i docenti che, pur avendo scaricato correttamente i voucher, se li sono visti rifiutare all’atto del pagamento, perché la ditta dove si sono recati non è ancora riuscita ad accreditarsi. Per spendere utilmente i voucher, infatti, non basta scaricarli e tentare di utilizzarli per l’acquisto di beni e servizi utili all’aggiornamento secondo i criteri fissati dalla legge.

È necessario, infatti, che le ditte o gli enti dove si intenda spenderli risultino in chiaro nella piattaforma. Pertanto, la procedura corretta per non vederseli rifiutare, deve necessariamente comprendere anche un controllo, da parte del docente interessato, direttamente in piattaforma. Controllo diretto a verificare se la ditta o l’ente dove si intende acquistare il bene o il servizio risultino accreditati oppure no.

Insomma, il meccanismo è molto complesso e sta scoraggiando tanti docenti che, in diversi casi, hanno rinunciato anche a munirsi di spid. Il rischio che si corre, dunque, è che le risorse rimangano in gran parte inutilizzate. Resta il fatto, però, che la legge 107/2015 non condiziona l’utilizzo dei 500 euro a qualsivoglia onere procedurale.

Anzi, nell’intenzione del legislatore, i 500 euro avrebbero dovuto essere posti nella disponibilità dei docenti tramite la consegna individuale di una carta elettronica. In pratica: una carta di credito prepagata. Mai vista