«Studenti più preparati se a scuola sono felici»

da Il Messaggero

«Studenti più preparati se a scuola sono felici»

Andreas Schleicher è il capo della Direzione istruzione dell’Ocse. È lui a guidare tutto il lavoro per il rapporto Pisa, cioè il lavoro statistico che ogni tre anni misura le capacità e le conoscenze degli studenti quindicenni in tutto il mondo. Ieri l’Ocse ha diffuso l’analisi Il benessere degli studenti, un documento piuttosto innovativo: l’oggetto della rilevazione non sono i risultati scolastici dei ragazzi, ma la loro psicologia, anzi meglio ancora, la loro felicità.
Ma cosa si intende, di preciso, per benessere?
«L’essere in possesso di tutte le doti psicologiche, cognitive, sociali e fisiche necessarie per vivere un’esistenza felice e appagante».
E come si può misurare?
«Ocse-Pisa rileva i risultati dell’apprendimento degli studenti, ma anche la loro soddisfazione di vita, le loro relazioni con i compagni, gli insegnanti e i genitori, e come passano il tempo fuori dalla scuola».
Per la scuola è più importante avere ragazzi sereni o studenti ben preparati
?
«Una delle scoperte più importanti che abbiamo fatto grazie a Pisa è che le conquiste accademiche e il benessere degli studenti non sono in alternativa. Paesi come la Finlandia, l’Olanda, la Svizzera dimostrano di saper combinare buoni risultati di apprendimento con un alto grado di soddisfazione degli studenti»
Però non c’è neanche una relazione diretta: non esistono dati che dimostrino un rapporto tra la felicità dei ragazzi e le loro prestazioni scolastiche.
«È vero, non tutti i paesi che ottengono buoni risultati nei test Ocse-Pisa hanno anche un alto livello di benessere tra gli studenti. Soprattutto nei Paesi asiatici le due cose non vanno insieme. Tuttavia possiamo rilevare come, all’interno dei singoli Paesi, la soddisfazione di vita di uno studente e il suo senso di appartenenza sono indicatori affidabili per prevedere buoni risultati di apprendimento».
La competizione può danneggiare la resa degli studenti? Una scuola molto esigente può produrre studenti ansiosi e depressi, e questa depressione può influenzare i loro risultati?
«Al contrario di quanto si possa pensare, i dati non mostrano alcuna relazione tra la quantità di ore che gli studenti dedicano allo studio e la loro felicità personale. E sebbene molti educatori ritengano che l’ansia a scuola sia la naturale conseguenza di un eccesso di test, Ocse-Pisa dimostra che l’ansia da prestazione degli studenti non è collegabile alla frequenza degli esami che devono sostenere. Quello che condiziona lo stato d’animo degli studenti non è il numero delle verifiche, ma il percepirle come una minaccia».
Cosa si può fare per motivare gli studenti senza alimentarne l’ansia e la paura di fallire?
«Gli insegnanti possono fare molto. I dati Ocse-Pisa ci dicono che se i professori adattano le loro lezioni ai bisogni e alle conoscenze della classe, se offrono aiuto individuale, gli studenti sono meno ansiosi. Al contrario, una relazione negativa tra studente e insegnante sembra minare la sicurezza degli studenti. Gli insegnanti devono sapere come aiutare gli alunni ad avere una maggiore consapevolezza delle loro capacità e delle loro debolezze».
I voti possono alimentare questo stato d’ansia?
«I voti possono essere uno strumento importante per dare agli alunni un riscontro e per spronarli al miglioramento. La valutazione però dovrebbe essere fatta con verifiche frequenti, partendo da prove più facili e alzandone gradualmente la difficoltà. Gli studenti dovrebbero avere l’opportunità di dimostrare le loro capacità sostenendo prima test meno complessi per arrivare solo alla fine alle verifiche vere e proprie».
Ci sono differenze tra maschi e femmine?
«In tutti i Paesi le ragazze mostrano una maggiore ansia per le loro prestazioni scolastiche rispetto ai loro compagni. La paura di commettere errori in un test spesso condiziona i risultati delle studentesse più brave, molte di loro vengono soffocate dalla pressione».
Come possono essere aiutate?
«I genitori possono fare molto. Le ragazze che in famiglia vengono incoraggiate a credere di più nelle loro capacità hanno il 21% di probabilità in meno di sentire la tensione durante lo studio, è il dato medio tra i Paesi dell’Ocse».
Gli insegnanti sono sufficientemente preparati nella gestione di queste ansie, o nel rispondere ai fenomeni di bullismo?
«Non tutti i docenti hanno una preparazione adeguata per affrontare gli studenti più difficili e per creare la giusta atmosfera nella classe. Nella formazione degli insegnanti bisognerebbe prestare una maggiore attenzione a questi temi. Un addestramento specifico è necessario anche per fronteggiare il bullismo, che è forse la minaccia maggiore per l’equilibrio psicologico dei ragazzi».
Nella vostra classifica gli studenti italiani non risultano tra i più soddisfatti.
«Sì, sono al di sotto della media Ocse, ma ci sono grandi differenze da scuola a scuola e da studente e studente. I dati mostrano inoltre che anche gli studenti più preparati hanno livelli molto alti di ansia da prestazione scolastica. Tuttavia, la maggior parte esprime un senso di appartenenza alla loro scuola e dichiarano di avere un rapporto positivo con i loro compagni. Il dato peraltro ricorre fra tutti i gruppi sociali, cosa che non accade negli altri paesi. Unica eccezione, i ragazzi che vengono da famiglie di immigrati. Anche tra i genitori italiani si rileva un maggiore interesse per quello che fanno i loro figli a scuola, un elemento che sono sempre i dati a dimostrarlo può incidere molto sul benessere dei ragazzi.
Sempre in base ai vostri dati, la scuola italiana risulta una delle più eque al mondo: in classe le differenze sociali si riducono.
«È vero, in Italia l’istruzione sa mettere i suoi studenti alla pari. La sfida per il vostro Paese sta nel riuscire ad elevare, per tutti gli studenti, il livello dell’eccellenza».
Le scuole europee dovrebbero fare di più per integrare gli immigrati?
«Sì, e questo non significa solo aiutarli a migliorare le loro prestazioni scolastiche: le scuole devono anche avere un ruolo nell’integrazione sociale dei migranti. Oggi in Europa una gioventù priva di diritti ha aderito allo Stato Islamico, e il fatto che alcuni di questi giovani avessero percorso tutti i gradini del nostro sistema educativo ci mostra che la risposta non sta semplicemente nel dare ai giovani immigrati più istruzione: abbiamo bisogno di ripensare le nostre esperienze educative, per spingere le persone ad abbracciare i nostri valori e a far avanzare la nostra società».
Pietro Piovani