Atti pubblici notarili: una Sentenza all’insegna della dignita’

Superando.it del 26-04-2017

Atti pubblici notarili: una Sentenza all’insegna della dignita’

VENEZIA. È particolarmente significativo un recente Decreto del Tribunale Civile di Venezia (Sezione Seconda, n. 967/2017 VG), di cui riferisce nel «Sole 24 Ore Diritto» Arrigo Roveda, presidente del Consiglio Notarile di Milano (organismo a lungo battutosi, per ottenere questo risultato), secondo il quale non è necessaria la nomina giudiziale di un interprete, per consentire a coloro che si esprimono tramite puntatore oculare o sintetizzatore vocale – ad esempio le persone affette da SLA (sclerosi laterale amiotrofica) o da altre patologie gravemente invalidanti – di partecipare ad atti pubblici notarili.
«Secondo quanto affermato dal giudice veneziano Eugenia Italia – scrive infatti Roveda -, in questi casi l’interprete nulla aggiunge alla comprensione delle spiegazioni che il notaio fa degli effetti giuridici dell’atto e nulla aggiunge alla comprensione delle volontà che la parte manifesta. Semaforo verde, quindi, per consentire alla tecnologia di abbattere le barriere burocratiche alle persone affette da SLA o da patologie parimenti limitanti e doppio binario per stipulare atti notarili».
«Nell’atto pubblico tradizionale (e quindi cartaceo) – precisa poi il Presidente del Collegio Notarile di Milano – una volta superata la necessità di ricorrere all’interprete, permane l’obbligatoria presenza di due testimoni che, in qualche modo, suppliscono alla mancanza di sottoscrizione. Nell’atto pubblico informatico, invece, la sottoscrizione viene apposta tramite un dispositivo di firma digitale e l’apposizione di un PIN che può essere composto sia con una tastiera tradizionale che con un puntatore oculare. In questo caso l’atto informatico si perfeziona in modo assolutamente identico, rendendo superflua la presenza dei testimoni».
«Si chiude così – commenta Roveda -, senza la necessità di interventi sulla legge notarile, il percorso segnato dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (Legge 18/09 dello Stato Italiano), per la quale gli Stati che l’hanno ratificata provvedono «ad accettare e facilitare nelle attività ufficiali il ricorso da parte delle persone con disabilità […] alle comunicazioni aumentative ed alternative e ad ogni altro mezzo, modalità e sistema accessibile di comunicazione di loro scelta» (articolo 21, comma b).

Oltre al significato normativo e burocratico di questo riconoscimento, secondo Mariangela Lamanna del Comitato 16 Novembre (Associazione Malati SLA e Malattie Altamente Invalidanti), il provvedimento ha soprattutto un valore in termini di dignità. «Finalmente – ha dichiarato in tal senso alla testata “SuperAbile” – si comincia a comprendere che un malato di SLA è una persona sana nel cervello e gli si riconosce quella dignità di cui lo si vuole a tutti i costi privare da sempre, oltre alle gravissime privazioni fisiche da cui è già annientato. Avendo capito che ha un cervello lucido, egli può dunque compiere qualunque atto burocratico e non deve ricorrere a un interprete che ne decodifichi le espressioni, effettuando invece tutti gli adempimenti che vuole, legali o burocratici che siano. Questo significa arrivare a riconoscere quella dignità di cui tanto si parla – ma che non c’è – a un essere umano colpito da una malattia che mina il fisico, ma non il cervello».
«Noi dialoghiamo ed esprimiamo il nostro consenso o assenso con il puntatore oculare, appunto perché siamo capaci di intendere e di volere – aggiunge all’Agenzia “Redattore Sociale” Francesca Cicirelli, sempre del Comitato 16 Novembre – e sono pertanto felice che qualcuno abbia capito che possiamo sbrigare le nostre faccende senza intermediari, perché nonostante la mancanza di movimenti vogliamo sentirci persone normali».

Un buon risultato, quindi, anche se, come segnala a conclusione della sua analisi Arrigo Roveda, «restano ancora da abbattere le barriere burocratiche che impediscono alle persone affette da questi tipi di disabilità un dialogo con le Pubbliche Amministrazioni. Infatti, è ancora troppo poco diffuso, nei rapporti tra cittadino e Pubblica Amministrazione, l’uso della firma digitale, ciò che è causa di discriminazione per chi non può apporre sottoscrizioni autografe. E non è stato sufficientemente promosso e diffuso l’utilizzo delle tecnologie inclusive, quali appunto i puntatori oculari e i dispositivi di firma digitale, che costituiscono invece, come già sottolineato, un preciso obbligo posto a carico del nostro Stato dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità». (S.B.)