Il ruolo delle emozioni nell’apprendimento

Il ruolo delle emozioni nell’apprendimento

di Immacolata Lagreca

 

Introduzione

Il tema delle emozioni è senza dubbio uno dei più ampi nei campi delle scienze umane. Soprattutto quando, grazie al contributo degli studi sociologici e psicologici, si è iniziato a riconoscere le emozioni come la base del comportamento individuale e sociale[1]. Il loro apporto, infatti, si evidenzia nello sviluppo intellettivo e culturale dell’individuo e nella gamma delle loro funzioni nell’ambito neurofisiologico, affettivo, cognitivo e motivazionale.

Le emozioni regolano anche un altro aspetto della vita delle persone: esse governano tutti i rapporti umani, permettendo di aprirsi al mondo e di entrare in relazione con gli altri. Per questo, prendere confidenza con le emozioni e imparare a riconoscerle vuol dire essenzialmente imparare a mettersi in discussione, ad accettarsi, ad aprirsi al confronto, soprattutto apprendere il mondo e le cose del mondo. Non a caso emozione derivata dal latino emotus, participio passato di emovere, ossia trasportare fuori, smuovere, scuotere: l’emozione ti scuote, ti smuove[2].

 

Emozioni

Innanzitutto distinguiamo le emozioni dai sentimenti. Sebbene entrambi hanno componenti cognitive e motivazionali, le prime sono meno stabili nel tempo rispetto ai sentimenti. I sentimenti sono composti da più emozioni insieme e sono la parte privata delle emozioni che durano più a lungo[3]. Così, le emozioni (ad esempio quelle primarie: approvazione, sorpresa, paura, dispiacere, disgusto, aspettativa, rabbia, gioia) combinandosi tra loro danno origine a sentimenti più complessi (ad esempio orgoglio, imbarazzo, delusione, vergogna, dispresso).

Rinviando a studi del settore più specifici[4], in psicologia, le emozioni sono definite come uno stato complesso di sentimenti che si traducono in cambiamenti fisici e psicologici che influenzano il pensiero e il comportamento[5]: «una mente senza emozioni non è affatto una mente, è solo un’anima di ghiaccio: una creatura fredda, inerte, priva di desideri, di paure, di affanni, di dolori o di piaceri»[6].

Le emozioni, dunque, sono reazioni a uno stimolo ambientale, sono brevi rispetto ai sentimenti, provocano cambiamenti a tre diversi livelli:

a – fisiologico: che comprendono quindi fenomeni fisici in tutto il corpo (cambiamenti della respirazione, della pressione arteriosa, del battito cardiaco, o tensione muscolare, o pilo erezione, oppure ancora influenza nella digestione, dilatazione delle pupille e così via);

b – comportamentale: determinano svariate espressioni facciali, la postura, il tono della voce e, assieme spingono le reazioni (ad esempio, chiusura e apertura, oppure attacco o fuga, oppure ancora tenerezza o aggressività, e così via);

c – psicologico: sensazione soggettiva, alterazione del controllo di sé e delle proprie abilità cognitive[7].

Le emozioni hanno un’insorgenza rapida, sono degli accadimenti involontari che subentrano nella vita dell’individuo e che, quindi, non possono essere né scelti né regolati.

In questa tabella ho riassunto le dimensioni di un’emozione:

 

In situazioni emotive la mente elabora stimoli e controlla le reazioni, per cui le emozioni hanno un ruolo importante nelle nostre esperienze di vita e di lavoro. Le emozioni, pertanto, si trasformano nel movente che si pone alla base dei nostri comportamenti, fondano la nostra identità, determinando le scelte e il pensiero, influendo anche sulle conoscenze.

Si può così affermare che ragione ed emozione non sono due poli opposti. Infatti, ogni funzione cognitiva racchiude componenti emotive, ogni funzione emotiva componenti cognitive: conoscere e valutare le emozioni significa pensare e decidere meglio.

 

Emozioni e apprendimento

Non è solo con l’intelligenza e la razionalità che si ha successo nell’apprendimento, perchè un ruolo altrettanto importante è svolto dalle emozioni.

Le emozioni contribuiscono «ai successi nell’apprendimento, all’interiorizzazione di saperi e significati, al miglioramento dell’esperienza personale dell’adulto che apprende e che trasferisce e applica nel proprio ambito professionale i risultati di quando appreso coinvolgendo le proprie risorse emotive»[8]. Purtroppo per tanto tempo questo non è stato compreso e le emozioni sono state bandite nelle scuole, perché non erano misurabili oggettivamente e perché potevano intralciare l’attività didattica, condotta con procedure rigide, rigorose e intransigenti[9].

Per lungo tempo, la tendenza dominante nel sistema di istruzione è stata quella di prediligere principi lineari e curriculari, ignorando la complessità degli esseri umani e la loro peculiarità. Oggi, grazie a numerosi studi, è stato dimostrato quanto è importante l’aspetto emotivo e affettivo nella comunicazione, nell’interazione sociale, nell’apprendimento scolastico, perché si è finalmente capito che l’essere umano è una totalità di razionalità ed emotività, e che in quest’ottica deve essere educato e deve imparare ad apprendere[10]: «Sarebbe auspicabile che le emozioni fossero considerate come naturali e umane, e per questo accettate e gestite, non controllate»[11].

L’emozione influisce nel processo di apprendimento in quanto agisce come guida nella presa di decisioni e nella formulazione delle idee. Sostiene, infatti, lo psicologo sovietico Lev Semënovič Vygotskij (1896-1934): «Lo stesso pensiero ha origine non da un altro pensiero, ma dalla sfera delle motivazioni della nostra coscienza, che contiene le nostre passioni e i nostri bisogni, i nostri interessi e impulsi, i nostri atti e le nostre emozioni. Dietro il pensiero si chiude la sfera delle tendenze attive e volitive che, sola, può dare risposta all’ultimo perché dell’analisi del pensiero»[12].

Anche lo psicologo-filosofo-pedagogista Jean Piaget (1896-1980) rileva l’importanza delle emozioni. Infatti lo studioso svizzero afferma che, per lo sviluppo armonico della personalità di chi deve imparare è necessaria un’interazione fra cognizione e affettività, per lo stretto parallelismo che esiste nel pensiero umano tra il piano affettivo e intellettuale. Scrive Piaget ne “La nascita dell’intelligenza nel fanciullo”: «a partire dal periodo pre-verbale esiste uno stretto parallelismo fra lo sviluppo dell’affettività e quello delle funzioni intellettuali, in quanto si tratta di due aspetti indissolubili di ogni azione: in ogni condotta, infatti, le motivazioni e il dinamismo energetico dipendono dall’affettività, mentre le tecniche e l’adeguamento dei mezzi impegnati costituiscono l’aspetto cognitivo. Non esiste, quindi, un’azione puramente intellettuale e neppure atti puramente affettivi, ma sempre e in ogni caso, sia nelle condotte relative agli oggetti, sia in quelle relative alle persone, intervengono entrambi gli elementi, giacché uno presuppone l’altro»[13].

Tra i molteplici studi nel settore[14], particolarmente interessanti sono quelli dello psicologo e accademico statunitense Howard Gardner (1943 – ) e dello psicologo e giornalista statunitense Daniel Goleman (1946 – ).

Gardner dà molta importanza alle emozioni che chi apprende prova per un percorso di studio: lo studente che scopre con entusiasmo un mondo nuovo ed è stimolato nella sua curiosità, apprenderà con maggior successo e con minore fatica rispetto a un compito imposto che considera privo di interesse. L’accademico statunitense sostiene, infatti, che se si vuole che certe conoscenze siano interiorizzate e successivamente usate, necessita immetterle in un contesto capace di suscitare emozioni. Al contrario le esperienze prive di richiami emozionali saranno scarsamente coinvolgenti e ben presto cadranno nell’oblio, non lasciando dietro di sé nessuna rappresentazione mentale[15].

Lo psicologo statunitense Daniel Goleman (1946 – ), invece, riprende il concetto di Intelligenza emotiva[16], già elaborato nel 1990 dai professori Peter Salovey e John D. Mayer nel loro articolo “Emotional Intelligence[17], e dimostra il valore che ha per tutti gli individui, sia piccoli sia grandi, nell’ambito relazionale, di apprendimento e lavorativo. Goleman è pienamente convinto che l’Intelligenza emotiva influisce nelle pratiche di vita quotidiana ed è finanche responsabile dei successi o degli insuccessi della persona. Il potenziamento dell’Intelligenza emotiva diventa, quindi, fondamentale per il benessere psicologico che è dato dalla capacità della persona di trovare un equilibrio tra stati emotivi positivi e negativi. Quest’ultimi danno un senso alla vita: i primi permettono di apprendere e apprezzare gli aspetti più piacevoli, gli altri consentono di apprendere, riflettere e reagire. Per questo, sempre secondo Goleman, gli “insegnamenti emozionali” appresi nell’infanzia e nell’adolescenza possono plasmare le nostre risposte emozionali: è dunque necessario intervenire sin dai primi anni di scuola nel modo in cui prepariamo i bambini alla vita, senza tralasciare l’educazione emozionale[18].

Anche altri scienziati sociali si sono occupati della relazione tra apprendimento ed emozioni[19]. Tra questi, utilizzo il pensiero di due per rafforzare l’assunto della stretta connessione tra emozioni e apprendimento scolastico.

Per Vygotskij l’apprendimento non è mero condizionamento e assimilazione passiva di contenuti preconfezionati, ma per la forte componente di attivazione emotivo-cognitiva «rappresenta una sfida e un’avventura che implica un atto di fiducia che consiste nel coraggio di tuffarsi nell’incerto e nell’ignoto»[20], perché il successo o l’insuccesso scolastico, ma anche alcune forme di disagio sociale, stati d’ansia, problemi di autostima e insicurezza, dipendono dalle prime esperienze di apprendimento e devono assolutamente essere presi in considerazione dal docente.

Il psicopedagogista Benjamin Samuel Bloom (1913-1999), invece, ritiene che esiste uno stretto rapporto che lega affettività e motivazione e apprendimento, poiché le variabili affettive e motivazionali esercitano un’azione rilevante nei processi di conoscenza, comprensione e socializzazione che avvengono nell’ambiente scolastico[21].

L’importanza cruciale delle emozioni nell’apprendimento è inoltre messa in evidenza dal collegamento che c’è tra le stesse emozioni e la memoria. Infatti, le emozioni giocano un importante ruolo nei processi cognitivi legati alla memoria, in quanto la forza dei ricordi dipende dal grado di attivazione emozionale indotto dall’apprendimento, per cui eventi/esperienze vissute con una partecipazione emotiva di livello medio-alto vengono catalogati nella nostra mente come “importanti” (attraverso il coinvolgimento di strutture cerebrali che fanno parte del sistema limbico, come l’amigdala e la corteccia orbito-frontale) e hanno una buona probabilità di venire successivamente ricordati[22].

 

Didattica ed emozioni

Prima di tutto cerchiamo di definire cosa intendiamo per didattica. In generale essa è la teoria, la pratica e l’arte dell’insegnare, in particolare con il termine didattica si fa riferimento al quel complesso di interventi volti a progettare, improntare, gestire e valutare “ambienti di apprendimento” adatti al gruppo di riferimento con cui andremo ad operare:

Con il termine didattica ci si riferisce sia all’attività di chi insegna, sia alla riflessione e alla progettazione operativa relative all’insegnamento, alla definizione di orientamenti, condizioni, modalità operative che si ritiene possa assicurarne l’efficacia formativa […]. La definizione di didattica rinvia a quella di insegnamento, identificabile come un’attività volta intenzionalmente, in forma organizzata, […] secondo procedimenti ritenuti efficaci, a sviluppare (estendere, approfondire, modificare) abilità, conoscenze, valori […] il rapporto del soggetto con la propria cultura e con altre culture[23].

Se adeguatamente valorizzate dalla didattica, le emozioni possono trasformarsi in risorsa, al pari del contenuto dell’azione formativa, perché l’alunno/studente non solo pensa ed elabora, ma “sente” e partecipa. Se l’insegnante/docente efficace le mette in luce, inglobandole nella pianificazione di un intervento didattico, può farle diventare una leva formidabile per la didattica, contribuendo a uno sviluppo che tenga presenti contemporaneamente e in maniera equilibrata gli aspetti razionale, emozionale e cognitivo.

Per mettere in atto un’educazione emotiva, è fondamentale avere come obiettivo primario l’esistenza del bambino nella sua totalità, e ciò comprende lo sviluppo sociale della persona, dimensione che si occupa dell’efficacia delle relazioni del bambino con gli altri e del lo sviluppo emotivo.

Dalle considerazioni esposte sinora, ne consegue che la didattica, per essere efficace, deve includere la dimensione emozionale nei suoi processi, ponendo massima attenzione allo spazio interiore, alla valorizzazione di ogni forma di diversità e alla formazione di essere umani completi in un clima di libera espressione:

Emozionare ed emozionarsi rende la formazione più vicina alle persone, ne potenzia gli stratagemmi, le pratiche, gli orientamenti. La circolazione di emozioni positive genera ulteriori emozioni positive, ed essere consapevoli di tale processo significa avviare un percorso verso la valorizzazione delle emozioni e la massima attenzione alle persone in formazione e al loro apprendimento. È infatti importante e necessario imparare a sollecitare le emozioni positive e a gestire ed arginare quelle negative, con l’obiettivo di potenziare le performance formative in termini di coinvolgimento e di efficacia.
Le emozioni diventano risorsa formativa se nominate, riconosciute e declinate. Anche in assenza di eventi eclatanti l’elemento emotivo sussiste sempre: se i discenti esprimono indifferenza non dobbiamo dimenticare che si tratta comunque di un’emozione. Però per questo è necessario che i formatori siano preparati a gestire prima le proprie e poi le altrui emozioni, almeno a livello di consapevolezza degli ambiti che le emozioni coprono. Conoscendo le reazioni di se stessi e degli altri si può lavorare richiamando in causa le emozioni senza il rischio di addentrarsi in circuiti “pericolosi” che possono scatenare dinamiche personali o interpersonali di esclusiva competenza e capacità di gestione degli esperti in psicologia. Gestire le emozioni ed evitarne i rischi non vuole infatti dire trasformarsi in psicologo, bensì sapere entro quali confini potersi muovere senza operare danni, questo sì che è auspicabile[24].

Questo passaggio del saggio Le emozioni: Patrimonio della persona e risorsa per la formazione di Ambra Stefanini, dottore di Ricerca in Scienze Pedagogiche, dell’Educazione e della Formazione presso l’Università degli Studi di Padova, racchiude benissimo la tesi che l’emozione deve essere propedeutica e sedimentratrice dell’apprendimento, quindi deve essere inglobata nella didattica.

Per questo una didattica emotiva diventa un’occasione per ampliare il ruolo della scuola a tutto beneficio degli alunni/studenti. Una scuola che fa entrare le emozioni in classe, che “approfitta” della loro naturale presenza, diventa un’istituzione che si impegna su un fronte ampio, in cui gli obiettivi diventano di tipo generale perché non riguardano solo l’istruzione in senso classico, ma la formazione umana.

Trasformare le emozioni in risorsa consente all’insegnante/docente una serie di vantaggi preziosi in termini di stimolo per l’apprendimento (ma anche per l’insegnamento), sintonia nella relazione formatore-allievo, comunicazione più profonda, lavoro più significativo. Elementi, questi, che potenziano il coinvolgimento dell’alunno/studente, creano una partecipazione attiva e collaborativa, generano un efficace apprendimento personale e condiviso, creano un clima di gruppo favorevole all’apprendimento e allo sviluppo di relazioni.

Lasciare fuori dalla formazione le emozioni, significherebbe “svuotare” la classe e renderla un luogo asettico e “freddo”, in cui le relazioni diventano impersonali e i contenuti didattici “una minestra da ingerire per forza”.

Far entrare le emozioni in classe, vuol dire creare un “contatto” tra insegnante/docente e alunno/studente e dar vita a un gruppo-classe. Quest’ultimo diventa un importante strumento per l’apprendimento poiché assume la funzione di sostegno emotivo, di contenimento dell’ansia e di aiuto per tollerare le frustrazioni legate all’apprendimento e alla valutazione[25].

A far entrare in gioco le emozioni a scuola, rendendole uno strumento facilitatore per l’apprendimento possono essere, ancora, l’interesse, le situazioni in cui si stimolano la curiosità, la sfera dei desideri, delle aspettative, cercando contatti con l’esperienza e la vita personale degli amici di classe e dell’insegnante/docente.

Questo, attenzione, non vuol dire per l’insegnante/docente porre enfasi sul fatto emozionale ed estremizzarlo, abolendo il confine tra formatore e allievo. Significa, invece, coinvolgere, valorizzare il singolo che insieme agli altri crea un gruppo, invitare alla partecipazione attiva. E questo utilizzando anche altri strumenti diversi dai libri e dalla lezione classica, mi riferiscono all’impiego di foto, filmati, musica, ballo, teatro, racconti, attività umoristica, sport, lavoro di gruppo, ma anche “uscite” e visite guidate (musei, biblioteche, luoghi di interesse storico) e così via[26], elementi questi che, assieme “al saper fare” dell’insegnante-docente, diventano utili strumenti di coinvolgimento e di partecipazione, generatori al loro volta di emozioni[27].

Ogni relazione educativa tra insegnante-docente e alunno-studente deve essere infatti incontro e scambio, partecipazione e alleanza, fiducia e stima, dialogo e comprensione. E in questo clima le emozioni non possono essere tralasciate.

Riassumiamo gli ambiti che concorrono a marcare l’importante centralità delle emozioni nella didattica:

– la formazione degli insegnanti-docenti all’uso in classe delle emozioni nella didattica per facilitare l’apprendimento;

– l’apprendimento come risultato della spinta propulsiva delle emozioni;

– il coinvolgimento, il dialogo, la fiducia, la comprensione come risultato dello stimolo delle emozioni;

– la relazione formatore-allievo, in stretta connessione con le emozioni;

– la crescita personale e il cambiamento, che nelle emozioni rintracciano il proprio impulso;

– il gruppoclasse come luogo cui le emozioni più si manifestano.

 

Le dinamiche affettiva del gruppo-classe

Il nostro percorso ci conduce ora verso una riflessione sull’importanza del gruppo-classe nella didattica emozionale.

Se vogliamo lavorare in un’ottica in cui le emozioni possano giocare un ruolo significativo nella formazione, dobbiamo fare riferimento al gruppo e al lavoro di gruppo come metodo di lavoro formativo, quali presupposti essenziali per qualunque tipologia di attività.

Il gruppo-classe si configura come un fondamentale spazio di crescita in cui l’alunno-studente sperimenta le proprie competenze e sviluppa la propria identità, in un continuo scambio sia con i pari sia con gli insegnanti, nel quale i processi emotivi e relazionali assumono un ruolo centrale[28].

Non a caso, un insieme di alunni-studenti diviene gruppo-classe «quando ha storia, familiarità e confidenza sufficienti per consentire ai singoli di produrre materiale emotivo che attinge a quest’area comune; per cui l’esperienza vissuta in queste condizioni da un singolo acquisisce un significato ed un efficacia speciale anche per tutti gli altri. In un gruppo cosi familiarizzato l’azione di una persona si connette con il mondo interno degli altri, trovando la via d’accesso a sensazioni, pensieri, ricordi, fantasie di livello profondo»[29].

Ecco che le emozioni diventano, ancora una volta, indispensabili in classe, proprio perché un buon funzionamento di un gruppo-classe dipende dalla «[…] rete di relazioni affettive, dalle molteplici motivazioni a stare insieme, dalla collaborazione in vista di obiettivi comuni, dall’apprezzamento reciproco, dalle norme e modalità di funzionamento del gruppo»[30].

L’importanza del gruppo-classe nella didattica emozionale è dunque da ricercare nella sua capacità di creare relazioni e di costruire fiducia nel gruppo, di stimolare la curiosità rispetto agli argomenti trattati e di diffondere energie positive, creando un clima disteso e favorevole alla formazione. Esso, indubbiamente, attiva un circuito emozionale circolare in cui le forze diventano convergenti.

Il gruppo-classe nasce, cresce e sviluppa legami, sinergie, attività e apprendimenti. Lavorare in gruppo, sperimentare l’appartenenza, la convergenza di obiettivi e l’azione collaborativa, diventano gli ingredienti di un lavoro che gli alunni/studenti con gli insegnanti/docenti “fanno con”, sviluppando una ricerca di senso collettiva e apprendendo insieme.

Diventa chiaro come in questa ottica il gruppo-classe diventa un “luogo”, uno “strumento”, in cui gli alunni-studenti, assieme agli insegnanti-docenti, possono esprimersi e crescere, contando sulle relazioni con gli altri e sulle emozioni come stimolo alla valorizzazione delle proprie caratteristiche e peculiarità.

Il gruppo-classe genera coinvolgimento, desiderio di partecipazione attiva e trasparente, energica ed energizzante; dà vita a impegno, interesse, fiducia, trasformando la formazione in fonte di condivisione. Questo consente al gruppo-classe di raggiungere una coesione sempre maggiore, fino a sviluppare un senso del “Noi” che consente l’integrazione piena di tutti i suoi membri.

Un gruppo-classe che funziona concilia la dimensione dell’efficienza[31] con quella dell’affettività[32], riuscendo così a garantire ai suoi membri una produttività adeguata alle proprie capacità all’interno di un buon clima sociale.

Il “fare squadra” facilita la creazione di un clima più confidenziale e collaborativo, innalza la disponibilità a supportare l’apprendimento degli altri, concorre ad abbandonare schemi mentali e paradigmi rigidi, fà aumentare l’interscambio costruttivo, consentendo alle relazioni di svilupparsi in un clima favorevole e in un gruppo coeso. In questo modo l’attivazione dei processi cognitivi e metacognitivi viene fortemente incentivata e l’aula si trasforma in laboratorio di sviluppo, approfondimento, riflessione profonda e confronto dialettico positivo, “caricandosi” di emozioni[33]. Tutto questo facilita un apprendimento autentico.

 

Conclusioni

Riepilogando quanto finora detto in questo brevissimo percorso di riflessione, si può pacificamente asserire che le emozioni giocano un ruolo fondamentale nella didattica, diventando una risorsa importante per la formazione. Facendo uso nella formazione di emozioni, questa diventa più efficace, più trascinante, più vicina alla persona, più profonda e più significativa.

Abbiamo studiato che tanti sono gli effetti positivi delle emozioni nella didattica: creano desiderio di partecipazione attiva; generano coinvolgimento, impegno, fiducia; riproducono un clima classe collaborativo e disteso; aumentano l’interscambio costruttivo, creano un gruppo-classe, consentendo alle relazioni di svilupparsi in un clima favorevole.

La costruzione di un clima umano positivo, con tutte le emozioni che appartengono alla persona, è un elemento fondamentale per avvantaggiare l’apprendimento, favorire la formazione, garantire in classe un buon equilibrio psicologico e un’identità positiva a favore degli alunni-studenti. In questa maniera l’attivazione dei processi cognitivi e metacognitivi è fortemente incentivata e l’apprendimento diventa autentico.

 


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Note

[1] Cfr. B. Cattarinussi, Sentimenti, passioni, emozioni. Le radici del comportamento umano, Franco Angeli, Milano 2000.

[2] Voce: emozione, Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Pianigiani, versione online, http://www.etimo.it/?term=emozione&find=Cerca

[3] Il sociologo Steve Gordon ipotizza che le emozioni si trasformino in sentimenti attraverso tre processi: la differenziazione (che elabora la materia prima emozionale in moduli complessi, coordinati con la variabilità sociale), la socializzazione (che implica i processi sociali e l’adozione di modelli, attraverso i quali l’esperienza matura è appresa dai membri della cultura), il controllo (che permette la determinazione sociale delle emozioni attraverso interventi normativi che le portano in linea con le prescrizioni sociali). S. T. Gordon, Micro-sociological Theories of Emotion, in S. N. Eisenstadt, Helle H. J. (a cura di), Perspectives on Sociological Theory. Micro-sociological theory, Sage, Beverly Hills 1985, p. 136. Cit da B. Cattarinussi, Sentimenti, passioni, emozioni. Le radici del comportamento umano, cit., p. 40.

[4] Vedi supra nota 3 e infra note 5 e 6. Anche Desjardins D., Piccolo trattato dell’emozione, trad. it., Sonzogno, Milano 2000.

[5] Cfr. L. Mecacci, (a cura di), Manuale di psicologia generale, Giunti, Firenze-Milano 2001, pp.264-272.

[6] J. LeDoux, Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni, trad. it., Baldini Castaldi Dalai, Milano 2003, p. 27 (orig. 1998).

[7] Cfr. Ibidem.

[8] A. Stefanini, Le emozioni: Patrimonio della persona e risorsa per la formazione, Franco Angeli, Milano 2013, p. 19.

[9] Cfr. K. Oatley, Breve storia delle emozioni, il Mulino, Bologna 2007, (orig. 2004).

[10] Cfr. E. R. Hilgard, R. Atkinson, R. Atkinson, Psicologia. Corso introduttivo, Giunti, Milano 1989, pp. 375-382 e pp. 384-397.

[11] E. Rago, L’arte della formazione. Metafore della formazione esperienziale, Franco Angeli, Milano 2004, p. 78.

[12] L. S. Vygotsky, Pensiero e linguaggio, Giunti, Firenze 1966, p. 225 (orig. 1934).

[13] J. Piaget, La nascita dell’intelligenza nel fanciullo, trad. it., Giunti e Barbera, Firenze 1991, p. 215, (orig. 1936).

[14] Un sunto degli studi contemporanei sull’efficacia delle emozioni nella scuola, in E. R. Hilgard, R. Atkinson, R. Atkinson, Psicologia. Corso introduttivo, cit., pp. 382-384.

[15] Cfr. H. Gardner, Formae mentis. Saggio sulla pluralità della intelligenza, trad. it., Feltrinelli, Milano 2010, (orig. 1983).

[16] L’Intelligenza emotiva è un aspetto dell’intelligenza legato alla capacità di riconoscere, utilizzare, comprendere e gestire in modo consapevole le proprie e altrui emozioni.

[17] P. Salovey, J. D. Mayer, Emotional Intelligence, in Imagination, Cognition, and Personality, vol. 9, No. 3, Baywood Publishing Co. Amityville (New York) 1990, pp .185-212. L’articolo si può leggere all’url: http://www.unh.edu/emotional_intelligence/EIAssets/EmotionalIntelligenceProper/EI1990%20Emotional%20Intelligence.pdf

[18] D. Goleman, Intelligenza Emotiva. Che cos’è e perché può renderci felici, Bur, Milano 2011, (orig. 1995).

[19] Particolarmente interessanti in italiano sono: A. Techel, A. Pendezzini, La farfalla insegna. La funzione delle emozioni nel processo di apprendimento, Armando, Roma 1996; C. Cristini, A. Ghilardi, (a cura di), Sentire e pensare. Emozioni e apprendimento fra mente e cervello, Springer, Milano 2009.

[20] C. Fratini, Le dinamiche affettive relazionali nei processi di insegnamentoapprendimento, in F. Cambi, (a cura di), Nel conflitto delle emozioni, Armando, Roma, 1998, p. 163. Cfr. L. S. Vygotskij Il processo cognitivo, Bollati Boringhieri, Torino 1987, (orig. 1934).

[21] Cfr. B. S. Bloom, Caratteristiche umane e apprendimento scolastico, Roma, Armando, 1979, ora 2006 (orig. 1976).

[22] Cfr. D. Palomba, L. Stegagno, Emozioni e memoria: riscontri neuro e psicofisiologici, in E. Agazzi, V. Fortunati, (a cura di), Memoria e saperi: percorsi transdisciplinari, Meltemi, Roma 2007, pp. 229-242.

[23] L. Trisciuzzi, Manuale di didattica in classe, ETS, Pisa 1999, pp. 10-11.

[24] A. Stefanini, Le emozioni: Patrimonio della persona e risorsa per la formazione, cit., p. 140.

[25] Cfr. sull’argomento C. Girelli, Costruire il gruppo. La dimensione socio affettiva nell’esperienza scolastica, Editrice La Scuola, Brescia 1999; M. Polito, Attivare le risorse del gruppo classe. Nuove strategie per l’apprendimento reciproco e la crescita personale, Erickson, Trento 2000.

[26] Cfr. tra gli altri M. Baldacci, I profili emozionali dei modelli didattici. Come integrare istruzione e affettività, FrancoAngeli, Milano 2009; U. Mariani, R. Schiralli, Intelligenza emotiva a scuola. Percorso formativo per l’intervento con gli alunni, Erickson, Trento 2012; Rossi B., L‟educazione dei sentimenti. Prendersi cura di sé, prendersi cura degli altri, Edizioni Unicopli, Milano 2004.

[27] G. Blandino, B. Granieri, La disponibilità ad apprendere. Dimensioni emotive nella scuola e formazione degli insegnanti, Raffaello Cortina Editore, Milano 1995.

[28] Cfr. S. C. Negri, Il lavoro di gruppo nella didattica, Carocci, Roma 2005.

[29] S. Corbella, G. Boria, Pensare e sognare di gruppo, Aipsim, IV, Milano 2002, pag.19.

[30] M. Polito, Attivare le risorse del gruppo classe. Nuove strategie per l’apprendimento reciproco e la crescita personale, cit., p. 50.

[31] L’efficienza rinvia a quegli aspetti della vita della classe collegati all’apprendimento.

[32] La dimensione dell’affettività/socialità rimanda a quegli aspetti della realtà interpersonale che riguardano l’attenzione all’alunno/studente, al suo trovarsi a proprio agio, al suo sentirsi accettato e, soprattutto, valorizzato.

[33] Cfr. Girelli C., Costruire il gruppo, cit..

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