Finlandia, nasce la scuola senza materie: la rivoluzione dei più bravi del mondo

da Repubblica 

Finlandia, nasce la scuola senza materie: la rivoluzione dei più bravi del mondo

Il metodo interdisciplinare basato sui “fenomeni”. Ammessi i telefonini in aula, ma come strumento di ricerca

di GIAMPAOLO CADALANU

IN TEMA di scuola, chi si ferma è perduto: ne sembrano convinti i finlandesi, titolari riconosciuti del miglior sistema educativo del pianeta, celebrati a ogni prova competitiva come dalle classifiche del Pisa (dell’Organizzazione per la cooperazione economica e lo sviluppo). Ma per restare i migliori, non si accontentano e ragionano sempre su possibili balzi in avanti. Al centro dell’innovazione c’è un concetto vecchio, la “materia”. Basta con l’istruzione divisa in compartimenti stagni: alle tradizionali categorie dello studio vanno affiancate anche le “competenze”.

A fare il punto sul processo che investe il sistema scolastico finlandese, con molti favorevoli all’idea ma anche qualche voce contraria, è stata la Bbc, che ipotizza un prossimo tramonto delle tradizionali divisioni del sapere: l’emittente britannica ha preso come esempio la Comprehensive School di Hauho (l’equivalente di una scuola media italiana) nel nord del Paese, raccontando di una lezione realmente interdisciplinare, dove la lezione su Pompei e sull’eruzione del Vesuvio che la distrusse diventa uno spunto per confrontare Roma antica con la Finlandia di oggi, paragonando le terme romane con le moderne spa, o gli attuali impianti destinati allo sport con il Colosseo, di cui a fine giornata viene prodotto un modello solido grazie a una stampante in 3D. La lezione di storia diventa qualcosa di più, con gli allievi dodicenni che apprendono anche nozioni di tecnologia e tecniche di ricerca, comunicazione e scambio culturale.

Dall’agosto 2016 le scuole finlandesi devono garantire un approccio “collaborativo”, permettendo agli studenti di scegliere un tema che li interessa e impostando attorno ad esso il lavoro complessivo, sia in aula che attraverso il coinvolgimento di elementi esterni, dagli esperti ai musei. Secondo Kirsti Lonka, docente di Psicologia educativa all’università di Helsinki, il metodo dell’apprendimento “basato sui fenomeni” deve fornire agli studenti capacità adeguate per il ventunesimo secolo. Fra queste, sottolinea la docente, ci sono quelle che servono per respingere il cyber-bullismo come quelle che permettono di individuare su internet le notizie false, così come l’abilità di installare un programma anti-virus come quella di collegare al computer una stampante.

L’approccio interdisciplinare non solo prevede l’utilizzo delle tecnologie quotidiane – compresi il telefono cellulare e il tablet per le ricerche in classe – ma permette anche di approfondire con ricerche dirette temi di stretta attualità. A Hauho, per esempio, i ragazzi che hanno affrontato il tema dell’immigrazione hanno potuto fornire ai compagni un’esperienza che, dicono i professori, è risultata molto più convincente di ogni lezione frontale.

In più, il sistema prevede una forte responsabilizzazione degli studenti, che il tradizionale approccio finlandese lascia molto liberi, con l’istruzione formale che comincia solo a sette anni e un carico di studi mirato più alle disposizioni individuali che a generici “doveri” uguali per tutti , tanto da non prevedere nemmeno i compiti a casa.

“Più che un meccanismo di riforme brusche, a caratterizzare il sistema educativo finlandese è il processo di innovazione graduale”, dice Marco Braghero, ricercatore di Psicologia sociale all’università di Jyväskylä, nella regione dei laghi: “Il percorso si è avviato nel 2013, sarà a regime entro sette anni. E si basa sui tre punti forti del sistema di istruzione di qui. Il primo è la formazione dei docenti, che fanno studi destinati specificamente all’insegnamento, sono selezionati e ben pagati. Il secondo è il coinvolgimento delle comunità e dei territori, che è continuo. Il terzo è la gradualità dell’innovazione, che va a geometria variabile grazie alle autonomie, ma allo stesso tempo può contare sulla stabilità nelle politiche educative. Insomma, possono cambiare i governi ma non la politica dell’istruzione”.