Venezia, la scuola e il suo Urlo

Venezia, la scuola e il suo Urlo

Carissimi tutti/e, cos’è un ministro se non colui che amministra?
Bisognerebbe che si limitasse a questo. Appunto. Amministrare. Il potere come ci ha insegnato Machiavelli non è mai solo bene, spesso è male. Fa ciò che serve in quel momento e in quella epoca. L’etica non è una categoria che gli appartiene per sua natura.

Chi amministra pensa ad amministrare e a fare i propri interessi. Insegnare è arte e artigianato che spetta a noi, unici che dall’interno riescono a destreggiarsi con scienza e coscienza fra diverse tipologie di esigenze sia intellettive sia emotive sia relazionali. Chi conosce le motivazioni all’apprendimento di bambine e bambini del 2012? Noi e i loro genitori. Nello specifico dell’esperienza scolastica, il piano delle conoscenze utili, delle difficoltà e delle potenzialità che vengono rivelate quotidianamente nella comunità classe, lo conosciamo noi che mai veniamo interpellati dall’amministratore.

L’amministratore e i suoi funzionari possono stravolgere ogni possibilità di miglioramento annichilendo, bloccando sul nascere e a volte a un passo dal traguardo qualsivoglia atto pedagogico agito in basso e questo accade con una ricorsività che lascia senza fiato, perciò l’azione del salvataggio spetta a noi. Noi possiamo neutralizzare le assurdità ricorrenti con la nostra visione pedagogica, con i nostri pensieri in situazione.

Ma dobbiamo avere il coraggio, la passione, la caparbia convinzione che noi valiamo e che ciò che sosteniamo nell’esercizio della nostra professione è da difendere con ogni mezzo. Prendiamo l’iniziativa de “L’urlo della scuola” del prossimo 23 marzo. E’ un bellissimo modo di mettere le orecchie a chi non vuol sentire. Auguro a tutti noi e al Paese che la giornata sia un successo, ma anche se non lo fosse (e mi dispiacerebbe alquanto!), credo che il fatto che tanti docenti, genitori, studenti, ricercatori abbiano lavorato insieme, riflettuto, scritto, comunicato all’esterno, sia un valore del quale essere fieri.

Le parole, che ogni giorno sentiamo alla radio o in tv, di coloro i quali dovrebbero agire per favorire lo sviluppo della scuola, dell’ Università e, in ultima analisi, del Paese, sono invece vuoti annunci espressi al modo condizionale, sono richiami vaghi e privi di significanza per la base. Essi ripetono le parole dell’amministratore fino allo sfinimento: educare alla flessibilità, alla mobilità, perfino educare all’espatrio i talenti, affinché (afferma l’amministratore) si arricchiscano di competenze, di conoscenze, il tutto condito dal solito refrain “i giovani sono il futuro, noi pensiamo a loro…”. Non ci crediamo, quando i fatti mostrano tutta la loro drammatica verità oggettiva: tagli, accorpamenti selvaggi, assoluto disinteresse per la voce della base di insegnanti, dirigenti in gamba e studenti.

L’amministratore procede con le sue azioni che parlano una lingua sconosciuta: più studenti per classe, meno docenti, meno sostegno, meno tempo scuola, meno strumenti. Salvo poi usare la propaganda per far luccicare qualche scuola modello (di cosa?) al fine di renderci ancora più succubi di ciò che già siamo volenti o nolenti.

La nostra scuola è come Venezia: splendida nei suoi angoli più pittoreschi e nascosti, nella rete di canali minori che fanno navigare le intelligenze vive e creative che scivolano silenziose sulle acque antiche dei saperi che si incontrano. Putrescente a causa del disimpegno dei poteri che la prosciugano facendone emergere le muffe degli abbandoni e delle dispersioni. Una Venezia malinconica, persa nelle nebbie di fumose elucubrazioni che le sono totalmente estranee. Studiata, analizzata, mortificata, priva di quelle risorse che altrimenti, se condivise con il popolo che la conosce in profondità e in superficie, la potrebbero restaurare con la collaborazione di tutti i naviganti.

Una Venezia tutta italiana ricca di talenti adulti e giovani, quella Venezia che viene nominata soltanto quando la si può sfruttare e dimenticata quando le luci della ribalta si spengono.

A volte siamo noi stessi insegnanti che non riusciamo a comprendere quanto sia importante ed essenziale il nostro lavoro, quanto esso sia rivoluzionario mentre naviga tra corruzione e piccineria. Spesso siamo noi stessi a rintanarci senza più speranze, a rifiutare la collaborazione. E’ un vero peccato. Sì, perché non è vero che le cose non possono cambiare. Non è vero. Siamo tanti anche se vorrebbero diminuirci e sminuirci. Il nostro lavoro è silenzioso. Tuttavia non è il silenzio degli arroccamenti in difesa che ci salverà. Noi siamo pacifisti per tradizione e cultura, ma dobbiamo rivendicare il nostro ruolo di intellettuali al servizio del Paese e di chi lo abita anche ai piani più bassi.

Inoltre ricordiamoci che siamo cittadini tre volte: paghiamo le tasse; paghiamo come tutti gli altri genitori per i nostri figli e per i materiali che servono a loro nella scuola pubblica sopperendo al vuoto dello Stato; paghiamo come insegnanti materiali, libri, riviste, pc…senza che possiamo scaricare nulla dalla dichiarazione dei redditi.

Un Urlo qualche volta serve!

Claudia Fanti