Un fendente, uno solo, definitivo

Un fendente, uno solo, definitivo

di Vincenzo Andraous

 

Sui giovani, sui loro comportamenti, sugli stili di vita che permeano i minuti e le ore da trascorrere in famiglia, in classe, in oratorio, al pub, nella stessa identica terra di nessuno, con le inevitabili e conseguenti condotte criminogene, continuo a sentire domande talmente banali e sonnolente da fare rabbrividire, di contro giungono risposte tremebonde e inconcludenti, che lasciano gli interrogativi a bocce ferme, così tutto si mimetizza dentro una sorta di tempesta mediatica, affinché nugoli di sabbia negli occhi consentono di non vedere, non sentire, in fin dei conti sono accadimenti che ci inseguono dalla notte dei tempi, certo, dico io, finchè non ci scappa il morto.

Allora e solo allora c’è un risveglio obbligante della rete neuronale, che costringe a correre immediatamente ai ripari, a prendere atto che non si tratta di bullismo, disagio relazionale, disconoscimento delle regole, perché volenti nolenti, siamo già all’inferno, dove la trasgressione veste i panni consunti della devianza.

Ragazzini violentano ripetutamente per giorni, per mesi, una coetanea, in gruppo pestano giù duro fino a scarnificare al fondo delle ossa. Adolescenti con in tasca il tira pugni, il serramanico, come a dire: io non sono trasparente, io non sono un fantasma, io non ci sto dietro a tutti voi. Bicipite palestrato e arnese freddo come una lama, diventano un connubio affascinante-devastante, una presenza costante in chi nulla più ha da raccontare, da inventare, da creare attraverso la fatica di un ragionamento appropriato con cui confrontarsi e magari imparare che gridare e imprecare non sempre rappresenta la realtà, la verità, se non soltanto la tua. Oppure quanto possa diventare importante il sudore di un impegno, l’espulsione delle tossine.

Invece ecco la scelta opposta e contraria ad ogni più naturale libertà, è la resa farsi avanti, a nascondersi nell’impetuosità e imbizzarrimento del fendente secco, uno solo, definitivo, bastante a inchiodare la vita di un innocente. Penso che a volte siano le convinzioni costruite a misura, emulazione copia incolla, a creare le condizioni del dis-valore non dei nuovi digitali, ma dei nuovi esterefatti bamboccioni assassini, risultato opprimente delle parole lasciate in giro come mine vaganti dagli adulti e sempre dagli stessi stoltamente autorizzate.

Il famoso detto del coltello dalla parte del manico, non significa niente se non accompagnato da un esempio importante, un esempio appunto, quello che insegna cos’è il rispetto di se stessi e degli altri, attraverso una testimonianza che non è di comodo, ma un fare quotidiano ripetuto, dunque autorevole. Quando un adolescente pianta una lama nel cuore di un coetaneo, non c’è attenuante che dir si voglia, soprattutto per chi ha dato per scontato che in casa propria, fatti di questo genere non potessero verificarsi, anzi, forse possono accadere, ma a casa tua non nella mia. La morte di un ragazzo innocente richiama sempre la necessità di delucidazioni, spiegazioni, l’indagine sulle motivazioni che hanno spinto all’azione irresponsabile.

Nuovamente saranno le parole valigia a farla da padrone, a rendere comprensibile l’incomprensibile, molteplicità di contenitori in cui costringere a stare al suo posto tutto e il contrario di tutto.

Qualcosa di questa tragedia mi riporta al titolo di un libro edito dalla Comunità Casa del Giovane di Don Enzo Boschetti: Vittime e carnefici, tutt’intorno stanno gli indifferenti, nella società io vinco tu perdi non si fanno prigionieri. Conosco bene i dazi da pagare per la scoperta del mito della forza, il cancro del dolore e della sofferenza imposta, forse occorre ripartire dai valori che già ci sono per contrastare una cultura dilagante della frode grammaticale e della violenza che appiana fintamente e drammaticamente ogni divergenza.