Minori con disabilità: riabilitazione fino a 25 anni

Vita.it del 07-07-2017

Minori con disabilita’, la Bicamerale Infanzia chiede riabilitazione fino a 25 anni

di Sara De Carli

È questa la richiesta della Commissione nel documento conclusivo di un’indagine conoscitiva durata un anno sul tema della salute dei bambini con disabilità. In allegato il documento approvato dalla Commissione, con le nuove prospettive della riabilitazione neuromotoria legate a stimolazioni intracerebrali e cellule staminali.

Più risorse economiche per le terapie riabilitative per i bambini con disabilità e l’estensione delle stesse almeno fino ai 21/25 anni: oggi infatti al compimento dei 18 anni si e` adulti, e quindi a 18 anni e un giorno la riabilitazione si conclude. È quanto chiede la Commissione Bicamerale per l’Infanzia e l’Adolescenza nel documento “Il diritto alla salute dei minori diversamente abili”, approvato il 27 giugno a conclusione di un’indagine conoscitiva durata un anno (in allegato in fondo all’articolo, in anteprima il documento integrale approvato dalla Commissione).

Fra i dati raccolti nel documento spiccano questi: il livello del contenzioso per gli studenti con disabilità è elevato, gacché l’8,5% delle famiglie di alunni con disabilità nella scuola primaria e il 6,8% nella secondaria di I grado hanno presentato ricorso all’Autorità giudiziaria. I tassi di occupazione dei giovani con disabilità all’uscita dalla scuola permangono molto bassi (3,5%) e in particolare i giovani con disabilità psichica rischiano di rimanere permanentemente esclusi dal sistema produttivo. Il 30-35% delle scuole italiane presenta barriere architettoniche (Anagrafe degli edifici scolastici, 2015) e necessita di un intervento di adeguamento alla normativa in materia. Gli alunni con disabilità di origine straniera sono in crescita (il 12% del totale degli alunni con disabilità nell’anno scolastico 2014/15), ma non c’è un’attenzione specifica per loro. Il 42% degli studenti con disabilità ha cambiato l’insegnante di sostegno da un anno all’altro nella scuola primaria e il 16% lo ha cambiato nello stesso anno scolastico. L’incidenza della disabilità nella fascia giovanile ha subìto in linea generale un incremento, destinato ad aumentare, sia in valori assoluti che percentuali. Nella scuola italiana ad esempio in dieci anni (dall’anno scolastico 2004/2005 all’anno scolastico 2014/2015) gli alunni con disabilità sono passati da 167.804 a 234.788 (+39,9%) a fronte di un calo di alunni complessivo, nel decennio, pari a un -0,4%. La maggioranza degli alunni con disabilità frequenta una scuola statale (218.905), mentre 12.221 alunni con disabilità frequentano una scuola paritaria. Gli alunni con disabilità intellettiva sono (anno 2015) 152.551, quelli con una disabilità motoria 5.822, quelli con disabilità uditiva 6.217 e con disabilità visiva 3.638.

Le audizioni (e quindi il documento) hanno approfondito lo status attuale della presa in carico per alcune disabilità specifiche: la sindrome di Down, li disturbi dello spettro autistico, l’epilessia in età pediatrica, le disabilità neuromotorie e in particolare le paralisi cerebrali infantili, la sordità, l’ipovisione. Focus specifici sono stati fatti sulla riabilitazione delle gravi disabilità infantili, in particolare sullle metodiche di riabilitazione nuromotoria, sulle nuove prospettive della riabilitazione neuromotoria (con stimolazioni intracerebrali e con cellule staminali), sulla situazione dei reparti di neuropsichiatria infantile.

Antonia Madella Noja, segretario generale di TOG ha sottolineato come l’insertimento obbligatorio nella scuola dei bambini con disabilità abbia una valenza non solo etica-sociale ma anche neorologica. La scuola cioè ha forte ruolo anche in campo riabilitativo: grazie al mirroring (il sistema dei neuroni a specchio) il bambino che vede il comportamento di un compagno modifica la sua struttura cognitiva, cosa che non potrebbe accadere in una classe di soli bambini con disabilità. Anna Mazzucchi invece, neurologa e neuropsicologa coordinatrice della rete Gravi cerebrolesioni acquisite della Fondazione Don Gnocchi ha sottolineato la mancanza di un registro nazionale per queste patologie. Di stimolazioni intracerebrali hanno parlato Letizia Leocani e Maria Grazia Natali Sora, rispettivamente professoressa e neurologa del San Raffaele di Milano: l’elettrostimolazione e la stimolazione magnetica cerebrale sono un approccio sperimentale non ancora riconosciuto dal SSN che consentono di attivare una determinata area del cervello, attivandone i neuroni con corrente elettrica e/o campi magnetici, valutando immediatamente gli effetti. È pertanto possibile attivare l’attività di un’area che si vuole potenziare (ad esempio l’area motoria) o diminuire l’attività di un’area iperattiva. Le applicazioni al momento possibili riguardano la paralisi cerebrale infantile, il trauma cranico, il disturbo del movimento, l’autismo, l’epilessia, la dislessia, l’abuso di alcool, sostanze e anche di cibo. In prospettiva quindi anche l’obesità infantile potrà essere curata con tali metodiche. L’uso delle cellule staminali cerebrali per le terapie innovative e` stato approfondito dalla Commissione nel corso dell’audizione del professor Angelo Vescovi, associato di Biologia cellulare all’Universita` degli studi di Milano Bicocca e Direttore scientifico dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, che ha anticipato i risultati in via di pubblicazione su tutti i 18 pazienti malati di SLA che hanno ricevuto un trapianto di cellule staminali all’interno di una sperimentazione iniziata tre anni fa: «la sperimentazione di fase I si è conclusa con successo e non sono stati rilevati danni collaterali significativi». La fase II della sperimentazione partirà a fine 2017 mentre sono state concesse le autorizzazioni per partire con una sperimentazione di fase I su malati di sclerosi multipla. Vescovi ha anche affermato che, sviluppando la scoperta iniziale del Nobel Yamanaka, nel giro di quattro anni al massimo sarà possibile ottenere staminali cerebrali partendo da cellule epiteliali umane, senza dover utilizzare staminali fetali: «il processo di riproduzione della cellule staminali avverrà in forma autologa, tanto che è in fase di creazione una banca ad hoc».

Diverse le associazioni e le relatà non profit audite – fra cui Fondazione Ariel, Aias, Fondazione Don Gnocchi, Fondazione TOG – che hanno sottolineato alcune criticità. In sintesi, un primo aspetto è la carenza di dati, non omogenei e non rilevati in modo costante e la mancanza di registri di malattia. La seconda è la carenza di risorse economiche a cui «in parte si potrebbe ovviare con le associazioni, che generalmente forniscono un servizio su base prevalentemente volontaria. Una migliore utilizzazione di questa risorsa garantirebbe una riduzione dei costi, non solo nell’assistenza ai ragazzi e alle loro famiglie, ma anche relativamente al problema della formazione di personale compentente». Un altro ambito in cui un intervento è necessario è la famiglia, «che ha bisogno di un sostegno globale nella gestione dei figli con disabilità, in un continuo rapporto di confronto e reciproco arricchimento con il personale specializzato nella cura e nella riabilitazione. Spesso però ci si scontra con la carenza di strutture che coprano l’intero percorso riabilitativo: passata la fase acuta il bambino torna a casa e al famiglia trova gravi difficoltà ad affrontare il seguito del percorso rieducativo e l’inserimento nelle varie realtà sociali».

Nelle conclusioni la Commissione denuncia «lo stato di sempre maggiore criticità delle risposte per bambini e adolescenti con disturbi neuropsichici e per le loro famiglie», si richiedono «trattamenti tempestivi e appropriati, preceduti da una diagnosi precoce, in grado di cambiare il decorso dei disturbi», si denuncia «una storica insufficienza di investimenti nel settore ed un loro uso spesso non basato su evidenze scientifiche aggiornate, nonché le enormi differenze tra i sistemi organizzativi regionali», e si richiede al Ministero della Salute e alle Regioni di «garantire adeguati investimenti di risorse e la condivisione di modelli organizzativi, la presenza omogenea in tutto il territorio nazionale di un sistema integrato di servizi di Neuropsichiatria infantile, sia in termini di professionalità che di strutture, territoriali ed ospedaliere». Fra le altre richieste segnalate nelle conclusioni c’è la necessità di introdurre un fisioterapista nelle terapie intensive neonatali e un’estensione delle terapie riabilitative previste in età pediatrica almeno fino ai 21/25 anni, dal momento che la gran parte delle disabilità dei minori sono di durata long life: l’offerta riabilitativa oggi – afferma la commissione Infanzia – è «carente sia in termini qualitativi che quantitativi», nonché estremamente disomogenea sul territorio nazionale, «un problema questo che non può più essere ignorato».

Le ultissime parole delle 92 pagine del documento sono queste: «È evidente che per affrontare i problemi emersi nel corso dell’indagine, soprattutto per quanto riguarda la riabilitazione, è assolutamente necessario investire risorse adeguate. L’ideale sarebbe fare uno sforzo elevatissimo nei primi anni di vita, con quella che è stata opportunamente definita una sorta di “aggressione” riabilitativa a tutto campo: psicologica, motoria, nutrizionale e così via, perché proprio in questi primi anni il bambino è estremamente ricettivo. Negli anni successivi, l’impegno della mano pubblica potrebbe diminuire, se persone competenti, anche volontari, potessero aiutare a gestire questi bambini disabili sia a casa che a scuola».