Asor Rosa e… la scuola che non c’è!

Asor Rosa e… la scuola che non c’è!

di Maurizio Tiriticco

 

Alberto Asor Rosa, con un intervento su “la Repubblica” del 26 agosto, critica fortemente la possibilità di far uscire i nostri giovani dalle nostre “scuole medie superiori” a 18 anni di età invece che a 19, anche se, per ora, in via sperimentale. Però, avrebbe dovuto scrivere più correttamente “dal nostro Sistema nazionale di istruzione e formazione”, che è altra cosa rispetto alla “scuola”, una espressione oggi riduttiva. E sostiene che “nessuno può persuadere qualcuno che sia possibile studiare meglio la stessa mole di contenuti ed esperienze scientifico-disciplinari in un tempo più breve”.E ritiene che possano esserci almeno uno delle seguenti motivazioni: “1. La minore spesa di investimento; 2. Il più rapido avvio ai giovani al mondo de lavoro; 3. Il cosiddetto allineamento all’Europa”. Analizza i tre punti e, ovviamente, ne dimostra l’inconsistenza. Poi si chiede “a cosa serve la scuola media superiore”. Insiste, comunque, nel definire i nostri percorsi di istruzione secondaria di secondo grado come “scuola media superiore”, definizione che non si trova in nessun documento ministeriale né nella testa di chi oggi nella scuola ci studia e ci lavora.

E si chiede: “che cosa si può fare per innalzare il cosiddetto trend di addestramento e formazione che la scuola media superiore italiana trasmette ai suoi studenti”? Trend di addestramento? Mah! Una parola che da decenni non esiste più nel vocabolario di chi insegna e apprende, oggi, né nella casistica normativa relativa all’istruzione di primo e secondo grado, tantomeno nell’istruzione professionale!.

Mi sembra proprio che Asor Rosa pensi e descriva una scuola che non c’è, se non nei suoi ricordi e/o nella sua immaginazione.

Poi ci ricorda che “una buona scuola è fatta di insegnanti ben preparati e consapevoli del ruolo fondamentale che svolgono e di buoni programmi”. E sottolinea che “un programma scolastico, vuoi di matematica, vuoi di italiano, vuoi di scienze, vuoi di filosofia, è la ricaduta operativa di un’alta informazione e al tempo stesso di un’attenta rispondenza ai bisogni della società in mutamento, oggi più validi e sostanziali che in altre stagioni”. Insiste, così, sulla parola “programma”, che da molti anni, invece, nella nostra scuola non esiste più! Occorre ricordare ad Alberto Asor Rosa che i programmi ministeriali sono quelli della scuola che “lui” ha frequentato, ma che nella scuola di oggi non esistono più, e da tempo! Gli ricordo che da anni ormai i nostri insegnanti progettano e programmano il loro lavoro – sono verbi operativi che Asor Rosa sembra non conoscere – ma non si ispirano più a “programmi ministeriali”, predefiniti, redatti centralmente e validi per tutte le scuole del Regno… pardon, della Repubblica, ma a documenti ministeriali che Asor Rosa sembra non conoscere!

Si tratta delle:

a) “Indicazioni nazionali”, che riguardano il Primo ciclo di istruzione, che comprende in piena continuità l’istruzione primaria e quella secondaria di primo grado: dpr 89/2009;

b) “Indicazioni Nazionali”, che riguardano i sei Licei (artistico; classico; linguistico; musicale e coreutico; scientifico; delle scienze umane), distinte per ciascuno di essi: dpr 89/2010;

c) “Linee guida”, che riguardano i percorsi dell’Istruzione Professionale: dpr 87/2010;

d) “Linee guida”, che riguardano i percorsi dell’Istruzione Tecnica (dpr 88/2010).

Si tratta di documenti corposi e dettagliati che Asor Rosa non cita perché, forse – ma non vorrei essere cattivo – non conosce. Lamenta che “i centoventi anni che ormai ci separano dall’inizio del secolo che convenzionalmente definiamo Novecento non sono ancora entrati a pieno titolo – anzi spesso non sono entrati per niente – nei programmi scolastici di cui stiamo parlando”! Ed è ovvio che non vi siano entrati! Perché i programmi scolastici, molto semplicemente, NON ESISTONO!!! E poi la perla finale! “Invece di diminuire la scuola di un anno, si tratta di far entrare un secolo di più nei programmi”. Ne consegue che dovremmo aumentare di un anno la nostra scuola di secondo grado? Assolutamente no, perché la questione, in effetti, è un’altra! Non riguarda il quantum dei contenuti, ma il come organizzarli in processi di insegnamento/apprendimento. Asor Rosa ricorderà certamente la proposta di una “Didattica Breve”, avanzata nel lontano 1993 dall’ingegnere Filippo Ciampolini. In altri termini, il problema non è aumentare i tempi della scuola in ordine allo sviluppo della ricerca, ma organizzarli come tempi di apprendimento secondo il nesso che corre tra obiettivi di apprendimento, appunto, e corrispondenti contenuti! Quel nesso che poi, oggi, si propone per gli studenti come acquisizione non solo di conoscenze, ma anche di capacità/abilità ed infine di competenze!

E poi il pistolotto finale: “I professori, per affrontare questo allargamento e questa ‘modernizzazione’ dei programmi, dovrebbero studiare un po’, ma ne varrebbe la pena. Non esistevano una volta i benemeriti corsi di aggiornamento? Sì, ma costavano troppo”. Ma perché Asor Rosa non “si modernizza”? Non sa che l’aggiornamento – che, tra l’altro, non si chiama più così, ma “formazione continua in servizio”, FORMIS, è obbligatorio per tutti gli insegnanti? Si tratta di un adempimento previsto dal comma 124 dell’articolo 1 della legge 107/205. Per quanto riguarda il dettaglio, va precisato che attualmente tale formazione è normata dall’articolo 66 del vigente Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro relativo alla scuola e che le decisioni in materia spettano al Collegio dei Docenti. In effetti, non c’è docente, oggi – o meglio, non c’è nessun lavoratore – che non sappia che lo sviluppo di conoscenze e competenze si fa sempre più veloce e che “non aggiornarsi” significherebbe soltanto essere di fatto espulso dal mondo del lavoro.

La scuola, oggi, non è più un insieme di edifici separati dal territorio e dal sociale, in cui si insegna e si apprende secondo programmi dettati dall’alto, ma un sistema – lo dice la norma – che deve rispondere con criteri e modi sempre nuovi ad esigenze altrettanto sempre nuove imposte dallo sviluppo della ricerca, del lavoro e della società: una istituzione in cui insegnanti e alunni costruiscono saperi! E in tale ottica i “cento anni di libri in più” suggeriti da Stefano Bartezzaghi sono assolutamente necessari… perché i nostri studenti possano/debbano scriverne altri loro stessi! Perché nel sapere c’è il fare!

Insomma, la nostra scuola non è “nelle mani dei barbari”! Il che non significa che non vi siano mille problemi! Certamente non è la scuola che abbiamo frequentato noi (la sua maturità è del 1951; la mia è del 1945)! E poi chi gli ha detto che Tabucchi e Del Giudice non vengano letti nelle nostre aule? Solo perché non sono prescritti da programmi ministeriali che, giustamente e fortunatamente non esistono più? Entri nelle nostre aule dove senz’altro non troverà “cose” dei suoi e dei miei tempi, ma cose senz’altro interessanti! E cose barbare, comunque, le troverà! Sono le Odi di un certo Carducci!