Lo Spazio/Tempo nell’Insegnare/Apprendere

Lo Spazio/Tempo nell’Insegnare/Apprendere

 

di Maurizio Tiriticco

Ulrich Beck ed Elisabeth Beck-Gernsheim hanno scritto qualche anno fa un interessante libro intitolato “L’amore a distanza, il caos globale degli affetti” (Collana I Robinson, della Laterza), in cui si analizzano le modifiche che la globalizzazione sta producendo sulla famiglia e sulle relazioni interpersonali. E’ un fatto che il progressivo ampliamento dei mezzi e dei processi di comunicazione fisici (i trasporti e le conseguenti nuove migrazioni) e simbolici (la tv, il web, i cellulari, ecc.) ha comportato e comporterà ancora profonde modifiche nel nostro stesso modo di “sentire” e “interpretare” lo spazio e il tempo e, quindi, di vivere. Mi spiego meglio: esistono ormai criteri universali per definire spazio e tempo (le unità di misura, il metro e l’orologio) e tutti concordiamo sul fatto che la distanza tra Roma e Milano è tot chilometri e che la frecciarossa parte alle ore tot e arriva alle ore tot. Tutti i nostri spostamenti in spazi definiti sono scanditi dal calcolo dei tempi. E guai a noi se non condividessimo queste grandezze secondo precise unità di misura comuni. Con buona pace nel nostro Einstein che con lo spazio/tempo ci è andato a nozze e ci ha messo tutti in crisi! Comunque, sopravviviamo!

Possiamo dire che un conto è il calcolo, che consideriamo oggettivo, delle spazio e del tempo; e che altro conto, invece, è la percezione soggettiva che ciascuno di noi ha di queste due grandezze. In altri termini, possiamo dire che esistono anche un metro biologico e un orologio biologico. E’ notorio che il tempo corre veloce, se siamo “felici”; non passa mai se, invece, siamo in sofferenza!

Una persona, un gruppo umano sono sempre collocabili ed individuabili in una situazione in cui si incrociano le coordinate dello spazio e del tempo. Assumiamo per convenzione che l’asse dello spazio sia orizzontale e quella del tempoverticale. Lungo il primo asse si estendono, a destra e a sinistra, l’al di qua e l’al di là; lungo il secondo asse, al di sotto dell’incrocio, il passato, la memoria la storia, al di sopra, invece, l’attesa, la speranza, il progetto.

Un piccolo gruppo di un tempo molto lontano viveva chiuso, ristretto, separato da altri gruppi che si ignoravano vicendevolmente. Oggi, invece, il piccolo gruppo, grazie allo sviluppo della rete della comunicazione, quella fisica (la facilità degli spostamenti) e quella simbolica (l’evoluzione dei media elettronici), è più aperto e può interagire, anche se nei modi più diversi, con gli altri gruppi.

Dal punto di vista della fruizione dello spazio/tempo (la slash, invece del trattino, ne sottolinea la contiguità), il piccolo gruppo del passato traeva maggiore alimento culturale dall’asse del tempo che da quello dello spazio. Le informazioni, appunto, viaggiavano sull’asse temporale, sul quale si trasmettevano conoscenze, tecniche, costumi, valori, attraverso la saggezza degli anziani, le tradizioni orali, le religioni, i miti, le leggende, i racconti della nonna e così via. E dall’asse temporale il gruppo traeva soprattutto la forza per la sua identità e la sua sopravvivenza. Il gruppo di oggi, invece, fruisce delle informazioni soprattutto sull’asse spaziale, veicolate dai media e da tutte le diavolerie elettroniche. Ne consegue che il gruppo di ieri era “schiacciato” – se si può dir così – sull’asse temporale, mentre quello di oggi è “schiacciato” sull’asse spaziale.

Questa diversità tra il gruppo di ieri e il gruppo di oggi comporta serie ricadute e implicazioni sul piano culturale. Cerco di indicarle sommariamente:

– nel gruppo del passato dominano le seguenti caratteristiche: l’autorità della tradizione; l’accettazione di una organizzazione oligarchica e gerarchica all’interno del gruppo; l’unicità o, per lo meno, un’ampia omogeneità dei valori; l’utilizzazione delle conoscenze e delle tecniche ai fini della sopravvivenza del gruppo; la chiusura del gruppo in se stesso, da cui la conflittualità tra un gruppo e un altro, considerato diverso, se non ostile (sottolineo come nella lingua latina esista una contiguità tra hospes e hostis);

– nel gruppo del presente dominano le seguenti caratteristiche: la dissolvenza della tradizione e l’autorità delle mode; l’accettazione del principio dell’eguaglianza, che nella dottrina politica comporta i rapporti paritari e democratici; la pluralità, ma anche la disomogeneità dei valori; l’utilizzazione delle conoscenze e delle tecniche che potremmo definire “gratuite”, che comportano il consumismo e l’alienazione; la conflittualità, presente anche all’interno del gruppo, piccolo o grande che sia.

Tutto ciò implica profonde differenze anche nel campo dell’educazione. I piccoli gruppi di apprendimento del presente sono esposti a sollecitazioni che quelli del passato non conoscevano. Il solo “tenere i ragazzi in aula”, come si suol dire, è spesso già un’impresa assolutamente problematica!

Educare un tempo era relativamente più facile. Non vi erano molte scelte, non vi erano termini di paragone, e l’insegnare coincideva spesso con l’accompagnare il nuovo nato nella integrazione all’interno della società esistente, sollecitandolo a una rapida condivisione delle tecniche di lavoro e dei valori. Oggi il pluralismo del lavori, arricchiti e costantemente implementati dall’evoluzione tecnologica, delle opzioni e dei valori, dall’esposizione indifferenziata ad una messe indiscriminata di informazioni, non facilita il compito dell’educatore. Viviamo in una eterogeneità di fattori che inducono alla incertezza. Ed educare al controllo ed al governo della incertezza non è davvero compito agevole.

Se questo è il complesso contesto in cui si colloca la scuola nelle società ad alto sviluppo, in primo luogo occorre avviare una riflessione su quali sono le funzioni, oggi, della scuola in una società di questo tipo. Dopo le considerazioni che abbiamo condotte nei punti precedenti, emerge che oggi – ed ancor più domani – la scuola, intesa soprattutto come sistema, o sottosistema del sociale, debba soprattutto promuovere intelligenze, sollecitare conoscenze e capacità, produrre abilità e competenze.

E’ una affermazione che va avanzata con forza in quanto in genere alla scuola è sempre stato assegnato un ruolo subalterno rispetto ad altri ruoli che altre organizzazioni hanno all’interno di un assetto sociale. Basti ricordare gli studi, anche se datati, di un Althusser o di un Bourdieux e Passeron. In altre parole, il compito che era assegnato alla scuola in una società “povera” (le virgolette stanno a significare che non si tratta tanto di una povertà economica quanto di una semplicità di organizzazione sociale e lavorativa) era quello di formare da un lato l’élite del gruppo dirigente, dall’altro quei quadri tecnici intermedi che in parte dovevano ricoprire ruoli amministrativi e impiegatizi, in parte dovevano attendere alle mansioni esecutive di un emergente apparato industriale. Così, solo pochi erano i veri destinatari dell’insegnamento scolastico, in quanto la gran parte dei soggetti in età scolare avrebbe atteso a lavori manuali esecutivi che non richiedevano alcuna preparazione di base e nemmeno quella del leggere, dello scrivere e del far di conto.

Oggi, quel ruolo subalterno è saltato, però dobbiamo dire che la primazia dell’educazione, dell’istruzione e della formazione, rivolta per altro a tutti e per tutta la vita, non è a tutt’oggi un fattore totalmente condiviso e vincente! Ed un Sistema Scolastico, perché di Sistema si tratta in tutti i Paesi ad alto sviluppo – in bilico tra una passato ormai inesistente e un avvenire insicuro – di questa incertezza strutturale soffre, e non solo nel nostro Paese. E i nostri tre percorsi secondari superiori, liceali, tecnici e professionali, sono più ancorati al passato che proiettati verso l’avvenire.