Prevenzione sociale del disagio giovanile

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Prevenzione sociale del disagio giovanile: lotta alle discriminazioni in ambito scolastico

di Mariacristina Grazioli

La consapevolezza che gli Istituti scolastici siano il baluardo dei diritti costituzionali e, per certi versi, gli argini delle derive sociali – peraltro molto ben visibili nei fatti di cronaca quotidiana – rappresenta un fatto finalmente percepito dalle comunità civili. Il ruolo attivo della scuola nel Territorio di appartenenza è il principale spazio di difesa dei diritti, di estensione delle libertà e un incentivo chiaro alla responsabilizzazione dei singoli e dei gruppi, nel difficile esercizio quotidiano dei diritti e dei doveri.

Le azioni scolastiche si intrecciano quotidianamente con le politiche territoriali; non a caso i docenti devono -con sempre maggiore forza professionale- sapere affrontare fenomeni diffusi di espressione del disagio giovanile che, ad esempio, possono sfociare in veri e propri episodi di bullismo e di violenza. C’è insomma una chiamata collettiva della comunità scolastica alla nuova sfida sociale e ciò impegna l’aula e l’intera organizzazione professionale ad una sempre maggiore consapevolezza professionale nell’area delle strategie di prevenzione e nei piani di intervento anti bullismo.

Scuola e territorio dovrebbero potersi muovere in un’ottica di rete e di scambio di competenze: un approccio sistemico che sappia fare tesoro delle esperienze consolidate di comunità, di organizzazione scolastica, di classe, senza escludere il contributo delle famiglie come anche le risorse individuali dei singoli. Quando oggi si guarda al disagio sociale giovanile non si può fare a meno di cogliere un’area estesa carattere oramai emergenziale. Le urgenze quotidiane dunque divengono strutturali e le scuole devono attingere dal contesto sociale di riferimento le risorse per promuovere dei veri e propri piani di azione, nell’ottica dello sviluppo di un sistema educativo proattivo, che guardi alla costruzione di una comunità educativa ed educante. A scuola si gettano le basi di un’esperienza che diventa vera testimonianza di “assunzione di responsabilità delle esigenze e dei bisogni dell’altro”.

Lo spettro del disagio giovanile e la solitudine scolastica

Si parla di Reti e Comunità, ma esistono davvero? Ora come ora, no. Si tratta di Atti , Patti, Convenzioni-  quando non di Progetti, Accordi e Tavoli- ma la rete di comunità è soprattutto una pratica e non un solo “dichiarato”. Va detto chiaramente che proprio l’aula è il luogo dove il disagio esplode maggiormente e pertanto l’urgenza dell’intervento è strettamente scolastica; tranne poi accorgersi che fuori dall’aula quello stesso disagio – non controllato, monitorato, riletto e ricondotto – prende forme di devianza e di delinquenza che fanno gridare più spesso allo scandalo, ma non muovono la società nel suo complesso ad una presa di coscienza e consapevolezza.

La scuola dunque è sola. Le Istituzioni si muovono se sollecitate, le Comunità agiscono se attivate, la Società nel suo complesso demanda all’aula scolastica il tema del disagio giovanile, attendendosi soluzioni. Ma non si possono trovare soluzioni in un’aula se il problema coinvolge aree ben più ampie. Le scuole perciò, per loro vocazione e per volontà radicata da una sapiente storia di alta pedagogia, si attivano, si attrezzano, promuovono, operano, sollecitano, sviluppano, ma – diciamolo chiaro – arrancano.

Il Ministero, nell’impostare azioni a promozione del “Welfare dello Studente” inteso come modello di azione volto a promuovere stili di vita corretti, un’educazione alla salute e all’alimentazione sana, ha per certi versi la necessità di agire per prevenire il disagio e fenomeni di bullismo e cyberbullismo. I fenomeni sono assorbiti dal comune sentire che “bisogna fare qualcosa” e pertanto l’Istituzione sviluppa parte dei contenuti del Welfare dello Studente, anche nel Programma Nazionale “La Scuola al Centro”. Si tratta di un modello di intervento per prevenire la dispersione scolastica teso ad incentivare la coesione sociale e che vuole intervenire su più fronti per il recupero del territorio (interventi su ambienti per l’apprendimento, per l’integrazione dell’offerta formativa), la riqualificazione delle periferie e per contrastare la povertà sociale, intesa anche come povertà educativa. Il piano si rivolge ad una platea eterogenea composta dagli alunni della scuola stessa, dai loro genitori, dalla popolazione giovanile ed adulta del territorio. Non vi è dubbio però che la solitudine delle scuola trasformata in risorsa propulsiva e rivitalizzata di una comunità, sfida il desiderio di delega delle famiglie e la tendenza ad agire sul problema (sintomo) e non sulla causa con un efficace sistema di prevenzione operato dal sistema politico-istituzionale.

Insomma c’è qualcosa che non va. Non può essere la scuola di frontiera – nella sua urgenza e nella sua solitudine – a farsi carico della comunità di pratiche: lo sforzo è troppo ampio e rischia di spezzare la sua stessa organizzazione. Organizzazione che si frantuma e parcellizza tra chi si straccia le vesti contro l’idea di “scuola a matrice sociale” e chi invece perde di vista la mission degli istituti scolastici come articolazioni funzionali del sistema di Istruzione e di educazione.

 

I Docenti come attivatori di coesione sociale

Con i molteplici piani ministeriali, la scuola “al centro” si riappropria del ruolo di centro di promozione culturale relazionale e di cittadinanza attiva nella società civile in cui opera, favorendo rientri scolastici e creando occasioni sistematiche di formazione, in grado di elevare il livello culturale e di benessere generale del territorio e di offrire opportunità di accesso e di mobilità lavorativa. Si tratta di un vero collettore innovativo di pratiche “felici”: non un caso infatti che il programma Miur e Pon abbia l’ambizioso traguardo di creare “energia e partecipazione” combattendo “l’infelicità”1). Il docente diventa dunque un attivatore sociale capace di confrontarsi con la necessità di utilizzare metodi e modelli in grado di orientare l’azione educativa per fornire agli studenti strumenti per la lettura critica della realtà in cui vivono. Ma quanti docenti si sentono calati in questo ruolo, piuttosto che nel proprio di “funzione docente” squisitamente ancorata alla disciplina e alla sua trasmissione?

Nel Piano per la Formazione dei docenti è chiara la linea tracciata. La formazione degli insegnanti potrà anche ricorrere, attraverso la presentazione di progetti anche di portata nazionale, alle risorse del Fondo per la povertà educativa minorile, che punta a riconoscere e a risolvere stati di marginalità. Si tratta di un apposito strumento per il contrasto della povertà educativa minorile – inserito nella Legge di stabilità 2016 (legge 208 del 28/12/2015, art. 1 comma 392-395) – che prevede la messa a disposizione di risorse sull’intero territorio nazionale per contribuire alla lotta di diverse forme di povertà educative dei minori italiani, fenomeno che interessa in dimensioni crescenti aree estese del nostro Paese. Nel quotidiano il docente “attivatore” avrà l’ardito compito di verificare il legame tra la progettazione didattica curriculare con le potenzialità delle iniziative che coinvolgono alunni e studenti anche in orario extrascolastico. La funzione di “attivazione” si compie perciò attingendo le risorse da parte di vari soggetti del territorio in un’ottica di offerte educative proposte da comunità educanti a cui la scuola potrà partecipare attivamente insieme a soggetti del terzo settore, associazioni di famiglie, associazioni culturali.

Contro ogni forma di discriminazione: le azioni concrete di contrasto

Nel quotidiano le scuole sanno che la lotta al disagio giovanile passa obbligatoriamente attraverso le più ampie forme di prevenzione. Sono in prevalenza azioni sinergiche che tutti gli istituti – anche quelli non di frontiera – attuano progressivamente. L’educazione al rispetto dell’altro e il riconoscimento dei valori della diversità come risorsa e non come fonte di disuguaglianza rappresentano il fulcro della lotta alle discriminazioni. Ai sensi della nuova legge del giugno del 2017 gli istituti tendono a sviluppare le azioni di antidiscriminazione sotto la più ampia categorizzazione della prevenzione del bullismo e, in particolare, del cyberbullismo. Il sistema di istruzione non rinuncia alla sua identità , ricercando forme di potenziamento delle competenze di base e delle “life skills”, anche attraverso modelli didattici innovativi che consentono dinamiche collaborative e la differenziazione dei percorsi. La sfida educativa è al centro del progetto scolastico. In tal senso la gestione della classe e l’implementazione di nuovi scenari organizzativi, con particolare riguardo al ruolo delle figure specialistiche di supporto e al ruolo di altri soggetti del territorio appartenenti alla comunità educante, consente la progettazione di interventi per il recupero del disagio atti a prevenire fenomeni di violenza in tutti i contesti, non escluso quello scolastico.

Altre azioni specifiche dell’attività sono quelle collegate alla capacità di ogni scuola di realizzare elevati standard di qualità per il benessere degli studenti e il recupero del disagio sociale anche attraverso la formazione di figure di referenti, coordinatori, tutor per il welfare dello studente e per la lotta al disagio sociale/bullismo. Con queste premesse il ruolo del docente ne esce rafforzato: diventa una guida e accompagnatore nei momenti di difficoltà, di scelta e di decisione dello studente. Le famiglie non vanno abbandonate ma prese in carico. Le scuole sanno attivare percorsi di coinvolgimento degli adulti di riferimento in attività integrative da realizzare in orario scolastico ed extra-scolastico, anche attraverso iniziative socializzanti per sviluppare il senso di appartenenza alla scuola e l’interazione tra i ruoli docente parentale.

I progetti finanziati potranno avvalersi della collaborazione di figure di supporto (mediatori, assistenti per la comunicazione, educatori, personale di collaborazione) per migliorare le capacità di progettazione integrata per sviluppare il collegamento tra scuola e altri soggetti del territorio coinvolti nel percorso educativo degli studenti, in collaborazione con il terzo settore, le istituzioni locali e socio-sanitarie. Le azioni significative da mettere in campo sono tese a sostenere l’incontro tra didattica formale e metodologie di insegnamento informali, anche attraverso modelli di peer education. Naturalmente il passaggio obbligato è quello di dotare gli istituto di Referenti che a livello si singola scuola o con reti operino per il coordinamento delle azioni di promozione del welfare dello studente, di prevenzione del bullismo e della violenza e per il recupero del disagio sociale.

Quali progetti educativi mettere i campo?

Dal punto di vista educativo sono utili i progetti che sappiano creare le condizioni perché i soggetti in apprendimento siano valorizzati nella loro autodeterminazione, attraverso la libera espressione della singolarità. Le strategie utili a questi scopi sono quelle più vicine all’area motivazionale e psico-relazionale la cui finalizzazione è la creazione di campi aperti di argomenti utili ed interessanti, anche con personalizzazioni del curricolo atte a dare significato alle aspettative dei giovani. L’attenzione va inoltre spostata dai setting di valutazione degli apprendimenti a quelli dove sono valorizzate le competenze individuali e di gruppo, e dove la rilevazione dell’errore ha un impatto positivo e non solo di misurazione negativa.

Non da ultimo la scuola deve sapere costruire visioni ampie che mettono al centro gli elementi di valore per il contrasto al disagio in generale e non solo giovanile; sono infatti gli interessi materiali della società odierna ad assumente un focus prioritario.
Se dunque i progetti di contrasto al disagio risalgono alla fonte degli elementi di garanzia di coesione sociale (occupazione, casa, reddito, salute, problemi educativi e valoriali, sicurezza sociale, reti di scambio attive e partecipate) potremo avere un flusso progettuale che tenderà ai risultati sul lungo periodo nell’ottica del consolidamento del senso di identità e di appartenenza alla collettività.

Naturalmente nulla è semplice, tanto più che spesso la scuola è lasciata sola, ma la scommessa educativa è inevitabilmente da raccogliere. La coesione sociale è dunque il cuore delle politiche socio-educative e rappresenta in un prossimo futuro lo scenario di azione dell’intero sistema di istruzione ed educazione. La sintesi del lavoro quotidiano che la scuola sta già facendo rappresenta l’applicazione concreta del principio di uguaglianza sostanziale dell’art 3 delle nostra carta costituzionale. Non è un caso se proprio nelle aule scolastiche si gioca la partita più importante: creare le condizione educative per indurre comportamenti di solidarietà tra gli individui e di affinità tesi ad attenuare il senso di disparità per origini o per situazioni socio-economiche di deprivazione.

  1. Programma di presentazione Scuole al Centro PON Miur Comunicato stampa 2016 ( sito Miur)