Come gestire i comportamenti problematici degli alunni

da La Stampa

Come gestire i comportamenti problematici degli alunni

 rosalba miceli

Chiunque svolga, a vario titolo, il ruolo di educatore sa bene che sgridare abitualmente i bambini o apostrofarli in modo svalutativo li porta a sviluppare sentimenti di insicurezza, di risentimento e, inevitabilmente, in un corto circuito, a ripetere quegli stessi comportamenti che vengono criticati dall’adulto. Ma c’è di più: i risultati di una recente ricerca, condotta dall’Università di Pittsburgh in dieci scuole medie nell’arco di due anni, indicano che sgridare i bambini anche solo per scopi disciplinari equivale per certi versi a picchiarli, ovvero gli abusi verbali possono avere effetti deleteri al pari di quelli fisici.

La professione dell’insegnante, per il costante impegno che richiede nell’ambito relazionale, è tra quelle a maggior rischio di stress. Succede di frequente che in una qualsiasi classe della scuola dell’obbligo vi siano alcuni alunni che manifestino con una certa frequenza comportamenti oppositivi, disturbanti, esplosioni di aggressività, disobbedienza, scarsa motivazione. Ma anche alunni che, in un primo momento, non presentano particolari problemi possono iniziare a manifestarne alcuni in seguito all’esposizione ad un clima di classe sfavorevole, in una sorta di contagio collettivo che coinvolge anche l’insegnante.

Quale comunicazione è dunque più efficace, soprattutto in presenza di comportamenti problema degli alunni? Talora, nel caso di comportamenti inappropriati non particolarmente gravi, ignorare il comportamento problematico dell’alunno e rivolgere l’attenzione ai comportamenti positivi e pertinenti degli altri può essere una strategia vincente nel breve periodo, ad esempio, nell’arco di alcuni minuti o qualche ora.

Se il comportamento persiste o è frequente, non lo si può ignorare indefinitamente. Anche i ragazzi difficili, con difficoltà a controllare i propri comportamenti, hanno un bisogno vitale di sentirsi riconosciuti e apprezzati. In questi casi si può adottare una strategia più utile nel lungo periodo, prestando maggiore attenzione ai comportamenti appropriati dell’alunno problematico (per quanto frammentari e occasionali possano essere) fornendo un incoraggiamento positivo, riducendo al contempo all’essenziale i rimproveri.

«Con certi alunni particolarmente difficili sussiste il pericolo di abituarsi a prestar loro attenzione solo per rimproverarli, senza notarli nei rari momenti in cui sono tranquilli o attenti. Ciò è sbagliato per almeno tre motivi. Innanzi tutto, così facendo si “inquina” la relazione con l’alunno, in quanto gran parte della comunicazione tra lui e l’insegnante verterà su rimproveri o commenti negativi. In secondo luogo, si perde l’occasione di incrementare quel poco di positivo che c’è nel comportamento dell’alunno, omettendo di rinforzarlo adeguatamente con opportuni incoraggiamenti. Infine, non si tiene conto del fatto che per taluni alunni problematici il rimprovero può essere un rinforzo, in quanto è una conferma che sono riusciti ad infastidire l’insegnante, proprio come volevano! Quindi il rimprovero finisce per peggiorare la situazione, incrementando, col suo valore di rinforzo, i comportamenti indesiderabili», commentano Mario Di Pietro e Lorenzo Rampazzo, nel testo “Lo Stress dell’Insegnante. Strategie di gestione attiva”, Edizioni Erickson, 1997.

Gli autori riportano alcuni esempi di incoraggiamento positivo: «Vedo che sei riuscito», «Hai fatto proprio un buon lavoro», «Hai cercato di impegnarti», «Sei rimasto al tuo posto per tutta la lezione, così va molto bene». In ogni caso anche il semplice rivolgere lo sguardo verso l’alunno e interagire brevemente con lui nei momenti in cui il suo comportamento è adeguato, ad esempio, con un sorriso, rappresenta già una forma di incoraggiamento positivo e gratificante (secondo l’analisi transazionale è una carezza positiva).

In occasione del Convegno Erickson “La qualità dell’inclusione scolastica e sociale”, in programma dal 3 al 5 novembre a Rimini, il Centro Studi Erickson intende approndire il tema della relazione tra docente e alunno con comportamenti problematici, nell’ottica di una autentica inclusione. Alla gestione dei comportamenti problema in aula sarà dedicato un Q Talk (sabato 4 novembre, dalle 17:00 alle19:00), guidato da Fabio Celi, psicologo e docente di psicopatologia dello sviluppo all’Università di Parma e Pisa.

Tra le varie strategie utili a contenere e risolvere le situazioni a rischio «Ne cito solo una, apparentemente la più fredda e la meno significativa: l’osservazione sistematica – spiega Fabio Celi -. Passare da una osservazione generica, etichettante e giudicante (come “Matteo è aggressivo”) a una operazionale, chiara e quantificata (come “Matteo durante questa settimana ha aggredito verbalmente i compagni 12 volte”) permette di valutare e in qualche modo tenere sotto controllo il significato e il valore di quello che si sta cercando di fare per l’allievo». Col tempo, lavorando con l’incoraggiamento positivo, si può osservare una riduzione seppur minima dei comportamenti poco adeguati al contesto di classe (ad esempio, da 12 a 9). «Quando questo accade, la percezione dell’insegnante cambia, aumenta il suo senso di autoefficacia e probabilmente anche la sua relazione con quell’allievo», conclude Celi.

Informazioni sul Convegno Erickson su http://formazione.erickson.it/convegni/