M. De Giovanni, Le solitudini dell’anima

L’altra vita del De Giovanni

di Antonio Stanca

Il napoletano Maurizio De Giovanni è uno scrittore di romanzi gialli. Ha cinquantanove anni, è nato e vive a Napoli e dal 2005, quando iniziò con un racconto scritto per un concorso indetto da Porsche Italia, non ha smesso di scrivere. Il genere è sempre stato quello del romanzo giallo, la prima serie quella che ha avuto come protagonista il commissario Ricciardi, la seconda quella dell’ispettore Lojacono, dalla quale è stata tratta una fiction televisiva.

Anche racconti ha scritto De Giovanni e a volte li ha raccolti in antologie. Una delle più recenti è stata pubblicata l’anno scorso dalla casa editrice Rizzoli di Milano col titolo Le solitudini dell’anima.

Scrittore molto prolifico, il De Giovanni si è da tempo imposto all’attenzione di un pubblico non solo italiano poiché tradotto viene pure in inglese, francese, tedesco e spagnolo. Ad interessare è il suo modo di procedere che non trascura nessun particolare dell’ambiente, dei personaggi rappresentati, che permette di sapere, di conoscere tante situazioni insolite prima di arrivare alla scoperta, alla verità finale. Questo avviene nei romanzi dove più ampio è lo spazio a disposizione, più esteso il discorso, più lontana la verità da raggiungere mentre nei racconti l’autore è costretto ad arrivarci prima e dopo un percorso piuttosto breve. Efficace, tuttavia, risulta anche questa maniera poiché più attirato si sente il lettore dalla conoscenza di una verità che arriva rapidamente e più mosso a passare al racconto successivo per sapere di altre veloci rivelazioni.

Abile si mostra il De Giovanni in questo procedimento che usa pure nei racconti della recente antologia. In essi i tempi, i luoghi, gli ambienti, le persone, gli eventi cambiano ma ovunque accadano, chiunque li viva, sono eventi che fanno parte della vita quotidiana, sono fatti di vita anche se di quella vita che avviene ai margini, ai lati dell’altra generalmente conosciuta, di quella vita povera, guastata, rovinata dalla povertà, dal bisogno, dal vizio, da pensieri malsani, da azioni pericolose, dalla violenza, dalla crudeltà, dalla morte. E’ un mondo, è una realtà che la necessità ha fatto diversa, che procede accanto all’altra più nota ma che da questa rimane separata, che a differenza di questa è conosciuta solo da chi la vive nel silenzio, nel buio, nel segreto dei vicoli di una grande città, nella miseria, nello squallore di case decrepite. Qui è andato De Giovanni, in questi posti, tra l’altro pericolosi, si è inoltrato, alla scoperta ha proceduto di cosa si fa, di come si vive quando si è tanti, in casa e fuori, e tutto manca. Da qui ha ricavato questi racconti nei quali gravi sono sempre le vicende rappresentate. Queste, però, lo scrittore mostra come un aspetto naturale di quell’umanità che le vive, in essa trovano le loro ragioni anche se contrarie ad ogni logica, ad ogni regola. Succede così che l’offesa, l’inganno ed ogni altro elemento di una vita sregolata cessino di essere delle colpe, dei reati perché in quella vita hanno la loro spiegazione, la loro giustificazione. Normali diventano, pertanto, azioni quali il furto, la frode, la menzogna, il ricatto, il tradimento ed altre di genere cattivo o ancora peggiore.

E’ la situazione che il De Giovanni fa emergere dai racconti e a farlo riuscire bene è servita pure la sua origine napoletana, la sua vita trascorsa a Napoli a contatto diretto con quell’altra realtà.

Chiaro è, inoltre, lo scrittore nel linguaggio tanto da far sembrare che le sue siano delle illustrazioni se non sopravvenisse ogni volta una grave conclusione. Bene si muove tra la fase preparatoria e quella finale di una vicenda. Sembra di assistere ad una sequenza cinematografica dove più richiesti sono i colpi di scena.