Vecchie, senza manutenzione e prive di norme antisismiche: le scuole italiane a rischio crac

da Repubblica

Vecchie, senza manutenzione e prive di norme antisismiche: le scuole italiane a rischio crac

Il rapporto di Legambiente denuncia che sei edifici su dieci hanno più di 40 anni. Un plesso su due dei capoluoghi di provincia non ha certificato di idoneità statica. E su 9,5 miliardi di fondi ne sono stati spesi meno della metà.

di CLAUDIO CUCCIATTI

ROMA – “Ogni mattina parcheggio l’auto, guardo prima la mia scuola e poi il cielo. Supero l’ingresso sperando che questa routine si ripeta il giorno seguente, cercando di accantonare il ricordo della terra che trema”. Maria Marinangeli è preside del liceo ‘Mazzatinti’ di Gubbio e, insieme ad altri colleghi umbri, ha creato una rete composta da presidi, comuni e province che si impegna per l’adeguamento sismico degli edifici scolastici e ottenere le certificazioni richieste. Grazie alla loro attività sono stati ricevuti anche dalla commissione congiunta di Lavoro e Cultura del Senato, ma non basta: l’Umbria, divisa tra le zone 1 e 2 di rischio, le più pericolose, non è l’unica regione a doversi preoccupare per lo stato dei propri istituti.

Più di quattro scuole italiane su dieci, infatti, si trovano in zone del Paese dove possono verificarsi terremoti “fortissimi” o “forti”. L’86 per cento di queste, 13.054 su 15.055, non seguono le norme antisismiche. Il 43 per cento del totale degli istituti inseriti nelle prime due fasce di rischio (su quattro), dove ogni mattina si recano bambini, ragazzi e insegnanti, sono stati costruiti prima del 1976, anno dell’entrata in vigore della normativa. In zona 1 sono il 34,4% delle strutture totali (866 su 2.514).

Da ‘Ecosistema Scuola’, il diciottesimo rapporto di Legambiente sull’edilizia scolastica che sarà presentato domani a Roma, emerge come, a livello nazionale, sei edifici su dieci abbiano più di quarant’anni. I dati del rapporto riguardano l’85 per cento circa del patrimonio scolastico italiano, dato che soltanto 36mila strutture, a fronte delle oltre 42mila inserite nell’Anagrafe scolastica, sono presenti nella banca dati del Miur con informazioni relative all’anno scolastico 2015/16. “L’edificio scolastico – spiega Rossella Muroni, presidente di Legambiente – dovrebbe essere il racconto delle potenzialità di un Paese. Il futuro si costruisce in ambienti adeguati, per questo alla base di una “buona scuola” devono esserci, prima di tutto, sicurezza e qualità infrastrutturale ed energetica”. E lo studio vuol proprio essere uno stimolo ad andare in questa direzione: “Non vogliamo vedere più scuole lesionate e inagibili come quella di Casamicciola dopo il terremoto di Ischia di questa estate”.

Anche se Legambiente registra, dal 2012 al 2016, una lieve crescita nell’attenzione alla messa in sicurezza degli edifici, i dati restano comunque negativi: una scuola su due dei Comuni capoluogo di provincia non ha il certificato di idoneità statica, di collaudo statico, di agibilità o di prevenzione incendi. Tra le amministrazioni locali che hanno risposto al questionario di Legambiente, il 43,8 per cento chiede interventi di manutenzione urgente. Un dato in crescita rispetto all’anno precedente e che tocca il 56% al Sud e il 51 nelle isole. Le scuole di Bergamo, Bolzano, Cesena, Cosenza, Trento e Verbania vantano di avere tutte le certificazioni in regola. Como, Cremona, L’Aquila e Teramo sono le città che esprimono maggior preoccupazione per lo stato dei propri plessi scolastici. Agrigento, Forlì, Genova e Savona le paladine nella lotta all’amianto presente nei tetti dei vecchi edifici scolastici, con Firenze, Ragusa e Cremona che hanno fatto bonifiche significative per raggiungerle.

La mancata messa a punto dei criteri di sicurezza, secondo Ecosistema Scuola, è dovuta anche a un’inefficiente utilizzo dei fondi. Dei 9,5 miliardi di euro a disposizione dal 2014, ne sono stati spesi solo 4,1 per 12mila interventi. Di questi in tre anni solo 550 hanno riguardato l’adeguamento alle norme sismiche. Lo stesso numero degli istituti costruiti ex novo. L’83 per cento dei soldi investiti è finito invece sotto la voce di spesa “altri interventi”.