Ma i tredicenni vanno da soli “Non siamo più bambini”

da la Repubblica

Ma i tredicenni vanno da soli “Non siamo più bambini”

Davanti alle medie Gandino di Bologna mentre suona l’ultima campanella: oltre quattrocento alunni che si riversano fuori e appena cinque genitori ad aspettarli

Ilaria Venturi

Bologna «Cosa? Ma è una follia, un conto alle elementari, ma dai, siamo già alle medie». Giuliana e Francesca, 26 anni in due, siedono sul muretto del giardino accanto alla scuola, sono uscite all’una ed è una bella giornata. Fanno facce sbalordite alla sola idea che non potranno più fare il tragitto verso casa da sole, se la ridono, «non è vero, ma ci pensate la mia mamma che mi viene a prendere? Che vergogna con tutti i compagni. Questa cosa ci limiterebbe un sacco, non puoi mica stare lì a fare chiacchiere coi tuoi amici se ci sono i tuoi, non potremmo parlare delle nostre cose, tipo di gossip, innamoramenti e tradimenti, perché, sai, noi coi genitori parliamo in modo molto, ma molto diverso».

Le medie Gandino sono appena dentro le mura cittadine, un edificio a quattro piani alle spalle del palazzetto dello Sport, il tempio sacro del basket a Bologna. Alle due esce la maggior parte dei 450 alunni e il colpo d’occhio rende l’idea: quattro mamme e una nonna ad aspettare fuori dal cancello e l’orda di centinaia di felpe e jeans che al suono della campanella scatta fuori chiassosa. Pacche sulle spalle e via, con lo zaino pesantissimo, a casa. Da soli. Gli undicenni affrettano il passo, quelli di terza si attardano. «I nostri genitori lavorano, non possono venire a prenderci, è sbagliatissimo pretenderlo», ripetono mentre sciamano veloci. E la loro è una bocciatura netta all’accompagnamento scuola-casa. Matilda ne fa una questione di giustizia: «I grandi sono impegnati, non si può chiedere che vengano a prendere i figli, sarebbe davvero ingiusto». Si infiammano come sindacalisti a difesa dei loro genitori-lavoratori, si ribellano come i protagonisti della serie

Scuola media di James Patterson: corpi in crescita che ciondolano, parole a raffica. In una ventina si fermano a chiacchierare, qualcuno attende il rientro per le lezioni di recupero. Costanza, 13 anni, è risoluta: «Se esce una circolare sarà inutile, io non lo dirò nemmeno a mia mamma». Arriva Luigi in aiuto: «Se ce lo impongono non daremo retta, vado a casa da solo lo stesso». La compagna dodicenne concorda: «Siamo abbastanza grandi, sappiamo badare a noi stessi». Luca attenua, consapevole di essere in una età di mezzo: «Magari non saremo grandi per fare tutto, ma siamo capaci di tornare a casa». Ed «è offensivo essere trattati da piccoli », aggiungono i più col piglio da preadolescenti.

Leonardo, ultimo anno delle medie, cerca almeno un lato positivo: «Forse potrebbe risolvere il problema della microcriminalità: i più grandi che ti disturbano ». Si ferma, e ci ripensa: «Ma poi se esci al parco al pomeriggio il problema è uguale». Infatti, si sovrappongono più voci di ragazzine, «io vado agli allenamenti di pallavolo da sola. Che differenza c’è? La palestra è anche più lontana ». Basta attendere e salta fuori che «poi non è bello vedere la mamma o il papà che ti vengono a prendere». Anche se non per tutti è così, Silvia ammette: «Mi imbarazzerei». «Io abito qua dietro, a che serve essere accompagnata? » incalza Emilia. Vittoria prende l’autobus, «sono abituata così, cambiare sarebbe davvero strano». Lorenzo, 13 anni e mezzo, ci tiene a quel momento di incontro all’uscita: «Sarebbe finita con un genitore, perché certo non aspetterebbe me che sto qui a scherzare coi compagni».

In questa scuola all’avanguardia, finalista da anni alle Olimpiadi di problem solving, lavagne interattive e progetti di cittadinanza, la preside Teresa Pintori non ha emanato nessuna circolare restrittiva e nemmeno aveva intenzione di farlo. «Ma ora la ministra Fedeli ricordandoci la legge mi ha messo in difficoltà. Ero profondamente convinta di rispettare la normativa, interpretando la possibilità di lasciare maggiore autonomia verso gli 11 anni. Ora vedremo, ma per me farli andare a casa da soli è un compito di realtà: imparano a crescere, in accordo coi genitori, che da regolamento sanno che noi li accompagniamo all’uscita, e in una situazione di sicurezza perché l’ingresso dà su una strada quasi chiusa ». Sul lato opposto del cancello ci sono i gradoni del palasport. «Lì si possono sedere solo quelli di terza, è dalla prima che aspettiamo e ora che abbiamo 13 anni figurati se ci perdiamo questo momento da sole», spiegano le due più sveglie del gruppetto. Angelica, il velo in testa, genitori nigeriani e accento bolognese, calcola: «Tra quattro mesi e otto giorni avrò 14 anni, ma già ora prendo l’autobus, sono autonoma ». Felix, coi suoi jeans strappati e l’aria sicura di sé, taglia corto: «Andiamo da soli, ci mancherebbe ».