Minori a casa da soli. Il punto normativo e una possibile soluzione ponte. Quanto vale la “liberatoria”?

da Il Sole 24 Ore

Minori a casa da soli. Il punto normativo e una possibile soluzione ponte. Quanto vale la “liberatoria”?

di Nicola Da Settimo

La ministra Fedeli ha commentato in data 26 ottobre la recente pronuncia della Corte di Cassazione che ha riconosciuto la responsabilità del Miur per un sinistro accaduto ad un alunno di 11 anni. La ministra si è sostanzialmente schierata a fianco di quella frangia di dirigenti scolastici (al momento minoritaria) che pretende che le famiglie si rechino a prendere i figli anche all’uscita della scuola secondaria di primo grado, come sinora avveniva solo per la scuola primaria, sostenendo che «le scelte e le decisioni dei presidi, in materia di tutela dell’incolumità delle studentesse e degli studenti minori di 14 anni, sono conformi al quadro normativo attuale, come interpretato ed applicato dalla giurisprudenza».

Come è noto, la motivazione della Suprema Corte è la seguente: «Sussiste un obbligo di vigilanza in capo all’amministrazione scolastica con conseguente responsabilità ministeriale sulla base di quanto disposto all’articolo 3 lettere d) ed f) del regolamento di istituto. Le norme ora richiamate, infatti, rispettivamente pongono a carico del personale scolastico l’obbligo di far salire e scendere dai mezzi di trasporto davanti al portone della scuola gli alunni, compresi quelli delle scuole medie, e demandando al personale medesimo la vigilanza nel caso in cui i mezzi di trasporto ritardino…» (Cass. 21593/2017)”.
«Le leggi e le pronunce giurisprudenziali, come quella recentemente resa dalla Corte di Cassazione, vanno rispettate – ha spiegato la ministra – e se si vuole innovare l’ordinamento su questo tema occorre farlo in Parlamento, introducendo una norma di legge che, a certe condizioni, dia alle famiglie la possibilità di firmare liberatorie che sollevino da ogni responsabilità giuridica, anche penale, dirigenti e personale scolastico al termine dell’orario di lezione».

Ma è proprio indispensabile attendere la norma di legge annunciata dalla ministra, o i dirigenti scolastici possono subito tutelare se stessi e il personale scolastico, mantenendo allo stesso tempo aperto un rapporto di dialogo e collaborazione con le famiglie, in una scuola che si auto-definisce “inclusiva”?
Per capire il ragionamento applicato dai giudici occorre partire dal “leading case” costituito dalla sentenza della Corte di Cassazione 5424/86 secondo cui «il dovere di vigilanza, dell’istituto o di un suo incaricato che ha in affidamento il minore, si estende nel tempo dal momento in cui ha avuto inizio l’affidamento al momento in cui il minore è riconsegnato ai genitori o è lasciato in luogo dove, secondo normalità, non sussistono situazioni di pericolo finché il minore rientri nell’ambito della sorveglianza dei genitori. La vigilanza, diligente ed attenta, del minore (in relazione alla sua età ed al suo sviluppo fisico-psichico) da parte dell’istituto, o di un suo incaricato, deve proseguire finché ad essa si sostituisca la vigilanza, effettiva o potenziale, senza pericoli per il minore, dei genitori. Il modo di esercizio della potestà genitoria non è insindacabile da parte del terzo affidatario del minore quando questi venga a trovarsi in situazione di possibile pericolo se attuate le disposizioni impartite dai genitori, dalle quali il terzo affidatario deve, in tal caso, discostarsi, non potendo i genitori disporre dell’incolumità, eventualmente pregiudicabile, del figlio minore».

Anche la ministra ha citato una sentenza della Cassazione civile (3074/99) di analogo tenore, secondo cui l’istituto scolastico ha il dovere di provvedere alla sorveglianza delle allieve e degli allievi minorenni per tutto il tempo in cui le sono affidati e quindi fino al momento del subentro, almeno potenziale, della vigilanza dei genitori o di chi per loro.
Quindi, per i giudici, le modalità di subentro dei genitori nella vigilanza del minore può essere di due tipi: effettiva, oppure potenziale. In tale secondo caso, il minore può essere lasciato in luogo dove, secondo normalità, non sussistono situazioni di pericolo finché il minore rientri nell’ambito della sorveglianza dei genitori.

La riconsegna del minore ai genitori è sempre effettiva nella scuola primaria, è sempre potenziale nella scuola secondaria di secondo grado. Nella scuola secondaria di primo grado (scuola media), sinora ci si era attenuti al criterio della riconsegna potenziale, che la recente sentenza ha messo in crisi.

Il concetto di riconsegna potenziale del minore è stato ben delineato dalla sentenza Cassazione 3074/99, citata dalla ministra. In quel caso, il minore, che era stato fatto uscire con un’ora di anticipo dalla scuola per l’assenza dell’insegnante dell’ultima ora, era stato accoltellato da soggetti rimasti sconosciuti. La madre dello studente aveva sostenuto di non essere stata avvertita dell’uscita anticipata e di non avere conseguentemente potuto recarsi a prendere il figlio in auto, come faceva di solito, proprio a causa della situazione ambientale poco sicura in cui si trovava il quartiere ove era situata la scuola. Ecco che la Cassazione può argomentare che «l’evento non solo in astratto, secondo un giudizio di probabilità formulabile “ex ante”, ma anche in concreto non si sarebbe verificato se non fosse stato violato il dovere di vigilanza, in quanto, come accadeva tutti i giorni, il ragazzo alla fine delle lezioni sarebbe stato prelevato dalla madre che aveva manifestato appunto il timore che il figlio potesse essere aggredito fuori delle scuola». Ma la Corte non sostiene affatto che la riconsegna alla madre doveva essere effettiva, ma solo che il dovere di sorveglianza non può essere interrotto sino alla riconsegna, almeno potenziale, ai genitori. Il subentro potenziale dei genitori, pertanto, sta in questo: la scuola deve dare loro la possibilità, che è una facoltà, di recarsi a prendere il figlio. I genitori devono essere messi in grado di esercitare tale facoltà e quindi devono essere avvisati per tempo di eventuali uscite anticipate da scuola.

A sostegno della tesi della necessità di riconsegna effettiva alla famiglia fino a 14 anni si invoca il reato di abbandono i minori previsto dall’articolo 591 c.p., che si configura nei confronti di «chiunque abbandona una persona minore degli anni quattordici, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere cura».

L’elemento oggettivo del reato di abbandono di persone minori o incapaci è costituito da qualunque azione od omissione contrastante con il dovere giuridico di cura o di custodia, gravante sull’agente, da cui derivi uno stato di pericolo per l’incolumità della persona, incapace di provvedere a se stessa. Tuttavia, la giurisprudenza insegna che l’elemento soggettivo è costituito dalla coscienza di abbandonare la persona minore o incapace con la consapevolezza del pericolo inerente all’incolumità fisica della stessa con l’instaurarsi di una situazione di pericolo, sia pure potenziale.

Appare dunque assolutamente forzata l’interpretazione in base alla quale la liberatoria firmata dai genitori alla scuola fa scattare la coscienza e volontà di abbandonare il proprio figlio/l’alunno in una situazione di pericolo in cui egli non abbia la capacità di provvedere a se stesso, essendo al contrario l’unico intento della famiglia (e della scuola) quello di permettere la piena realizzazione della personalità del figlio attraverso la promozione di una maggiore autonomia d’azione all’interno di un contesto adeguato alla sua effettiva maturità.
La questione si va a saldare, pertanto, con la definizione della responsabilità della scuola (Cassazione 5424/869 sopra citata), che «si estende nel tempo dal momento in cui ha avuto inizio l’affidamento al momento in cui il minore è riconsegnato ai genitori o è lasciato in luogo dove, secondo normalità, non sussistono situazioni di pericolo finché il minore rientri nell’ambito della sorveglianza dei genitori».

Si tratta dunque di stabilire se lasciare uscire fuori dalla scuola in modo autonomo i ragazzi tra gli 11 e i 14 anni sia definibile «lasciarli in luogo dove, secondo normalità, non sussistono situazioni di pericolo finché il minore rientri nell’ambito della sorveglianza dei genitori».
Si tratta inoltre di stabilire se tale valutazione spetti alle famiglie o se la scuola, in quanto terzo affidatario del minore, debba discostarsi dalle disposizioni impartite dalla famiglia, quando questi venga a trovarsi in situazione di possibile pericolo se attuate le disposizioni impartite dai genitori.

Prima di rispondere a queste domande occorre precisare che sarebbe un errore far derivare dalla recente pronuncia di legittimità (21593/17) qualsiasi automatismo: si tratta infatti di un caso del tutto particolare, a cui non dovrebbe essere data valenza generale. Nel caso esaminato, infatti, la riconsegna alle famiglie non avveniva all’uscita da scuola, ma alla fermata dello scuolabus. E’ evidente che la scuola e l’ente locale responsabile del trasporto, devono garantire la vigilanza fino alla riconsegna (effettiva o potenziale) ai genitori. Nel caso di specie, durante il tempo in cui il pulmino ha ritardato, il personale scolastico doveva vigilare sui minori, eventualmente trattenendoli all’interno dei locali scolastici, non lasciandoli da soli all’esterno, come del resto era espressamente previsto (correttamente) dal regolamento di Istituto. Dunque, nel caso di specie, il dovere di sorveglianza si è interrotto prima della riconsegna, almeno potenziale, ai genitori.

Qualche conclusione:
1) Non vi è dubbio che, per qualsiasi minorenne, cioè anche di età compresa tra i 14 e i 18 anni, la scuola deve mettere in grado la famiglia – se vuole – di andare a riprendere il figlio che esce da scuola, preavvertendo in modo adeguato di eventuali uscite anticipate o in luogo diverso dal solito. Questo peraltro è un dato assodato e rispettato nella prassi.
2) Non è possibile, stante il diritto positivo espresso nelle leggi interne e l’evoluzione del diritto internazionale (si veda in particolare l’articolo 3 della Convenzione internazionale dei diritti del fanciullo, che afferma il principio del superiore interesse del bambino) ignorare che esiste, ed è formalizzato, il diritto del bambino alla graduale acquisizione della propria autonomia, inteso come armonioso processo di crescita all’interno di un percorso di personalizzazione e socializzazione che tiene conto dell’età, delle capacità, aspirazioni e naturali inclinazioni (articolo 147 Cc).

L’articolo 3 della Convenzione, già citato, definisce un criterio di prevalenza di tale e interesse, cioè stabilisce a priori che, in caso di conflitto tra diritti del fanciullo e diritti di altri soggetti, sia necessario considerare prevalente il superiore interesse del minore. Dunque, il complesso dei servizi educativi, che hanno per esplicita finalità l’azione di supporto all’evoluzione della personalità del minore e che a tal fine debbono educare i ragazzi loro affidati alla progressiva acquisizione delle necessarie competenze ed autonomie, non possono considerare prevalente l’esercizio della vigilanza, intesa culturalmente ed operativamente come esclusivo esercizio della custodia, da ritenere recessiva rispetto alla vigilanza intesa come predisposizione di un contesto educativo capace di consentire l’esercizio delle progressive abilità. In definitiva, al giorno d’oggi, l’evoluzione dei costumi della società non consente in alcun modo di ritenere, in modo generalizzato e a priori, che lasciare uscire da scuola in modo autonomo i ragazzi tra gli 11 e i 14 anni, finché il minore rientri nell’ambito della sorveglianza dei genitori, sia definibile «lasciarli in luogo dove, secondo normalità, sussistono situazioni di pericolo».

Ricordiamo che per anni è stato attuato il progetto Cnr (intitolato “A scuola ci andiamo da soli”) finalizzato a rendere le città a misura di bambino e favorire l’autonomo spostamento dei piccoli allievi, analogamente a quanto avviene già in molti altri paesi. L’autonomia di spostamento dei bambini italiani nell’andare a scuola si è ridotta, passando dall’11% nel 2002 al 7% nel 2010, mentre l’autonomia dei bambini inglesi è al 41% e quella dei tedeschi al 40%. Per il tragitto di ritorno, soltanto l’8% dei bambini italiani lo compie da solo, a fronte del 25% dei coetanei inglesi e del 76% dei tedeschi. Il divario di autonomia con gli altri paesi sul percorso casa-scuola permane ampio anche per i ragazzi delle medie inferiori: il 34% degli italiani, contro il 68% dei tedeschi e il 78% degli inglesi” (Fonte: dati Istc-Cnr).
Il progetto del CNR è tuttora attuato in varie città ed disponibile on line all’indirizzo: (http://www.lacittadeibambini.org/pubblicazioni/Manuale%20A%20scuola%20ci%20andiamo%20da%20soli.pdf).

3) La decisone sulle concrete modalità di esercizio della riconsegna ai genitori (se effettiva o potenziale) è sicuramente una facoltà rimessa alla valutazione discrezionale della famiglia, che rientra nel diritto dovere di educare i figli, cioè rientra nella sfera educativa della famiglia, all’interno della quale la scuola, normalmente, non dovrebbe ingerirsi, salvo situazioni eccezionali in cui sia evidente che il minore «venga a trovarsi in situazione di possibile pericolo se attuate le disposizioni impartite dai genitori».
Ma anche nel caso di Cassazione 5424/86, se si va a leggere cosa accadde, si scoprirà che i genitori avevano dato disposizioni di lasciare il minore in luogo sicuramente pericoloso, cioè al di qua di un passaggio a livello (il minore fu investito dal treno). Pertanto, la sorveglianza deve essere necessariamente determinata dal contesto effettivo, dalle condizioni ambientali in considerazione delle quali alcuni eventi dannosi si presentano quanto mai prevedibili e non predefinita nella sua rigida staticità.

In concreto: Che fare?
a) Conseguentemente, la scuola non può a priori decidere di rifiutare la cosiddetta liberatoria (o altro documento più idoneo) da parte del genitore, in quanto un provvedimento di diniego necessita di adeguate motivazioni che non possono in alcun modo incidere sull’autonomo e sovrano esercizio della potestà genitoriale, in quanto compito di pura spettanza dell’autorità giurisdizionale. Possono e devono essere sollevate motivazioni specifiche che attengono al caso concreto e che si devono manifestare in una funzione sussidiaria alla potestà genitoriale, proponendo per esempio di realizzare una valutazione approfondita delle capacità effettive del minore o richiedendo una dilazione al fine di rendere più sicura l’autonomia del bambino o della bambina in questione. Se quindi la scuola intende negare al genitore il diritto di far uscire suo figlio da solo, deve offrire motivazioni che afferiscono allo specifico educativo della scuola, proponendo al genitore di realizzare un diverso dialogo ed una migliore valutazione del contesto.

b) Nell’immediato, è quindi opportuno che la scuola riveda le proprie modulistiche relative alle cosiddette liberatorie, in modo da rendere più chiaro e coerente con quanto fin qui esposto, il senso della azione di delega operato dal genitore. Le formule usate «libera da ogni responsabilità» sono in effetti prive di un reale fondamento. Sarebbe più opportuno che i genitori compilassero un modulo nel quale esplicitamente essi: valutato il grado di maturazione del figlio, la collocazione della scuola ed il percorso che il loro figlio deve compiere, verificato che egli è in grado di percorrerlo, assicurata la scuola di aver provveduto al suo necessario addestramento ed alla sua educazione comportamentale, danno indicazione alla scuola in merito alle modalità di riconsegna del figlio, chiedendo che sia fatto uscire in modo autonomo (quindi una riconsegna così detta “potenziale” e non effettiva).

c) Più in generale e a medio termine, in analogia a quanto previsto nel progetto del Cnrsopra citato (peraltro, riferito alla scuola primaria), dopo avere effettuato un adeguato studio di fattibilità in collaborazione con l’Ente locale, in merito alle condizioni ambientali, legate alla particolare ubicazione della scuola, al traffico, alla lontananza dal centro abitato o altro; cioè una volta escluso, con adeguata motivazione di carattere tecnico, che l’uscita autonoma da scuola possa essere considerato “lasciare gli alunni in luogo dove, secondo normalità, sussistono situazioni di pericolo”, la scuola inserisce questo progetto nel Ptof e chiede una semplice dichiarazione scritta alle famiglie di adesione all’iniziativa.
In tal caso, la riconsegna effettiva alla famiglia deve avvenire solo nei casi (chiaramente residuali, come sinora avvenuto, nella fascia di età considerata) in cui la famiglia stessa la richieda.