Disturbi apprendimento

Redattore Sociale del 01-11-2017

Disturbi apprendimento, Ledha e Sinpia stroncano il libro di Daniele Novara

Le associazioni: “Per essere certificati come bambini e persone con un DSA non è sufficiente la segnalazione di un genitore ansioso o di una maestra pigra con la complicità di un neuropsichiatra in cerca di clienti…”. La replica di Novara: “Il libro tira fuori un problema che nessuno ha mai sollevato: il raddoppio delle certificazioni. Spesso finiscono col compromettere l’autostima dei bambini”.

MILANO. La proliferazione delle certificazioni dei disturbi d’apprendimento sta diventando un argomento scottante. La Lega per i diritti delle persone con disabilità (Ledha) e la Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (Sinpia) stroncano infatti il libro del pedagogista Daniele Novara, dal titolo “Non è colpa dei bambini. Perché la scuola sta rinunciando a educare i nostri figli e come dobbiamo rimediare. Subito”. Libro in cui denuncia il rischio che si facciano passare per patologie (come la discalculia o la dislessia) quelle che sono ‘solo’ delle difficoltà che i bambini vivono durante la crescita o, addirittura, errori degli adulti che hanno un ruolo educativo nei loro confronti. Secondo Ledha e Sinpia invece la tesi di Novara è sbagliata: non tiene conto dei progressi della ricerca scientifica e addossa ai genitori colpe non loro. “In questi ultimi anni la comunità scientifica è uscita da tempo dal conflitto che vedeva contrapposta la genetica e l’ambiente -scrivono le due associazioni in una lettera aperta di critica, firmata da Giovanni Merlo, direttore di Ledha, e Antonella Costantino, presidente di Sinpia-. In parallelo, ha lavorato per identificare meglio i disturbi che possono rendere più faticoso il funzionamento e la vita dei bambini, e per trovare interventi efficaci che ne modifichino le traiettorie evolutive. Interventi che spesso sono educativo-riabilitativo-terapeutici, e questo facilmente ingenera confusione: se li posso curare con interventi educativi, vuol dire che sono causati dalla cattiva educazione. Tra questi sono stati identificati alcuni disturbi specifici, che riguardano quindi non la complessità del funzionamento della persona ma solo, e in modo selettivo, alcune sue parti”.

Secondo Ledha e Sinpia non c’è quindi una moda delle certificazioni facili. “Per essere certificati come bambini e persone con un DSA non è sufficiente la segnalazione di un genitore ansioso o di una maestra pigra con la complicità di un neuropsichiatra in cerca di clienti: è necessario affrontare una serie di test, validati scientificamente, che verifichino e attestino l’esistenza del disturbo”. Sbaglia dunque Novara a pensare che sia solo un problema educativo: “è rimasto fermo a quel periodo, non lontano da noi, in cui questi bambini erano etichettati come asini e monelli, imponendo loro punizioni e compiti supplementari. Bambini che spesso interrompevano precocemente gli studi, cui veniva inflitta un supplemento maggiore di fatica (e di vera sofferenza) perché additati come, appunto, asini e monelli. In un periodo un po’ più lontano da noi, molti di questi bambini venivano indirizzati verso le classi speciali e differenziali”.

“Il mio libro è costruttivo e tira fuori un problema che nessuno ha mai sollevato -replica Daniele Novara-, con una ampia e precisa documentazione scientifica. Il libro è una denuncia: in Italia, negli ultimi 15 anni, si è creato un raddoppio delle certificazioni (legge 104) in capo alla neuropsichiatria infantile a fronte, invece, di un calo delle disabilità classiche (neurolesioni alla nascita, sindrome di down, epilessia). Questo aumento riguarda pertanto le disabilità attinenti allo sviluppo comportamentale ed emotivo. Molte di queste patologie sono ancora oggetto di controversie sulla loro validità scientifica. Spesso queste diagnosi finiscono col compromettere l’autostima dei bambini e dei ragazzi costringendoli a subire un etichettamento che spesso perdura nel tempo, anche dopo un’eventuale guarigione. Nel libro sostengo che per i bambini cosiddetti ‘difficili’ è necessario un grande lavoro educativo, sia in termini di analisi delle cause che in termini operativi. Occorre creare un gioco di squadra che diminuisca la confusione tra le reali malattie neuropsichiatriche e la naturale immaturità dei bambini, in funzione di una maggiore sostegno educativo e pedagogico alle famiglie, ai genitori, alle scuole e agli insegnanti. Da ultimo, rilevo un tono sindacale, come se i neuropsichiatrici infantili si fossero sentiti disturbati e messi in discussione per il loro lavoro. L’obiettivo è in realtà collaborare, non certo farci la guerra”. (dp)