Come la prima relazione madre/bambino condiziona tutte le altre relazioni nell’arco della vita

Come la prima relazione madre/bambino condiziona tutte le altre relazioni nell’arco della vita

di Liliana Bellomo

 

Il termine “Attaccamento” nel suo significato generale, anche per chi non abbia mai sentito nominare Bowlby, rimanda ad una condizione relazionale di un soggetto con un altro soggetto.

Per Bowlby, formulatore della teoria dell’attaccamento, una delle più validate nella storia della psicologia, il bambino è competente fin dalla nascita nella ricerca delle relazioni, è un organismo attivo e la sua motivazione primaria è quella della ricerca di vicinanza e contatto fisico con il caregiver attraverso cui si nutre psicologicamente oltre che fisiologicamente.

Tutto ciò rappresenta una rivoluzionaria critica a Freud in merito alle motivazioni che portano gli esseri umani a sviluppare legami significativi; come è noto, infatti, la teoria pulsionale ritiene che il bambino sviluppi un legame con la madre perché spinto a soddisfare bisogni di nutrimento e di libido. Il teorico dell’attaccamento, invece, ci mostra un aspetto diverso della persona, quello del bisogno di relazione sin dalla nascita, motivazione fondamentale tanto quanto il bisogno di cibo e le modalità comportamentali che il bambino pone in essere quali il pianto, il chiamare, il seguire e l’aggrapparsi hanno l’esito prevedibile di aumentare la vicinanza permettendogli di mantenere la prossimità con qualcuno che lo accudisca e lo protegga.

Questi modi vengono ricondotti ad un complesso sistema governato dall’istinto, ma influenzato dall’ambiente, chiamato “sistema comportamentale di attaccamento” (M.Main). Selezionata la figura di riferimento, quasi sempre la madre, il bimbo controlla da vicino la sua posizione, cercando un contatto anche nelle situazioni non stressanti. Se l’ambiente è sicuro il bambino si sente sicuro , quando nell’ambiente è presente un pericolo il sistema inizia ad essere fortemente attivo e porta ad una serie di comportamenti che consentono la prossimità con la figura di attaccamento e che fa sì che si ripristini una condizione di sicurezza (G. Attili). Fornire una base sicura è quindi una delle caratteristiche principali dell’essere genitori sostenendo i figli nelle loro esperienze di autonomia ed intervenendo per proteggerli, rassicurarli e accudirli laddove necessario (Baldoni 2005).

Attraverso l’interazione con le figure di attaccamento, il bambino si crea un modello interno basato sulla sua esperienza, vengono così a costituirsi i “Modelli Operativi Interni” (Internal Working Models) che sono rappresentazioni interne di sé stessi, delle proprie figure d’attaccamento e dell’ambiente, come pure delle relazioni che li legano. Si tratta di modelli di relazione che si sviluppano nei primi tre anni di vita e che si mantengono relativamente stabili nel tempo, regolando l’accesso alle informazioni ed il loro recupero, ed orientando le aspettative, le emozioni, ed i comportamenti interpersonali lungo tutto il corso della vita. (N. Dazzi).

Durante lo sviluppo, le numerose e ripetute esperienze interattive e relazionali vengono interiorizzate dalla persona e immagazzinate come contenuti mentali che hanno la funzione fondamentale di prevedere alcuni aspetti della relazione con l’altro, consentendo all’individuo di organizzare il proprio comportamento di conseguenza.

Le ricerche sull’attaccamento hanno dimostrato che per lo sviluppo dei Modelli Operativi Interni sono importanti le esperienze reali, sia presenti che passate (Bowlby 1969, 1973, 1980). Essi sono quindi sottoposti ad un continuo processo di riorganizzazione e possono modificarsi, soprattutto sulla base di esperienze significative nel corso del ciclo vitale (Crittenden 1999). I teorici dell’attaccamento hanno quindi immaginato i MOI come strategie generali che originano dalle esperienze infantili e guidano tutte le relazioni successive, ma anche come “relazione-specifici”, cioè corrispondenti alle molteplici relazioni d’attaccamento che si sviluppano nel ciclo di vita di un individuo (Davila, 2009). Il concetto di attaccamento è legato a due dimensioni dei modelli operativi interni, entrambe influenzate dalla qualità della relazione di attaccamento e del conseguente effetto di base sicura: la ricerca di protezione nei confronti dei pericoli e lo sviluppo di una capacità di esplorazione dell’ambiente.

Le due dimensioni sono state messe in luce sin dai primi lavori di Bowlby e Mary Ainsworth che le utilizzò per classificare le relazioni di attaccamento attraverso la Strange Situation: dramma in miniatura di venti minuti. La Ainswort ideò la procedura con l’intento di mostrare la modalità con cui il comportamento di attaccamento si intensifica gradualmente nei bambini di un anno in risposta a due separazioni e a due riunioni in un ambiente estraneo (dramma in miniatura della durata di venti minuti); dall’osservazione ci si aspettava che tutti i bambini avessero usato la madre, quando presente, come base sicura per esplorare l’ambiente, mostrando invece comportamenti di attaccamento durante le separazioni e nei momenti di riunione. Inaspettatamente, invece, i bimbi risposero in maniera differente.

Da qui la classificazione del comportamento di attaccamento in tre stili prevalenti:

  • B- sicuro, il bambino protesta per la separazione dalla madre e viene prontamente confortato dal loro ricongiungimento. Quando la madre è presente, il bambino può giocare liberamente o esplorare l’ambiente. Questi bimbi hanno sperimentato una madre sensibile ai segnali e alla comunicazione, ciò non significa una madre “perfetta” ma una madre “sufficientemente buona” – per dirla con Winnicott – che ama e protegge senza invadere, che permette al figlio di sperimentare autonomamente anche situazioni che possano risultare frustranti, ma il bambino sa di poter accedere alla madre liberamente e incondizionatamente, tutte le volte che ce ne sarà bisogno;
    I pattern insicuri alla Strange Situation, di seguito descritti, sono legati in generale all’eccessiva intrusività, oppure al rifiuto o all’inadeguatezza delle cure; il bambino si trova nella condizione di dovere gestire il proprio stato emotivo da solo non trovando nel caregiver un supporto adeguato.
  • A- evitante, il bambino non piange al momento della separazione e tende ad evitare la figura di attaccamento al momento del ricongiungimento, e malgrado gli sforzi di quest’ultima, egli rifiuta il contatto in modo sottile, per esempio guardando altrove. Questi bimbi hanno adottato la strategia di rendere il meno operativo possibile il sistema dell’attaccamento ed esprimere poco i propri bisogni, divenendo falsamente autosufficienti per evitare risposte negative o inefficaci da parte del caregiver (Bowlby, 1988). Questo pattern è spesso presente all’interno di relazioni caratterizzate da intrusività, rifiuto, svalutazione delle richieste di accudimento e avversione per il contatto fisico.
  • C- ambivalente o resistente è caratterizzato dalla protesta fortemente angosciata alla separazione, condizione che non viene eliminata al ricongiungimento. Inibito nel gioco, il bambino tende ad alternare rabbia ed accondiscendenza verso una figura di attaccamento percepita come imprevedibile. Il comportamento di attaccamento è abnormemente attivato (Bowlby, 1988) ed è segnato da una emotività enfatizzata, da poca esplorazione e dall’incapacità di essere consolati. Questi bimbi hanno sperimentato caregiver inaffidabili che hanno scoraggiato l’autonomia poiché imprevedibili nella loro responsività, talvolta tanto rabbiose, altre volte molto affettuose,  così le aspettative del bambino sull’esito della relazione sono molto incerte: non sa quale sarà la risposta, e con quale delle “due” mamme si troverà ad interagire, tende così a mantenere una vicinanza strettissima rinunciando a qualsiasi movimento esplorativo autonomo.
    Nonostante i comportamenti di attaccamento siano più evidenti nella prima infanzia, essi rimangono attivi per tutta la vita. Il primo tentativo di verificare empiricamente le implicazioni della teoria sul ciclo di vita si deve a Parkes (1972) e a Weiss (1975). Entrambi confermarono l’idea di Bowlby secondo la quale la risposta alla separazione o alla perdita di una figura d’attaccamento, (ossia la protesta, la disperazione e il distacco), ha lo stesso significato funzionale a tutte le età. Sebbene vi siano prove che testimoniano la continuità dei comportamenti associati all’attaccamento (Bowlby, 1973), lo strumento che più di tutti ha dimostrato una connessione empirica al costrutto dell’attaccamento infantile è l’“Adult Attachment Interview” (George, Kaplan, Main, 1984), che indaga le rappresentazioni che gli adulti hanno delle relazioni di attaccamento infantili.
    Grazie a questa intervista, descritta come una tecnica che “sorprende l’inconscio”, la Main, ha potuto classificare l’attaccamento adulto utilizzando le categorie di quello infantile e ipotizzando una trasmissione intergenerazionale; le classificazioni infatti risultano predittive della qualità della relazione con la possibile prole:
  • B – sicuro/autonomo , i soggetti con questo pattern di attaccamento presentano la caratteristica di raccontare gli eventi della relazione con i genitori in maniera vera, con tutto ciò che di bello o di brutto c’è stato; organizzando i pensieri in un significato coerente senza bugie e omissioni, dando l’impressione all’ascoltatore di una consapevolezza attiva e profonda.
  • A – distanzianti: in questi soggetti il discorso si presenta distanziante, essi durante l’intervista non prendono in considerazione il loro punto di vista quanto piuttosto quello dei genitori, si distanziano dagli stati affettivi negativi che vengono svalutati o sostituiti con stati affettivi falsi. I sentimenti di paura, collera e desiderio di conforto vissuti dal soggetto vengono sminuiti ed accantonati, mentre parlano dei genitori come soggetti meravigliosi che hanno saputo costruire una relazione eccellente mostrando lacune di memoria episodica per quegli eventi che hanno scatenato dolore e senso di mancanza, presentano così un racconto pieno di contraddizioni.
  • C – preoccupati: l’intervista è caratterizzata dalla incapacità di utilizzare i ricordi episodici della propria storia per creare degli schemi riassuntivi. I soggetti mostrano un coinvolgimento confuso, arrabbiato e passivo e hanno difficoltà a gestire in maniera pertinente e adeguata l’intervista. Si può facilmente osservare una dissociazione tra memoria semantica ed episodica a favore dell’episodica. I racconti, infatti, sono caratterizzati da aneddoti che si affollano in una narrazione incoerente e in un’alterazione spazio-temporale e vengono raccontati in un modo vivido e coinvolgente quasi come se si svolgessero al momento.

In anni più recenti, questi studi sono stati estesi fino ad includere gli altri rapporti (Weiss, 1991), infatti, i legami significativi degli adulti hanno tutte le caratteristiche della relazione di attaccamento infantile; le relazioni, presentano in vari punti questa comunanza in particolare nel bisogno di vicinanza, nella protesta per la separazione forzata e nell’effetto “base sicura”, cioè il clima di sicurezza e fiducia che si instaura all’interno del legame (Baldoni).

Le differenze sono però altrettanto importanti: mentre il bambino si aspetta di essere protetto e rassicurato dalla propria figura di attaccamento, ma non è in grado di svolgere queste funzioni nei confronti dell’altro, gli adulti sviluppano tra loro rapporti improntati maggiormente alla simmetria e alla reciprocità. In secondo luogo l’adulto, a differenza del bambino, integra comportamenti di attaccamento con quelli sessuali e quelli legati al prendersi cura dell’altro. (Baldoni F.)

La forma più tipica d’attaccamento adulto, quindi, implica l’integrazione di diversi sistemi comportamentali: l’attaccamento, il fornire e ricevere cure e, nel caso di una relazione di tipo romantico, l’attrazione sessuale (Weiss, 1982). Numerosi studi effettuati nell’ambito di questo paradigma hanno infatti aperto nuove prospettive alla comprensione delle relazioni sentimentali rendendo oggi la teoria dell’attaccamento uno dei modelli più fertili per la teorizzazione, la ricerca e la pratica clinica nell’ambito delle relazioni amorose (Zavattini 2011).

In particolare, Cindy Hazan e Phillip Shaver (1987) hanno considerato l’amore di coppia come un processo di attaccamento e hanno sviluppato una procedura di autovalutazione per classificare gli adulti in tre categorie che corrispondono ai tre stili di attaccamento riscontrati nei bambini. Lo stile sicuro è caratterizzato da fiducia nella relazione; lo stile insicuro-evitante descrive una persona che trova difficoltà a fidarsi completamente degli altri, tendendo a mantenere un certo distacco, evitando un coinvolgimento emotivo profondo, che non lo farebbe sentire a proprio agio. Infine, lo stile insicuro-ansioso-ambivalente è anch’esso caratterizzato da mancanza di fiducia, ma come qualità distintiva presenta un forte desiderio di coinvolgimento emotivo, che spesso diviene desiderio di fusione, esponendo il soggetto a rifiuti e conseguenti frustrazioni.

Secondo la teoria dell’attaccamento, la qualità delle interazioni con gli altri che ci coinvolgono significativamente nel momento del bisogno plasma l’obiettivo dell’interazione, le rappresentazioni relazionali e il comportamento interpersonale. Quando gli altri “significativi” sono percepiti come disponibili e sensibili ai tentativi di ricerca di vicinanza, viene raggiunto un senso di sicurezza dell’attaccamento, l’intimità e la protezione diventano obiettivo primario dell’interazione e gli altri sono pensati come sicuri e affidabili.

Tuttavia, quando l’altro è percepito come emotivamente non disponibile, insicurezze e dubbi predominano la relazione portando all’adozione di una delle due strategie difensive per affrontare queste insicurezze.

Sotto una hyperactivation strategy,, l’obiettivo principale è quello di possedere l’altro, percepito come insufficientemente disponibile e sensibile , per fornire sostegno e protezione.

D’altra parte, l’obiettivo principale della deactivation strategies è quello di mantenere la distanza emotiva dal partner e ad adoperarsi per l’autosufficienza.

A loro volta, queste diverse strategie sono strettamente correlate a due stili di attaccamento, quello ansioso e quello evitante.

Quello ansioso riflette il grado in cui una persona si preoccupa del fatto che non avrà sostegno nel momento del bisogno e, quindi, attiva in maniera sproporzionata i comportamenti e le rappresentazioni dell’attaccamento, nel tentativo di garantire tale disponibilità.

Quello evitante, riflette la misura in cui una persona diffida della reputazione degli altri e si sforza di mantenere un comportamento indipendente, contando su strategie di disattivazione per affrontare le minacce della relazione.

Lo stile sicuro si trova in una zona in cui sia l’ansia che l’ evitamento sono bassi ed è caratterizzato dalla fiducia e dal sentirsi a proprio agio con la vicinanza.

Gli individui sicuri , rispetto a quelli insicuri, è più probabile che abbiano rapporti lunghi, stabili e soddisfacenti caratterizzati da alto coinvolgimento, fiducia, intimità, calore, sostegno e coesione.

Al contrario, in linea con il loro obiettivo di disattivazione dei comportamenti dell’attaccamento, gli individui altamente evitanti hanno meno probabilità di innamorarsi e sono meno interessati a essere coinvolti in relazioni impegnative e a lungo termine.

Di conseguenza, tendono ad avere rapporti relativamente meno stabili, caratterizzati dalla paura di intimità e da bassi livelli di coinvolgimento emotivo, fiducia, coesione e soddisfazione.

Gli individui altamente ansiosi, invece, tendono ad iper-attivare i comportamenti di attaccamento, manifestando sentimenti ossessivi e passionali, e preoccupazioni continue circa il rifiuto e l’abbandono.


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Cristina Riva Crugnola, a cura di, La comunicazione affettiva tra il bambino e I suoi partner, Raffaello Cortina Editore 2008

Manuela Lavelli, Intersoggettività, Raffaello Cortina Editore 2007