Contratto, il tavolo ora è avviato

da ItaliaOggi

Contratto, il tavolo ora è avviato

Sindacati convocati all’Aran. Partita aperta sugli oneri per la formazione professionale. Novità anche per le attività funzionali all’insegnamento

Carlo Forte

Giovedì prossimo, 9 novembre, i rappresentanti dei sindacati rappresentativi del comparto scuola, ricerca, università e Afam (Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda-Unams) e dell’Aran (agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni) inizieranno le trattative per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro scaduto ormai da 9 anni. Il 19 ottobre scorso, peraltro, il governo ha inviato all’Aran l’atto di indirizzo. E nella legge di bilancio sono stati stanziati i fondi per la copertura degli 85 euro lordi, che l’esecutivo aveva pattuito con i sindacati con l’accordo del 30 novembre 2016. L’importo è lordo stato. Sugli 85 euro, dunque, vanno applicate le trattenute relative agli oneri previdenziali, pari a 1/3, e l’imposizione fiscale, che varia a seconda del reddito. A conti fatti, dunque, l’aumento vero e proprio dovrebbe aggirarsi mediamente intorno ai 35 euro netti al mese.

Il governo ha risolto anche il problema dei soggetti a basso reddito che percepiscono il bonus degli 80 euro.

Gli incrementi retributivi che saranno corrisposti a seguito della stipula del nuovo contratto, infatti, avrebbero fatto aumentare il reddito imponibile dei soggetti interessati che avrebbero perso il bonus degli 80 euro. Per evitare che ciò accadesse l’esecutivo ha disposto, tramite il disegno di legge di bilancio, un aumento della soglia di reddito che dà titolo agli 80 euro. E ciò dovrebbe consentire agli interessati di conservare gli 80 euro e, contestualmente di fruire degli aumenti. L’aumento della soglia di reddito è pari a 600 euro l’anno. Fin qui gli stanziamenti posti sul tavolo dal governo. Che non sembrerebbe intenzionato a mutare la destinazione dei fondi previsti dalla legge 107/2015 per il compenso accessorio dei docenti: 381 milioni di euro relativi ai 500 euro per l’aggiornamento (articolo 1, comma 123) e dei 200 milioni per la valorizzazione del merito (articolo 1, comma 126).

E se il governo non cambierà idea, la contrattazione inizierà con una sorta di convitato di pietra. Che secondo l’accordo del 30 novembre 2016 avrebbe dovuto essere definitivamente escluso dal tavolo negoziale. Vale a dire: la inderogabilità delle norme di legge da parte della contrattazione collettiva. Inderogabilità che preclude la modifica di destinazione dei fondi individuata dalla legge.

Fatto, questo, che è stato solo in parte superato per effetto del decreto Madia. Sindacati e Aran dovranno occuparsi anche della rivisitazione della cosiddetta parte normativa. Vale a dire: tutto ciò che riguarda la prestazione, le assenze e la disciplina sostanziale delle sanzioni disciplinari (le sanzioni edittali con l’esclusione del procedimento disciplinare).

Sulla prestazione di insegnamento non dovrebbero esserci sorprese. Nell’atto di indirizzo, infatti, il governo ha fatto sapere che non intende modificare l’orario di lavoro in senso stretto. Novità potrebbero intervenire per quanto riguarda le attività funzionali all’insegnamento. In primo luogo per quanto riguarda la formazione: un obbligo introdotto dalla legge 107/2015 che, prima dell’avvento della riforma, costituiva un diritto e non un dovere. La mutazione genetica di questo istituto, infatti, comporta che i relativi oneri debbano essere retribuiti. E siccome il governo non ha fatto alcuna menzione della formazione nell’atto di indirizzo, a parità di retribuzione e di orario di lavoro, l’unica possibilità è che la formazione venga fatta rientrare nel monte ore delle attività funzionali all’insegnamento di natura collegiale.

Sulla disciplina delle assenze non dovrebbero esserci novità, salvo il necessario adeguamento alla legislazione vigente. In particolare per quanto riguarda la trattenuta Brunetta. Vale a dire, la decurtazione del compenso accessorio nei primi dieci giorni di assenza per malattia prevista all’articolo 71 del decreto legge 112 del giugno 2008, convertito dalla legge 133/2008. Norma che è passata indenne al vaglio della Corte costituzionale. E probabilmente anche per quanto riguarda la disciplina dei permessi per motivi personali e familiari. In particolare sugli ulteriori 6 giorni previsto dall’articolo 15 del contratto. Che nel corso degli anni sono stati fonte di contenzioso tuttora irrisolto.

Forti criticità potrebbero invece verificarsi sulla materia della disciplina sostanziale delle sanzioni disciplinari. Attualmente, infatti, i docenti, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di merito, non possono essere sospesi dai dirigenti scolastici fino a dieci giorni, perché il Testo unico prevede sanzioni più dure che rientrano nella competenza dell’ufficio scolastico.

Paradossalmente, dunque, se le parti introdurranno per contratto la sanzione più blanda della sospensione fino a dieci giorni anche i docenti, ciò comporterà un’ulteriore inasprimento del rapporto gerarchico verticale tra docenti e dirigenti scolastici con relativa compressione del diritto ad essere giudicati da un soggetto terzo e imparziale e potenziali implicazioni anche sulla libertà di insegnamento (si veda la circolare 88/2010).