«Un patto per l’alternanza di qualità»

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da Il Sole 24 Ore

«Un patto per l’alternanza di qualità»

di Claudio Tucci

«Incontro ogni giorno decine di ragazzi in giro per l’Italia: sa cosa mi riempie d’orgoglio? Quando qualcuno mi dice che ha fatto bene a scegliere un istituto tecnico, e che, dopo aver fatto un periodo di studio, alternando impegno in aula e “pratica” in fabbrica, si trova a 19/20 anni con un contratto in mano, ed è anche diventato più maturo». Giovanni Brugnoli è vicepresidente di Confindustria per il Capitale umano; e spiega così il senso della giornata nazionale dell’Orientagiovani, la manifestazione dedicata, ogni anno, ad avvicinare le nuove generazioni agli imprenditori e al mondo della manifattura, che andrà in scena oggi all’università Luiss di Roma, sotto il titolo “Il futuro è un’impresa”.

Il punto è che solo entrando in uno stabilimento metalmeccanico, chimico, tessile, alimentare, Itc, è possibile cogliere il grande cambiamento in atto nell’industria italiana, e che la scuola, da sola, non può trasmettere: «Ecco perché – spiega Brugnoli – serve un grande patto per l’alternanza tra tutti i soggetti interessati: istituzioni, territori, imprese, associazioni, famiglie, insegnanti. L’obiettivo è creare hub non solo per conoscere i fabbisogni di ciascuno, ma per avere una visione, un’idea di futuro».

La formazione “on the job” è obbligatoria da un paio d’anni. Come sta andando?

Bene nei territori a forte vocazione industriale e con istituti eccellenti. Confindustria ha fortemente voluto il bollino blu per l’alternanza di qualità, un riconoscimento tangibile per incentivare le imprese ad accogliere studenti e, al tempo stesso, indicare alle scuole quali sono i partner strategici, targati Confindustria, con cui poter co-progettare un valido percorso formativo per i ragazzi. Mi faccia dire che il Legislatore ha reso l’alternanza obbligatoria per gli istituti, non per le imprese. Ma noi imprenditori siamo al fianco di presidi e docenti che vogliono fare buona alternanza. Perché crediamo che sia una vera sfida culturale e, portando con sé un grande cambiamento e innovazione nella didattica, non vogliamo che venga sbiadita dalle inevitabili criticità che un progetto che coinvolge 1,5 milioni di alunni fisiologicamente comporta. Lo ripeto: Confindustria e le sue aziende ci sono. Sarebbe bello se anche il mondo dell’istruzione facesse un passo nel valorizzare gli istituti che s’impegnano nell’alternanza. Del resto, su questo fronte, l’obiettivo è comune: l’occupabilità dei giovani.

Non c’è dubbio che anticipare il contatto con il mondo produttivo è centrale…

Certo. Chi fa impresa sa che per stare sul mercato c’è bisogno di innovare. E quindi è fondamentale la formazione di un capitale umano competitivo. Industria 4.0 ha cambiato il modo di produrre, vendere, consumare, lavorare. In passato una mansione poteva durare 15/20 anni, oggi dopo tre diventa “vecchia”, e va modificata. Ogni settore produttivo ne è consapevole: pensi che nei prossimi cinque anni serviranno circa 200mila tecnici alle nostre imprese. E già sappiamo che molti resteranno introvabili. Un paradosso con un tasso di disoccupazione degli under 25 al 35,7 per cento.

Suggerisce più orientamento?

Già a partire dalle scuole medie. Qualche giorno fa ho incontrato due classi di terza media: ho raccontato come le Stem sono le competenze più richieste, e illustrato le chance che offrono gli Its, con il 90% di diplomati assunti subito, e molto spesso a tempo indeterminato. In questi giorni molte piccole imprese aprono le porte dei loro stabilimenti in occasione del Pmi Day del prossimo 17 novembre: a Varese, per esempio, sono coinvolte 170 aziende, 45 scuole, 3.500 alunni. Bisogna replicare queste esperienze in tutt’Italia. In fondo, la sfida dell’alternanza si vince così: mettendo insieme attori economici e formativi; creando modelli efficaci, e moltiplicandoli fino a creare un sistema.

La legge di Bilancio è appena entrata in Parlamento: la direzione è quella giusta?

Siamo di fronte a primi passi. Gli Its sono stati un po’ rifinanziati e soprattutto si è delineato un orizzonte di intervento triennale che aiuta a dare più certezza. Certo, non basta: penso che serva fare uno sforzo aggiuntivo già nel 2018, per attestarsi a regime intorno agli 80 milioni di euro. Oggi siamo fermi a 30. È positivo, poi, aver accolto l’idea di Confindustria di puntare sui giovani, incentivando le nuove assunzioni stabili, ma ci sono un po’ di paletti normativi. Così come sul credito d’imposta sulle spese in formazione: se vogliamo avere effetti, sono necessarie norme semplici e subito fruibili.

Un’ultima domanda. A giorni debutteranno le lauree professionalizzanti…

Secondo noi sono necessarie nel mondo delle professioni ordinistiche. Siamo contrari a una laurea che sia un semplice doppione dei corsi Its. Al governo abbiamo proposto di cambiargli nome: lauree industriali manifatturiere, due anni “pratici” di Its, e uno di accademia. Così si ha una chiara caratterizzazione di questi percorsi, si valorizza il ruolo degli atenei, e si aiutano, davvero, i ragazzi.